Cultura | Salto Afternoon

Mondi sonori

Dal jazz del Trio Wollny al barocco sui Champs-Elysées fino a Ciajkovskij e Dvorak, stasera ultimo concerto con la Baltic Sea Orchestra al Kurhaus.
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Foto: Südtirol Festival Merano

L’applauso è lungo e scrosciante per il Trio Wollny al Teatro Puccini, composto da tre geniali jazzisti dell’area germanica: Michael Wollny al piano, Christian Weber al contrabbasso e Eric Schaefer alla batteria. Wollny, classe 1978, con studi coi più diversi pianisti jazz del mondo nordico è un vero vulcano nella sua disciplina, le sue dita corrono con velocità supersonica sulla tastiera, come a voler esplodere in un non ben definito infinito per poi – invece - planare ogni volta con sicurezza nella pianura sonora melodica e continuare a ritmo più sostenuto nelle sonorità dominanti dei vari brani. Tempesta e gocce di rugiada. I suoi compagni nella tournée autunnale 2019, iniziata per l’appunto al Südtirol festival merano . meran, lo seguono, a volte lo anticipano e – soprattutto – ci dialogano. Sebbene con il batterista di Berlino, Schaefer, ci sia una collaborazione di più lunga data, avendo entrambi già fatto parte per 11 anni del trio (em) dove il basso era suonato da Eva Kruse, si nota un’ottima intesa sul palco anche con il bassista svizzero Weber. Il Trio ha esordito con una lunga sequenza di brani inanellati, un mix tra nuovi e vecchi, tra cui il noto Farbenlehre del 2018, When the Sleep Awakes (entrambi dello stesso Wollny) e Kyoto mon amour composto da Eric Schaefer. Quest’ultimo conta una lunga esperienza accumulata in diverse tournée negli anni novanta del Novecento che lo hanno portato tra l’altro attraverso il Sudafrica, la Corea e gli Usa. Il mondo sonoro che sa aprire è davvero ampio, e la regia delle luci accentua con studiata delicatezza l’universo misterioso da cui sorge la loro musica: luci gialle puntate sulle corde del contrabbasso, sui tasti del piano e sulle linee verticali della batteria, mentre luci viola disegnano i contorni dei piatti e le linee dei capelli dei musicisti – ottimo per rendere anche visivamente il suono (a tratti) metallico che si alza nell’aria.

 

Una lunga eco lascia, infatti, il brano di Paul Hindemith, Rufe in der rauschenden Nacht, come a sottolineare l’intento del Trio di lasciare nella nostra memoria i loro “richiami di una notte sonante”… Generosi nei bis, i tre musicisti ne hanno suonati ben due, dapprima un brano di andamento calmo, illuminato da luci blu, come per alludere alla nota blu che conduce verso il blues, e quindi verso la notte di avvenenti sonni e sogni, mentre il secondo, iniziato con un vivacissimo battere sui piatti da parte del batterista, rispecchiava maggiormente l’anima della serata. Unica.

Come uniche sono tutte le serate che ci regala il festival, giorno dopo giorno, mentre si avvia verso la fine: l’Orchestre des Champs-Elysées diretta da Philippe Herrewege si era esibito assieme al Collegium Vocale Gent per eseguire composizioni di Anton Bruckner, la Messa in mi minore e la Sinfonia n. 2 del 1877. Fondata nel 1991, l’orchestra si è specializzata in musiche del XVIII secolo fino agli inizi del XX, suonandole con strumenti dell’epoca. Il Collegium Vent invece esiste da quasi 50 anni ed è frutto della iniziativa di un gruppo di amici, studenti universitari a Gand, la città natale dello stesso Herreweghe che fu anche il promotore di questo ensemble vocale, il quale per la prima volta ha applicato i principi interpretativi della musica barocca. Questo approccio originale ai testi ha conferito loro una altrettanto originale sonorità tanto da distinguersi rapidamente a livello internazionale e raggiungere una certa notorietà. Oggi spaziano da oratori del romanticismo fino a composizioni contemporanee, vantando per altro una ricca discografia.


Sala stracolma nel Kurhaus c’era anche per la St. Petersburg Philharmonic Orchestra che ha eseguito il Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 in B flat minor op. 23 di Piotr Ciajkovskij, del secondo Ottocento, e la Sinfonia n. 9 in mi minore op. 95 “Dal Nuovo Mondo” di Antonin Dvorak, vissuto nello stesso periodo. Il direttore rumeno Ion Marin, che ha sostituito Yuri Temirkanov per motivi di salute, ha svolto meravigliosamente il suo compito, lanciando gli orchestrali in stupendi voli sonori, dove si potevano distinguere anche originali dialoghi tra il pianoforte e i violini. Ciò che all’inizio sembrava non valere nulla – come leggiamo sul catalogo – cioè a dire del pianista Rubinstein che all’epoca avrebbe dovuto eseguire la parte solista nel Concerto per pianoforte e orchestra di Ciajkovskij alla prima di Boston nell’ottobre 1875 e si era quindi rifiutato, di fatto era poi stato un trionfo nel suo assemblaggio di tonalità e sonorità spazianti tra musica popolare russa e ucraina fino alle più nuove invenzioni. I passaggi anche più complessi nell’ultima parte di “Allegro con fuoco” sono stati eseguiti con maestria dall’orchestra di San Pietroburgo a Merano, con Olli Mustonen al pianoforte. Nato a Helsinki una cinquantina d’anni fa, con studi in pianoforte, clavicembalo e composizione a partire da tenera età, questo musicista a tutto tondo crea una sorta di sintesi di tutta la sua conoscenza quando esegue i brani di grandi maestri per fare un approccio alquanto originale, ossia: egli intende eseguire ogni pezzo benché fosse già stato suonato anche migliaia e migliaia di volte come se fosse la prima assoluta. Per mano sua, e per di più ama interpretare ogni compositore come se fosse un suo contemporaneo. Ecco dunque che Olli Mustonen pone accenti tutti suoi, con grande e sapiente virtuosità, non mancando mai di approdare nella sonorità data e di condire il tutto con una gestualità altrettanto originale, dove le sue lunghe dita tra un tocco e l’altro sui tasti sembrano inviare i suoni doppiamente nell’aria. In alcuni momenti ricorda persino la carica sonora di un Michael Wollny, avvicinandolo quindi al pianista jazz di qualche sera prima, certo, seguendo un altro registro melodico, ma in certi momenti quella “stella artica della musica” sembrava astrarsi completamente dalla sala, tanto era diventato un tutt’uno con la tastiera davanti a sé. E la sua eccezionale bravura è emersa ancora di più nel breve bis, quando suonando note calde a ritmo lentissimo e facendo alla fine vibrare il silenzio…

 

La Sinfonia n. 9 di Dvorak, da lui composta in onore dei 400 anni dalla scoperta del “nuovo mondo” da parte di Cristoforo Colombo negli anni in cui era direttore del New York National Conservatory of Music, rispecchia la maturità del compositore ceco che qui ha riunito la matrice classica europea con motivi originali attinti dagli spiritual della popolazione nera e indiana. Iniziata nella primavera del 1893 fu eseguita per la prima volta alla Carnegie Hall il 16 dicembre dello stesso anno dalla New York Philharmonic diretta da Anton Seidl, e fu un enorme successo. Suddivisa in quattro movimenti scorre al pari delle navicelle di Colombo sulle acque dell’oceano, a volte calme, a volte ondose e altre tempestose, fino a confluire nel celebre tema maestoso dell’”allegro con fuoco” finale che riprende l’intero mondo sonoro della sinfonia. Anche a Merano è stata un grande successo, tanto da chiamare a gran voce un bis, puntualmente arrivato: l’orchestrazione dello stesso Dvorak delle ultime due danze russe di Brahms. Il direttore d’orchestra Ion Marin si è letteralmente – e visivamente - sciolto nei ritmi che deve conoscere molto bene, e che suonano come certe cavalcate tipicamente rispecchianti le infinite campagne russe, proprio come ce la immaginiamo, nelle fiabe o nei film, immense steppe popolati da lupi, dove l’orchestra, qui, ce la fa persino vedere i colori e odorarne delicatamente i profumi…

Grazie, cari orchestrali di San Pietroburgo, per questo concerto da mille e una… danza!