Cultura | Pratica

Note sulla collaborazione

Parte II: pratica artistica.

Le collaborazioni artistiche sono quelle svolte dagli artisti o anche altri soggetti possono collaborare artisticamente? Spesso ci limitiamo a pensare come arte i processi e i risultati prodotti da persone formate in scuole d’arte o comunque attive all’interno del mondo dell’arte. Ma cose succede quando pensiamo come collaborazione artistica i processi trasformativi iniziati da gruppi che non appartengono al mondo dell’arte, che a volte semplicemente ne prendono in prestito i linguaggi, e da cui più spesso gli artisti contemporanei traggono ispirazione?

Vorremmo provare a pensare un esempio come quello delle ollas comunes come una pratica artistica. Durante la dittatura cilena negli anni ‘70, le donne dei quartieri poveri spesso non riuscivano a procurarsi il cibo sufficiente per sfamare la famiglia e hanno iniziato a mettere assieme le risorse per cucinare assieme. A volte le attrezzature venivano messe a disposizione dal parroco del quartiere, e il cibo veniva comprato e cucinato assieme dalle donne. Le donne in questo modo hanno iniziato a forare i confini della famiglia nucleare dove i panni sporchi si lavano in casa propria e dove chi comanda è chi porta i pantaloni. E chi porta i pantaloni fa di solito anche la politica, gli uomini cercavano di organizzarsi in sindacati per riuscire ad avere un impatto sul modo in cui il loro lavoro veniva organizzato. Presto le donne si accorsero che anche le ollas comunes erano un modo di fare politica, tant’è vero che i militari della dittatura iniziano a prenderle di mira e a cercare di sopprimerle. Che c’è di artistico in queste ollas comunes? Non si tratta tanto di creatività nel senso di un’idea geniale che le donne cilene hanno avuto ragionando assieme. E non si tratta nemmeno di aver trovato una formula che “funzioni” per poter risolvere un problema, in questo caso quello della penuria di cibo. Le donne cilene poi non si definirebbero certo artiste. Ma si può parlare qui di arte e di collaborazione nel senso di una pratica da imparare, una pratica che in sé non è detto che funzioni, una pratica dove è necessario rimettere in gioco tutte le relazioni sociali, le relazioni tra i soggetti della pratica, tra questi e altri soggetti ancora, e le regole stesse delle istituzioni quali quella della famiglia nucleare.

In un certo senso dunque, rivendicare una pratica come le ollas comunes in quanto ‘artistica’ può voler dire rivendicare l’impossibilità di tradurla in un set di procedure, un metodo standard, un protocollo, e preservare il loro valore come contingente alla situazione di vita che sostengono.

Dall’altra però, nell’evocare l’arte si corre il rischio di esteticizzare la pratica e anestetizzarne le potenziali conseguenze perché proprio in quanto ‘arte’ questa rimane in qualche modo separata, sospesa dalla realtà quotidiana. Anche se l’arte non è esattamente sovrapponibile al concetto di creatività, però è anche vero che oggi questi due concetti sono spesso usati in connessione. Sarebbe allora forse utile distinguere tra due concetti diversi di creatività, che intersecano l’idea di arte in maniera distinta. Da un lato esiste un concetto di creatività inteso nell’accezione usata nelle ‘industrie creative’ per esempio. Questa è una creatività che viene sempre immaginata come derivante da una dimensione intima, privata, interiore e soprattutto individuale, anche perché deve poi essere reclamata come proprietà intellettuale. Anche quando è frutto di collaborazioni, questa rimane il prodotto di individui che si uniscono strategicamente per completare un progetto. Invece, la creatività delle ollas comunes come di molti altri esempi di pratiche comuni e conviviali, rimanda a un idea di creatività come surplus etico ed estetico del sociale, che proprio in quanto comune non può essere inquadrato come proprietà.

Entrambi i modelli di creatività modificano nel profondo le soggettività, ma solo la seconda crea delle situazioni che c’invitano a mettere in questione il modo in cui ci relazioniamo con altri e in cui strutturiamo le nostre vite. Invece spesso la creatività attivata all’interno delle industrie creative ci afferma come soggetti “geniali” che contribuiscono a creare immaginari e affetti coinvolgenti, ma senza mettere in questione i valori e le pratiche di valore che stanno alla base della nostra società neoliberale.

Potrebbe valere la pena di insistere sull’arte della collaborazione come strumento per far esplodere alcuni dei paradigmi e degli assunti che imprigionano il potenziale delle reti di lavoratori dell’arte, della cultura e dei creativi in pratiche narcisistiche, per sostituirle con percorsi di reciproca rieducazione solidale.