Cultura | Salto Afternoon

Dentro il mondo della classica

Samuele Telari è un fisarmonicista classico. Quest’ anno farà parte del line-up dello Schlern Music Festival. Ha debuttato con la Haydn in febbraio.
Samuele Telari
Foto: Kaupo Kikkas

Salto.bz: Signor Telari, lei ha fatto la sua tesi sulle Variazioni Goldberg. Cosa l'ha attratto di quest’opera?

Samuele Telari: Sicuramente l'interesse per Bach è nato fin dai primi anni dei miei studi. Ovviamente come fisarmonicisti siamo soliti frequentare la musica di Bach, quindi dopo aver conosciuto già abbastanza bene diversi dei suoi lavori, sia per clavicembalo, che per organo, mi è sembrato per certi versi naturale avvicinarmi a questo grande lavoro. Il brano in sé - magari è anche banale dirlo - rappresenta anche una sfida nel momento dell’esecuzione, trattandosi di un brano così imponente, complesso e difficile per la memoria. Quindi era una serie di aspetti che mi piaceva affrontare, oltre all’amore e all’interesse artistico che un pezzo come quello può trasmettere a un musicista.

Sulla sua website ha inserito una citazione: „Telari belongs to a generation of astonishing Italian artists whose overwhelming musicality goes beyond their instrument.“ Non le sembra un po’ un'affermazione a doppio senso, leggibile anche come critica alla fisarmonica?

Considerando come è visto lo strumento nell'immaginario più comune, anche dello stesso pubblico della musica classica, proporre un determinato repertorio come le Variazioni Goldberg e altri brani trascritti e lavori anche conosciuti in tanti arrangiamenti diversi, aiuta di più a sconfiggere certi pregiudizi e luoghi comuni, che sono ancora molto diffusi. Quando qualcuno è solido e completamente dentro a questo mondo, riesce a non pensare più allo strumento che sta suonando e a pensare solo alla musica, che è forse l’obiettivo che tutti noi musicisti abbiamo.

Lei si definirebbe „musicista classico“?

Per formazione mi ritengo musicista classico, ho fatto gli stessi studi in conservatorio come i miei collegi pianisti, violinisti e quant’altro. Riconosco però che proporre un repertorio classico con il mio strumento significa, per forza di cose, essere visto forse sempre di meno. Comunque ci sono sempre nuovi musicisti della fisarmonica che entrano nel mondo della classica, diffondendo sempre di più in certe zone del mondo questo volto diverso della fisarmonica. Però sono consapevole che possiamo ancora essere visti e considerati musicisti un po’ cross-over, che accostano spesso musica trascritta. Quindi eseguo musica classica fino a quella più contemporanea, che è propria del mio strumento. Per come intendo il mio lavoro, però, è ancora musica che sta  dentro al mondo della classica.

Il fatto che il repertorio di pezzi scritti per la fisarmonica sia abbastanza piccolo, lo trova in qualche modo positivo, avendo più possibilità di lavorare con le trascrizioni, o un limite?

Sicuramente avere un repertorio per il proprio strumento è bello, perché vuol dire che il proprio strumento è uscito dalla cerchia di fisarmonicisti. Il repertorio nostro nasce principalmente, appunto, da fisarmonicisti che poi hanno scritto per la fisarmonica. La grande maggioranza dei compositori lo conosce e lo usa, all’interno di organici orchestrali, e gli ensemble abbastanza regolarmente. Non è negabile che la letteratura moderna, per forza di cose, utilizza un linguaggio, che non tutti i tipi di pubblico riescono ad affrontare per un intero concerto. Quindi al solito si combina il nuovo con il vecchio e questo mi ha spinto più volte a ricercare un repertorio che non avrei altrimenti conosciuto, per poi studiarlo, adattarlo e farlo a modo un po’ mio. È un processo che, comunque, arricchisce moltissimo il mio essere musicista. Quindi sicuramente ha dei lati positivi, perché spinge a conoscere quello che non è del proprio campo. Lo sviluppo di un repertorio proprio poi è fondamentale per il musicista, perché spinge anche ad imparare nuove tecniche ed a evolversi.

Si è avvicinato anche ad altri strumenti?

Sì, soprattutto negli ultimi anni. Non so perché, ma mi è venuto in mente dal primo lockdown, quando ci siamo un po’ fermati tutti. E' stata una spinta a studiare, per curiosità personale, strumenti di natura diversa. Mi affascinano molto la tromba o il violino. Venendo da uno strumento polifonico a tastiera, so che questi strumenti melodici, dove c’è questo rapporto un po’ più stretto con la fabbricazione del suono, mi stanno sempre più affascinando. Ci penso sempre più spesso e spero che a breve avrò anche modo di conoscere qualcos’altro.

 

 

Come sono state fatte le scelte dei pezzi per il programma dello Schlern Music Festival?

Come sa, siamo diversi musicisti e nei programmi specifici ci mescoliamo un po’, nel senso che formeremo dei gruppi piccoli da camera. Ognuno porta - facendo i conti con il poco tempo che avremo a disposizione e i vari impegni che abbiamo tutti noi - delle proposte. Nel mio caso suonerò prevalentemente con il clarinettista Pablo Barragán. Proveremo per lo più sempre trascrizioni di brani del Novecento. Avevo proposto un pezzo di Schnittke, che affiancheremo a Stravinsky con un brano da „Petrushka“ e poi Lutosławski, quindi un po’ di musiche dell’Est d’Europa. Per forza di cose, dal Novecento ci sarà anche un po’ di Piazzolla. Ognuno ha fatto delle proposte, per creare anche un dialogo in quello che facciamo noi musicisti, tra di noi.