Cultura | Salto Weekend

Esodo e confini

La seconda edizione della rassegna di film con focus sulla migrazione tra Merano, Bolzano e Bressanone, dal 15 al 23 maggio.
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Foto: Esodo e confini

Peccato per il poco pubblico. Mercoledì sera al Centro per la cultura di Merano si è svolta la seconda sera di Esodo e Confini a cura di Adel Jabbar con due documentari che trattano da due punti di vista opposti il concetto di confine: Sul fronte del mare di Raffaella Cosentino e Les Sauteurs di Moritz Siebert, Estephan Wagner e Abou Sakar Sidibè, entrambi del 2016. Nel caso del secondo, è Sibidè che ha girato tutte le immagini - “da dentro” - creando un racconto in prima persona del campo profughi sul Monte Guguru e degli assalti alla tripla recinzione tra il Marocco e Melilla (una delle due enclave spagnole, assieme a Ceuta), alta oltre cinque metri.  “L’Europa in terra africana”, viene chiamata dai profughi questa “terra promessa”, da raggiungersi spesso a costo della vita. Il film si apre con le immagini in bianco e nero riprese dai droni, immagini “termiche” in cui si notano piccole silhouette di persone che si incamminano come macchioline scure, tutti in fila, come formiche che si fanno strada lungo un percorso. Il regista danese Moritz Siebert ha dato la telecamera ad Abou Sakar Sidibè perché voleva una narrazione diretta, per frammenti, un punto di vista interno del campo, una visione insolita che puntasse il focus sui dettagli della vita quotidiana di questi uomini (non si è vista nemmeno una donna, lì, nel campo superaffollato da persone in attesa di oltrepassare quella frontiera per varcare la soglia dell’Europa, per realizzare il loro sogno per il quale hanno già percorso migliaia e migliaia di chilometri a piedi o con altri mezzi di trasporto). Abou si sposta con la macchina a mano per cui le immagini spesso sono traballanti, specialmente quando corre oppure si inoltra tra la fitta vegetazione dei boschi sul Monte Guguru, soprannominato il monte santo, che offre alloggio e ottima visuale per coloro che vi soggiornano, a volte a lungo, prima di riuscire a svoltare.

Sul fronte del mare di Raffaella Cosentino

La seconda edizione di Esodo e Confini è promossa da Cedox e si svolge nella seconda metà di maggio tra Bolzano, Merano e Bressanone. I film passati a Merano sono stati contemporaneamente a Bolzano al Cinema Capitol e la prossima settimana in alcune scuole di Bolzano e di Bressanone (il 23 maggio). Ciò che mancava, a Merano, in sala, erano proprio i giovani, ecco perché a parlare di confini nelle scuole ci sarà lo stesso curatore, Adel Jabbar, professore di sociologia e antropologia culturale all’università di Trento, per discutere questo tema delicato e al contempo di grande importanza laddove il seme della xenofobia potrebbe essere più che latente. Quale materia di insegnamento migliore delle testimonianze dirette, vissute da coloro che spesso nei media sono ridotti a soli numeri? Specialmente se qualche imbarcazione si rovescia in mezzo al mare o se alcuni tra gli assaltatori non ce la fanno? Il film è dedicato a Mustapha Togola, morto nel periodo delle riprese fatte nel corso del 2016 e grande amico di Abou.

Les Sauteurs di Moritz Siebert, Estephan Wagner e Abou Sakar Sidibè

A portare la propria testimonianza, in vece dei registi, purtroppo assenti, a Merano c’è stato Dagmawi Yimer, a sua volta co-regista di un altro film, Come un uomo sulla terra, di Andrea Segre e Riccardo Biadene, girato nel 2008 per aprire uno squarcio sulle responsabilità italiane ed europee nella gestione delle politiche dell’immigrazione dall’Africa (era nella cinquina finalista come miglior documentario per il David di Donatello). Yimer, giustamente, porta la questione al punto centrale, come già Abou aveva detto nel film – “inizio a sentirmi perché sto filmando” -, nel senso che è fondamentale per la cosiddetta rappresentazione della migrazione questo prendere direttamente la parola per contrasto a quella spesso falsata nel ridursi a uno sguardo “sulle” persone. Ci vuole una discussione per valutare meglio “chi racconta cosa?” e “cosa viene raccontato da chi?”, dove un elemento essenziale è il “non detto” che manca nelle narrazioni prodotte dal punto di vista europeo, per quanto possano essere ben fatte. Quel “non detto”, secondo Yimer, nel film distribuito da I Wonder (la distribuzione gestita dal BiografilmFestival di Bologna) sono le battute casuali che riavvicinano sul piano umano i profughi, oppure lo è la partita di calcio giocata ai margini dei campionati mondiali di calcio del 2016. Sono i sogni, le paure, le speranze, perché non riuscire nella boza, ossia nel passare al di là della tripla rete metallica che separa l’Africa dall’Europa, per queste persone significa il più grande fallimento personale. Perché? Vuol dire rinunciare al proprio sogno, per cui vale sempre la pena di provare e riprovare…

Un punto di vista inedito viene esposto nel corto Sul fronte del Mare di Raffaella Cosentino: si seguono i racconti del poliziotto Nicola Montano, il quale nel 1968 era un giovane pieno di ideali ma per lavoro era dall’altra parte, e quindi si è fatto trasferire a Bari, nel porto, a lavorare alla frontiera. Quali colpe hanno gli immigrati clandestini? Nessuna, a suo dire, per lui sono soltanto “ladri di stelle” (questo è anche il titolo del libro in cui narra le sue esperienze nel corso degli anni), l’unica colpa è quella di essere uomini e donne di nazioni e culture diverse. Lui era migrante in Germania nei primi anni sessanta e oggi che è in pensione ha deciso di impegnarsi per gli ideali per cui aveva sempre combattuto, e dopo aver fatto rispettare la legge anche quando non era convinto, ora da libero cittadino si batte per la chiusura dei Cie (i centri di identificazione ed espulsione) che violano i diritti umani. Là sono rinchiuse persone scoperte grazie all’uso di apparecchiature radiogene per cui il calore umano rende visibile ciò che dovrebbe rimanere invisibile, gli immigrati clandestini nascosti in vani di camion o di altri mezzi di trasporto. Nicola Montano si è reso conto che la frontiera vale soltanto per la gente semplice e povera, il ricco la sorvola, dotato di passaporti fiammanti falsi. La realtà è sempre un’altra cosa rispetto a ciò che troviamo scritto, nella Carta dei diritti umani e nella Costituzione italiana. Montano fa parte di un comitato che chiede un risarcimento per il comune di Bari per essere stato costretto a ospitare un Cie, complici lo stato italiano e altri paesi che hanno ridotto l’Europa a una fortezza rinchiusa in se stessa. Non c’è nessuna legge che regola questi Cie, è vera e propria illegalità di Stato. In quarant’anni di servizio nella polizia Montano non ha mai trovato un terrorista in mezzo ai clandestini, quelli viaggiano con passaporti nuovi, falsi, ovviamente. Il bagaglio del migrante clandestino consiste in un po’ di pane, qualche libro per lo più di natura religiosa e tante, tantissime foto dei propri cari. Spesso ha dovuto fare azione contrarie alla sua coscienza, che è stata ferita come lo è stata quella di parecchie altre persone. I titoli di coda ci dicono che la causa citata fu iniziata nel 2011 e al momento del montaggio del film, nel 2016, è ancora in corso. Dai media sappiamo che è prevista la costruzione di un Cie per ogni provincia. Ma allora? Cosa fare per migliorare la situazione? Favorire l’integrazione, anzi, l’inter-azione tra popolazione e immigrati, la strada è lunga per formare una società multiculturale, scoprire la propria identità nella diversità e soprattutto nel rispetto dell’una/o e dell’altra/o. Insieme si può crescere.