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La doppiezza di un passaporto

Cosa si cela veramente dietro la richiesta ripetuta con petulanza e più volte respinta da Vienna di concedere il doppio passaporto ai sudtirolesi?

Le pubbliche affissioni ci informano che la destra estrema sudtirolese ha deciso di tornare a cavalcare, in questo intervallo di mezza estate, la questioncella della doppia cittadinanza austro-sudtirolese. Palese imbarazzo della Suedtiroler Volkspartei che non può far dimenticare facilmente di essere stata, con i suoi deputati, all'origine della vicenda e moderata deplorazione da parte di quasi tutto il mondo politico austriaco e, dalle nostre parti, dei Verdi che, giustamente, invitano a trovare argomenti più seri e importanti con cui ingombrare l'agone politico.

Ma, tant'è e quindi vale forse la pena di inquadrare la strumentalizzazione di chiaro stampo nazionalistico in un contesto storico e giuridico che faccia giustizia di un tema che, nelle nostre terre, ha radici lontane.

Si comincia, come sempre, da quel fatidico 4 novembre del 1918, con il crollo di un impero che comporta, inevitabilmente, grandi mutamenti anche per lo status individuale di milioni di persone. Nel caso che ci interessa la norma fondamentale è costituita dall'articolo 70 del trattato di pace concluso e firmato il 10 settembre del 1919 a Saint Germain tra Italia e Austria. Esso prevede, in buona sostanza, che diventino cittadini italiani, automaticamente e senza bisogno di nessuna formalità burocratica, tutti i residenti (del documento ufficiale il termine utilizzato è quello di "pertinenti") nei territori annessi all'Italia. Per alcune categorie di persone come ad esempio coloro che hanno in questi territori la residenza ma non vi sono nati ed altre ancora scatta una procedura di acquisto della cittadinanza italiana su richiesta. Si tratta in sostanza di un primo fenomeno di "opzioni" da non confondere assolutamente, però, con quelle ben più tristemente famose scattate nel 1939. A Trento, Bolzano, sul confine orientale centinaia di migliaia di persone acquistano dunque con un sol colpo la cittadinanza italiana e perdono quella di un impero che non esiste più e che si è frazionato improvvisamente in una lunga serie di Stati nazionali.

In Alto Adige, per tutta una serie di motivi che sarebbe troppo lungo elencare, continuano a risiedere però migliaia e migliaia di persone che non hanno la cittadinanza italiana e che per lo più hanno acquisito, nel passaggio postbellico, quella della nuova repubblica austriaca, se non, addirittura, quella della Repubblica di Weimar. La loro presenza che, nel corso dei decenni, tende ad aumentare anziché a decrescere, costituirà uno dei motivi maggiori che alimentano sul finire degli anni 30 la tensione tra l'Italia fascista e la Germania hitleriana. Un intoppo poco gradito, dalle due dittature, che rischia di mandare a patrasso il processo di alleanza che prende corpo, soprattutto, dopo l'Anschluss con il quale, nel 1938, i nazisti fanno un sol boccone dell'Austria.

Uno dei punti di partenza del progetto per le opzioni di cittadinanza del 1939 è proprio la richiesta italiana di rimpatriare la gran parte degli oltre 10.000 cittadini del Reich residenti in Alto Adige e la cui ostentata fede nazista rischia di vanificare lo sforzo del regime per l'italianizzazione della provincia. Va notato che quando, il 21 ottobre 1939, vengono rese note, dopo lunga attesa, le famigerate norme concordate nel giugno precedente in una riunione svoltasi a Berlino, esse distinguono nettamente tra due situazioni ben diverse. Da un lato si prevede il rimpatrio obbligatorio per tutti i cittadini germanici residenti in provincia di Bolzano e nelle zone limitrofe (Bassa Atesina e Ampezzano) interessate dall'accordo. Per i cosiddetti "allogeni" e cioè in sostanza per i sudtirolesi divenuti italiani dopo la guerra si parla invece di trasferimento su richiesta. È la famosa opzione che, come raccontano le cronache di allora e le ricostruzioni storiche di oggi, diviene ben presto un tragico quesito morale e materiale che lacera l'animo e il corpo di una minoranza gettata da due dittature nella fornace di una diabolica scelta, all'ombra di una guerra mondiale ormai già iniziata.

La fine del conflitto trova una situazione, dal punto di vista della cittadinanza molto più intricata di quella precedente. In Alto Adige ci sono coloro, italiani e sudtirolesi optanti per l'Italia, che la cittadinanza non l'hanno mai persa e ci sono invece coloro che vi hanno rinunciato ufficialmente, ma che non hanno potuto o voluto completare l'operazione con il trasferimento materiale e  sono rimasti nelle loro case. Oltre frontiera premono per tornare, ma non tutti e non sempre, coloro che invece quel viaggio verso il radioso futuro ingannevolmente promesso dai propagandisti del Reich millenario l'hanno intrapreso, finendo derubati di ogni avere, confinati in tristi campi di raccolta, schiacciati dal crollo della creatura hitleriana.

Con l'articolo 3 del trattato de Gasperi- Gruber , siglato 5 settembre del 1946 a Parigi si cerca di dare soluzione al problema degli optanti, superando non pochi problemi di natura giuridica. Scartata a priori, per volontà italiana, l'ipotesi di un riacquisto automatico della cittadinanza da parte di tutti gli optanti la soluzione trovata distingue in pratica tra due categorie: quella di chi, pur avendo optato per la cittadinanza germanica nel 1939, non ha perfezionato l'opzione con il trasferimento della residenza oltre confine e che dovrà limitarsi a presentare una dichiarazione di revoca dell'opzione stessa e che invece ha abbandonato il territorio nazionale. Per questi ultimi è prevista una procedura di riacquisto della cittadinanza italiana. Il tutto passa attraverso l'esame di apposite commissioni incaricate di verificare che tra i cosiddetti "rioptanti" non si celino personaggi compromessi con il regime nazista. Una storia lunga e complessa che arriva a conclusione solo dopo diversi anni con un accoglimento quasi totale di tutte le domande presentate.

Messa così può sembrare un'esercitazione di diritto internazionale ma dietro ognuno di quei fascicoli conservati, se non ricordo male, negli archivi del commissariato del governo di Bolzano ci sono storie drammatiche di famiglie separate, di esistenze spezzate, in figli cresciuti lontano dai genitori e fratelli e sorelle divisi da una sorte ingiusta.

Con l'archiviazione della vicenda delle opzioni e delle riopzioni, le questioni relative alla cittadinanza parrebbero dover scivolare sullo sfondo delle pur turbolente vicende politiche altoatesine del secondo dopoguerra. La crisi della prima autonomia e la nascita della seconda sembrano spostare il tema politico sul piano di una crescente capacità di autogoverno delle minoranze. Ci sono poi la nascita e l'affermarsi di una realtà europea che apre prospettive inimmaginabili sino a qualche decennio prima. I confini divengono labili segni su una carta, la libertà di movimento, di lavoro, di accesso a strumenti informativi e culturali nelle lingue più diverse, l'esistenza di una moneta unica e di regole unitarie a livello continentale sono i segni di un superamento del passato che confina nei libri di storia e nelle rabbiose nostalgie dei nazionalisti le tensioni, gli odi, i conflitti.

Pareva a molti in quei giorni che le questioni di cittadinanza, ed è per questo che le abbiamo volute rievocare sia pur di sfuggita, dovessero appartenere al passato con i loro triste corredo di dolori e ingiustizie. 

Ci sono purtroppo storie che non conoscono la parola fine. Da un altro tristissimo lascito delle dittature nazionaliste del 20º secolo prende le mosse la storia che commentiamo in questi giorni. Con due normative approvate dal Parlamento italiano nel 1992 e poi nel 2006 viene concessa la cittadinanza agli italiani rimasti, dopo di grande esodo del secondo dopoguerra, nei territori ceduti alla ex Jugoslavia, Istria e Dalmazia ed ora facenti parte di Slovenia e Croazia. Si tratta di alcune migliaia di persone, poco più di diecimila secondo alcuni calcoli, che vengono parificate in questa maniera ai discendenti degli emigranti italiani sparsi in tanti paesi del mondo. La misura suscita immediatamente vivaci proteste da parte dei governi degli Stati interessati, che accusano l'Italia di revanscismo irredentista anche se in realtà ormai la presenza italiana in Istria e Dalmazia è talmente esigua e rarefatta da non poter più rappresentare un problema di tipo politico.

È a questo punto che la questione diviene di attualità anche nel piccolo universo politico altoatesino. I deputati SVP Brugger e Zeller prendono spunto dalla decisione italiana per chiedere che altrettanto venga fatto anche per i sudtirolesi che dovrebbero ricevere in via automatica anche alla cittadinanza austriaca. Sin dall'inizio la questione del doppio passaporto viene accolta dal mondo politico austriaco in maniera che definire glaciale non è esagerato. Nessuno a Vienna si nasconde gli enormi problemi che un passo del genere finirebbe per creare. Tanto per cominciare un simile gesto creerebbe un precedente pericoloso tra due stati dell'unione europea sollecitando l'apertura di una serie di vertenze relative alle numerosissime minoranze esistenti in vari paesi. Basti pensare, nella stessa Austria, agli sloveni della Carinzia, ma anche alle minoranze tedescofone esistenti in Ungheria o nella Cechia , a quelle ungheresi in Romania e rumene in Ungheria e così avanti in un rosario infinito che creerebbe instabilità, dissidi, revanscismi e polemiche. Si tratta di timori ovviamente condivisi da molti governi ed anche dagli stessi vertici dell'unione europea, convinti, non a torto, che la tutela delle minoranze etniche e linguistiche possa essere perseguita proprio cercando di trovare soluzione all'interno della comune cornice europea e non esasperando i conflitti e le divisioni. D'altronde i politici italiani e austriaci sono i primi, quando si tratta di crisi regionali, a proporre quello altoatesino come un modello per superare i conflitti. Parrebbe molto contraddittorio che proprio da questo modello dovessero scaturire nuovi elementi di contrasto e di divisione.

Sono ragionamenti, questi, che in modo cortese e pacato vengono opposti diverse volte nel corso degli anni alle richieste che i politici altoatesini rivolgono a Vienna. Inutilmente. La macchina politica della Suedtiroler Volkspartei, come noto, non è dotata della marcia indietro e quindi la richiesta del doppio passaporto continuerà a far parte per l'eternità del "cahier de doléances" da consegnare ad ogni incontro agli esponenti della PT (potenza tutrice). Questo, tuttavia, non vale ad evitare che dell'argomento si impadroniscano vigorosamente i partiti del nazionalismo destrorso sudtirolese che ne fanno a loro volta un proprio cavallo di battaglia, sia per mettere in difficoltà il partito di raccolta sia per poter sventolare orgogliosamente il vessillo di una questione che può toccare il cuore di un elettorato che ormai, per un terzo buono, sceglie forze politiche votate alla secessione dall'Italia.

Sin qui gli avvenimenti. Resta da capire se l'impresa avviata su questo scivoloso terreno altro non sia, come sostengono alcuni commentatori, che uno tra i tanti argomenti emotivi e coinvolgenti che il nazionalismo sfodera in Alto Adige sapendo di trovarvi sicura remunerazione sul piano politico ed elettorale o se sul fondo vi sia qualcosa di più. Il dubbio è legittimo. In una situazione nella quale ormai l'Alto Adige si avvia, senza soverchio opposizioni da parte romana, a realizzare conquistando sempre nuove competenze quella Vollautonomie che ne farebbe una sorta di piccolo Stato sovrano e nella quale l'appartenenza all'Europa svuota di gran parte del suo significato le differenze tra nazioni, il fatto di attribuire tanta importanza al colore di un passaporto può avere un solo significato.

Tra le opzioni politiche sempre aperte, anche se forse più remote  di quanto lo fossero a  metà degli anni 90 e nel pieno della recente crisi, resta sicuramente quella di un possibile collasso del sistema Italia, di un clamoroso default della sua economia e quindi di un concretizzarsi di quei fenomeni separatisti che restano nel carnet politico di alcune forze. In questo caso estremo, in effetti, la doppia nazionalità di una popolazione così compatta e già adottata di una potente dose di autogoverno creerebbe dei presupposti ideali per uno scivolamento dei confini abbastanza indolore. Sembra fantapolitica, ma evidentemente qualcuno si prepara anche ad eventi estremi di questo genere. Forse ci spera.

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Hartmuth Staffler Sab, 08/22/2015 - 22:24

In diesem wirren Artikel voller Widersprü+che ist es dem Autor nicht gelungen, den Unterschied zwischen den Italienern in Slowenien und Kroatien bzw. den Slowenen in Italien und den Südtirolern zu erklären. Irgendeinen Unterschied müsste es ja geben, wenn die doppelte Staatbürgerschaft für die einen gut und für die anderen schlecht sein soll.

Sab, 08/22/2015 - 22:24 Collegamento permanente
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pérvasion Dom, 08/23/2015 - 07:50

«In una situazione nella quale ormai l'Alto Adige si avvia, senza soverchio opposizioni da parte romana, a realizzare conquistando sempre nuove competenze quella Vollautonomie che ne farebbe una sorta di piccolo Stato sovrano […]»
È uno scherzo, vero?

Dom, 08/23/2015 - 07:50 Collegamento permanente