Ucraina, Realpolitik e conseguenze macro

Al di là dei drammi umanitari che ogni guerra porta con sé il 24 febbraio obbliga l'Occidente a farsi un bel esame di coscienza sulle proprie responsabilità nella triste vicenda ucraina. Una di queste è certamente stata di insistere sulla nozione che anche l'Ucraina abbia - come tutti gli stati, nella visione occidentale - il diritto di scegliersi indipendentemente le proprie alleanze politiche e militari. Applicare questa dottrina democratica - per noi ovviamente condivisibile - su una sfera di interesse da sempre russa è stato un errore. L'autocrazia russa ha una dottrina diversa e da sempre ha sottolineato che non intende rinunciare a questo lembo di terra. Se quindi la leadership russa ha deciso in questo preciso momento - in un periodo di prezzi energetici molto alti - di assecondare le proprie priorità con mezzi militari non possiamo sorprenderci più di tanto, vista una certa consequenzialità e logica di tutto questo: ovvero una schietta politica di interessi nazionali. L'Occidente dovrebbe quindi scandalizzarsi meno, offrire aiuti concreti all'Ucraina, accogliere i profughi - come sta facendo con grande generosità - ma soprattutto adoperare un approccio più razionale verso questi stati antidemocratici, per esempio abbandonando la favola della democratizzazione forzata del mondo (fallita praticamente ovunque). Una volta si chiamava Realpolitik e tuttora rimane l'unica politica razionale verso regimi non democratici.
Ma cosa significa tutto ciò in prospettiva? Che probabilmente non siamo di fronte ad una guerra lampo, che il conflitto di interessi è reale e che quindi la Russia cesserà le armi solo di fronte ad una vittoria militare oppure ad importanti concessioni politiche sul futuro 'neutrale' dell'Ucraina. Sul lato macro-economico una guerra più lunga porterà ovviamente ad una serie di squilibri sul lato dell'offerta - insomma dei classici supply shock come dai libri di testo - che senza dubbio porteranno ad implicazioni molto più gravi di quelle lasciateci dalla pandemia. Quest'ultima ha difatti colpito solo pochi settori - turismo, ristorazione - mentre questo conflitto rischia di danneggiare l'economia in modo più profondo e vasto. Profondo perché già attraverso la nuova accelerazione dei prezzi energetici gli effetti negativi saranno significativi su offerta e domanda, vasto perché in questo caso tutti i settori produttivi saranno colpiti. In più la produzione in alcuni settori chiave - vedi semiconduttori - aveva già difficoltà proprie in precedenza mentre le attuali chiusure cinesi per Covid (Shenzen!) non aiuteranno. Se aggiungiamo pure le criticità nel segmento delle materie prime agricole - una per tutte: il grano ucraino - in caso di guerra prolungata la frittata è proprio fatta. Insomma, i rischi sono tanti e i mercati sembrano aver scontato questi scenari di lungo termine poco favorevoli. Per questo motivo ogni barlume di speranza in questi giorni viene salutata con un eccesso di rialzo nell'azionario. Per le banche centrali intanto il quadro si è offuscato in modo significativo e questo vale soprattutto per la Bance Centrale Europea (BCE). In America infatti la situazione sul fronte dei prezzi è stata critica già a gennaio: data la forte ripresa dell'occupazione il rischio che le aspettative inflazionistiche finissero fuori controllo è stato reale già prima della guerra, lasciando poche opzioni alle autorità monetarie. La via dei rialzi dei tassi - avviata pochi giorni fa con la prima stretta della Federal Reserve - era già segnata e sarà percorsa oltre, la guerra potrà incidere solo sulla velocità dei rialzi. In Europa invece, dove la disoccupazione è ancora molto più alta la BCE farebbe bene ad operare una politica più cauta sulla riduzione del allentamento monetario (quantitavie easing), anche per la maggiore dipendenza energetica dalla Russia e per le ripercussioni economiche più gravi di una guerra in casa propria. Sarà la prova di fuoco per Christine Lagarde alla presidenza della BCE di mostrare di poter tenere a bada i falchi nel suo consiglio. Per ora non ha certo brillato per chiarezza di comunicazione e leadership sulla direzione della politica monetaria.
Per il resto rimane sempre la speranza di una qualche rapida conclusione diplomatica del conflitto. Ma dovremmo certamente salutare l'idea che tutto questo sia solo un brutto sogno oppure il risultato di reazioni irrazionali della Russia. Insomma, solo un ragionevole compromesso sui reali interessi dei contendenti potrà portarci alla pace. Ma anche in questo caso favorevole - seguito da un fortissimo rialzo dei mercati - dovremmo accettare che il mondo che vedremo dopo sarà diverso da quello che conoscevamo: sarà piú isolazionista - e conservatori à la Trump cercheranno di trarre vantaggi da ció - meno aperto al commercio estero e più concentrato su fonti proprie di energia e materie prime. Insomma, sarà un mondo più povero.
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