Ambiente | Zoom #3

Le ali dell'Alto Adige

Come si monitora lo stato di distribuzione e di conservazione degli uccelli in Alto Adige? Ce lo spiega l'ornitologo Francesco Ceresa.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale del partner e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
Distribuzione Uccelli - Museo Scienze Naturali
Foto: Museo di scienze naturali

In Alto Adige ci sono molte specie di uccelli (alcune comuni, altre meno) e c’è qualcuno che si è incaricato di determinare la distribuzione e lo stato di conservazione dei volatili altoatesini nidificanti. Il progetto è del Museo di scienze naturali di Bolzano e il responsabile scientifico è Francesco Ceresa, ricercatore specializzato in ornitologia, laureato in Scienze della Natura all’Università di Pavia e PhD in Biodiversità conseguito a Valencia, in Spagna. Ceresa lavora con la responsabile del progetto Petra Kranebitter, conservatrice della sezione di zoologia del museo. “Ho sempre coltivato la passione e l’interesse per il mondo animale e per il mondo scientifico della conservazione”, dice Ceresa spiegando perché ha deciso di cominciare a fare questa carriera. Fare questo lavoro comporta molte cose: metodi appropriati di raccolta e analisi dei dati sono fondamentali per ottenere risultati attendibili.

“I dati sono centrali per questo lavoro”, dice infatti Ceresa. Ne abbiamo una grande quantità ma fino ad ora non erano stati ben sistematizzati”.  Le informazioni che si possono dedurre dall’analisi e dalla messa a punto di un sistema coeso di dati servono anche a redigere una nuova Lista Rossa provinciale basata sui criteri dell’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura.

 

 

“Bisogna determinare la distribuzione degli uccelli e verificare se ci sono stati dei cambiamenti significativi nell’arco degli ultimi decenni, a partire dall’ultima lista rossa”, spiega Ceresa. Redigere una nuova lista rossa significa capire il rischio di estinzione delle specie a livello locale e per farlo bisogna avere dati numerici, derivanti da censimenti sul campo, adatti a stimare l’abbondanza delle singole specie ed a calcolare se e come tale abbondanza varia nel tempo. “Per fare questi calcoli facciamo delle analisi statistiche sulla base dei dati a disposizione, che gestiamo attraverso un apposito database. L’attendibilità dei dati è garantita da un’attenta analisi di plausibilità. In questo modo, in alcuni casi possiamo determinare anche i segnali di declino delle specie” conferma Ceresa.

Il progetto di cui Ceresa è responsabile è cominciato nel 2018 e finirà durante l’estate del 2020: in due anni di studio sono stati sono stati anche raccolti molti dati sul campo, poi utilizzati per elaborare varie pubblicazioni scientifiche. “È importante che le informazioni vengano poi rese pubbliche, saranno infatti consultabili sul sito florafauna.it”, sito già menzionato in questa rubrica all’interno dell’articolo relativo agli studi della sezione botanica del museo bolzanino.

 

 

Un altro buon esempio di come i dati sugli uccelli siano stati resi pubblici è il progetto MITO2000 (Monitoraggio Italiano Ornitologico), progetto che mostra quali siano stati i trend nazionali e locali sulla base dei rilevamenti effettuati e pubblicati a partire dall’anno 2000. Studi di questo tipo vengono portati avanti sin dagli anni ’60 dal Regno unito e, come si può vedere, vanno costantemente aggiornati. Studiare come sono distribuiti gli uccelli sul territorio può fornire dati importanti per quanto riguarda l’ecologia degli animali e quindi per quanto riguarda anche l’ecosistema.

Oltre ai fenomeni di declino delle specie si può osservare come esistano anche altri fenomeni opposti, come quelli di ri-colonizzazione a livello locale. Alcune specie hanno, infatti, ricominciato a nidificare sul territorio altoatesino. Alcune delle specie più comuni in Alto Adige, invece, sono il fringuello e la cincia mora, stando alle rilevazioni. Il progetto promosso dal museo non è solo utile allo studio ma – come sempre, in questi casi – porta anche alla nascita di una rete di studiosi. “Questo lavoro ci permette di avere un confronto metodologico costante tra gli addetti ai lavori”, conclude Ceresa.