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Il mio Sudtirolo – Appunti

Una tenda bianca che copre tre grandi finestre sullo sfondo, una sedia e un paralume. La “Lettura d’autore” di Monica Trettel si svolgerà domani per la terza volta.
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Foto: Privat

RAUM 8 è un teatro domestico non “addomesticato”: è dall’inizio del mese che l’attrice bolzanina ha preso in affitto fino in primavera per una sera a settimana - assieme a Michele Fiocchi (che fa parte della compagnia Teatro La Ribalta e che qui due settimane fa ha presentato il suo Ulisse sotto forma di teatro-danza) - questo spazio che consiste in una stanza, molto accogliente, con pavimento in legno, pareti bianche, poche sedie semplici, nere, e alcuni cuscini colorati sparsi per terra per appoggiarci i piedi – sì, perché al RAUM 8 si accede senza scarpe, forse anche per calpestare in modo silente e delicato uno spazio che si fa scenico nella mente di chi ascolta. Gli Appunti - di cui sopra - Monica Trettel li ha scritti nel giro di tanti anni che vive in questa provincia, per “liberarsi da un’ossessione” – come lei stessa afferma. Ha scritto con questo spirito le sue “osservazioni poetiche, spesso ironiche, a volte amare”, di cui – a dire il vero - non sapeva che farsene. A un certo punto, come molte cose create, hanno voluto emergere, ma lei era piena di dubbi: è meglio buttare quelle pagine o bruciarle? O – forse - provare a condividerle con un pubblico? Monica Trettel ha scelto quest’ultima via e, sin dalla prima sera, il pubblico che a ogni replica è apparso più numeroso ha seguito con attenzione e partecipazione il flusso delle parole che l’attrice “italiana” dai capelli biondi e la figura esile seduta a sua volta su una sedia snocciolava con disinvoltura risucchiando nel suo vortice immaginativo le emozioni di coloro che erano in ascolto, andando a creare così quella magica atmosfera che a volte si compie quando attore e pubblico si fondono in un tutt’uno per viaggiare dentro un mondo immaginario – insieme.

Ma cosa ci viene raccontato in questo viaggio nella memoria? Si parla della Heimat, di quella che l’autrice intende volutamente senza l’acca davanti e che nuda e cruda significa semplicemente “madre patria”, con tutto ciò che ne concerne – e nostro malgrado sappiamo cosa a volte implica, ivi comprese gli ultimi dibattiti nazional-populisti sul doppio passaporto – ma si parla anche di quella volutamente scritta e pronunciata con l’acca, dove quella consonante espirata inizialmente giunge direttamente dal cuore, e questa Heimat è la terra che si ama, in cui si vive, in cui si piange e si ride. Con anima e corpo, e non importa di che colore siano i corpi e di che tipologia siano le anime… In questa terra vige la regola 54 secondo cui diventare sudtirolesi è possibile. Cosa dice questa regola non ve lo svelo qui, però.

Sentiamo anche i pregiudizi che in molti avranno sentito dirsi, se in altre città italiane ci si dichiara “italiani”, del nord certo, anzi, no, non soltanto del nord, si diventa subito gli italiani di “lissù”, un “lissù” esplicito di per sé, per cui non vale nemmeno la pena elargire il discorso, qui, nel senso che Monica Trettel lo fa in modo talmente fine e ironico per cui il quadro si fa ampio, va oltre le ristrettezze di gruppi linguistici o culturali andando persino oltre la sua stessa lingua, in cui recita, quella italiana. Le sue “osservazioni poetiche” toccano le corde di tutti, anche quando descrive alcuni personaggi storici di questa terra, ossia i due eroi massimi: Andreas Hofer e Silvius Magnago. Del primo, l’autrice-attrice racconta la storia narrandone in modo assai personale le vicende, come se fosse un vecchio conoscente, citandone l’impegno e l’impeto nel combattere per l’indipendenza del popolo tirolese – aiutato anche da un forte credo religioso – contro l’esercito francese di Napoleone che aveva stretto un accordo (a tradimento per i tirolesi) con la Baviera nei primi anni dell’Ottocento, quando poi, dopo alcune gloriose vittorie, l’oste della val Passiria divenne a sua volta vittima di un tradimento, al pari del suo dio, Cristo, e fu anche lui ucciso, a colpi d’arma da fuoco – sparati male, pare. Del secondo, invece, dell’eroe contemporaneo e fondatore della attuale provincia autonoma ci vengono descritti i funerali, di stato, con la chiesa stracolma, la piazza piena di gente, i ministri arrivati da Roma e i politici giunti da tutta Europa, i botti, le bandiere sventolate, il forte vento che soffiava…

Monica Trettel costruisce un insieme che non tralascia segni critici, sul piano politico-sociale e culturale.

E mentre le parole pronunciate in modo quasi mozzafiato vanno a creare architetture immaginarie di un evento che fu, è come se una cinepresa si alzasse in volo per mostrarci – come in un filmone storico di altri tempi – una vasta ripresa dall’alto: la folla, la processione, una città – no, un paese intero - in lutto. Noi che siamo lì seduti – sulle sedie in doppia fila disposte a semicerchio - la vediamo, quella scena, tutti, tanto ci viene descritta vivida nei dettagli – senza enfasi, senza ironia, con grande partecipazione e comprensione. Da osservatrice, appunto. Eppure, da osservatrice attenta che cura al massimo i dettagli – e qui prendo nuovamente in prestito il linguaggio cinematografico visto che essi fanno sì che ognuno si crei un proprio montaggio direttamente nella testa, Monica Trettel costruisce un insieme che non tralascia segni critici, sul piano politico-sociale e culturale. È nei dettagli che lei ci fa sapere le sue impressioni rimanendo sempre al di qua di quella fine linea rossa per non sfociare mai nell’eccesso o nel voler prendere posizioni esagerate, in un senso o nell’altro. Monica Trettel narra la realtà, ed è nel vero reale che i piccoli dettagli fanno grande una storia: tante piccole storie descritte con poesia, narrate con amore, a volte dipinte con tonalità fantasmagoriche. Provare per credere: sono sicura che ognuno e ognuna troverà in questi appunti di Monica Trettel un po’ del proprio Sudtirolo, o per chi viene da fuori della propria visione del Sudtirolo, essendo il “suo” narrato con tale leggerezza, sapienza e saggezza.