Politica | Stati Uniti

“Il Presidente USA? Eletto dagli Stati”

Il costituzionalista Francesco Palermo analizza il ritiro di Joe Biden dalla corsa per le presidenziali americane: “A incidere è il sistema, non l’emotività del momento”.
Biden, Harris
Foto: Joe Biden/X
  • SALTO: Professor Palermo, lei s'aspettava il passo indietro di Joe Biden, ovvero la rinuncia alla candidatura per un secondo mandato da Presidente?

    Francesco Palermo: Il fatto che Biden si sarebbe ritirato era evidente dopo il dibattito televisivo. Non c'era più nessuna possibilità. La questione era solo il come e il quando — e questa di per sé non è neanche una terribile novità. Il punto è: cosa succede adesso?

    Cosa succederà secondo lei?

    Intanto c'è un aspetto mediatico interessantissimo. La “Stimmung”, il clima generale, potrebbe cambiare sulla base di questioni emotive. Prima c'era l'emotività negativa verso Biden, adesso potrebbe scattare l'emotività positiva rispetto a Harris — che sinora ha avuto una pessima performance, o meglio, una pessima stampa. Ma le cose cambiano molto rapidamente: l'emotività con cui si prendono le decisioni politiche non è un tema soltanto italiano, è un tema più ampio dato anche dal “brodo di cultura” del populismo.

    Il comportamento degli elettori è estremamente volatile in molte democrazie dell’Occidente.

    Assolutamente, e questo rende le democrazie molto fragili di per sé, strutturalmente. Il sistema presidenziale funzionava in un certo modo in un'epoca pre-comunicazione di massa. Adesso funziona in modo diverso, perché calato in un altro contesto. L’idea dei padri costituenti era di un Presidente — come diremmo in Italia — “notaio”. Avevano davanti la monarchia britannica di fine Settecento, dove il Parlamento s’era appena emarginato dal monarca assoluto, il Re restava come figura di garanzia con relativamente pochi poteri ed era controllato dai notabili. Perciò s’è creata un’elezione del Presidente dove contano gli Stati più degli elettori. All’epoca, a votare i delegati degli Stati non erano i cittadini, bensì le assemblee, i Parlamenti. Un capo più o meno formale era controllato da un sistema di scrutinio precedente, mentre gli elettori erano pochissimi: maschi bianchi, proprietari terrieri votavano i Parlamenti dei rispettivi Stati, e i Parlamenti dei rispettivi Stati (già molto selezionati) indicavano i delegati nel collegio elettorale. Oggi l'elezione degli Stati Uniti è sostanzialmente popolare, anche se a contare sono sempre i voti degli Stati.

  • Francesco Palermo: costituzionalista ed ex senatore della Repubblica. Foto: SALTO
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    Ma non contano niente, o al massimo sono indicativi. Dal 2000 al 2020 ci sono stati 12 anni di presidenza repubblicana — tutti tranne gli 8 anni di Obama —e soltanto in un caso, cioè il secondo mandato di George W. Bush nel 2004, c'è stata una maggioranza di voti repubblicani a livello popolare. Gli Stati eleggono il Presidente, più che le persone: può piacere o non piacere, si può riflettere se sia attuale in un sistema di democrazia meno mediata, ma è così.

    A partire dal dibattito televisivo s’è posta maggiormente la questione dell'età di Biden, d’un Presidente anziano — e di quanto l'età di un politico impatti sul sistema. È solo “ageism”?

    È un tema. Esistono regole di età minima ma non di età massima: il Presidente degli Stati Uniti deve averne 35, da noi 50. Non si parla mai di età massima: l'unico precedente negli Stati Uniti è per quanto riguarda i giudici federali — non solo della Corte Suprema: la formula è "during good behavior" cioè in carica finché si comportano bene. Decidono loro quando ritirarsi, oppure devono essere sottoposti a un procedimento che ne accerti la perdita delle facoltà mentali e lavorative. Ma a maggior ragione quando si eleggono figure monocratiche — potrebbe capitare in Italia se dovesse passare la riforma sul cosiddetto “premierato” — il tema è che eleggi una figura, ma non tutto il suo staff. Quando cambia il Presidente, a Washington sono tra le 20 e le 30 mila persone a cambiare lavoro: uno spoils system istituzionalizzato, che “crea” la macchina e può tamponare eventuali falle di Presidenti anziani lasciando loro un ruolo meramente simbolico.

    Se Biden non si fosse ritirato, secondo le regole interne dei Democratici sarebbe stato difficile impedirne la corsa?

    La Costituzione non disciplina le primarie, che sono un’invenzione post-guerra civile, in particolare del Novecento. Le regole sulle primarie sono scritte dagli Stati su richiesta dei singoli partiti. Non esiste alcuna legge elettorale federale, né per il Congresso né per il Presidente. Sono 50 leggi elettorali, una per ogni Stato. Esistono regole diverse per i diversi partiti nei diversi Stati, e poi ci sono le regole interne dei partiti. I Democratici hanno regole più complesse, con una Convenzione nazionale più grande, con i super-delegati e diverse componenti più plurali da tenere insieme. I repubblicani a partire da Reagan hanno incentrato tutto sul leader.

    Il cambio in corsa dei Democratici inciderà sul risultato delle elezioni?

    Il tema non è solo l'elezione del Presidente — che molti democratici davano già per persa — ma la performance complessiva. Ogni due anni si vota negli Stati Uniti: per la totalità della Camera, un terzo del Senato e una volta sì e una volta no per il Presidente. Se perdi il Presidente, la cosa fondamentale è non perdere tutte e due le Camere e possibilmente non il Senato. Da lì passano le nomine: i giudici, gli ambasciatori e la Corte Suprema, l'organo che conta davvero negli Stati Uniti, più del Presidente. Inoltre la polarizzazione politica è tale che si vede dalla macchina che guidi se sei democratico o repubblicano: la polarizzazione non sposta molti voti, chi aveva deciso di votare per l'uno o l'altro mantiene la posizione. Sarà questione di poche migliaia di voti in pochi Stati chiave a determinare l’elezione.

    Anche da questo lato dell'Oceano si sta tornando a una polarizzazione: in Italia che effetti può avere il bipolarismo, soprattutto se venisse introdotto il premierato?

    Alle politiche il risultato sarebbe stato totalmente diverso. Cinque ottavi dei seggi sono uninominali e il centrosinistra è andato separato in tre parti. Mentre con il premierato, o dai un premio di maggioranza — e allora hai distorto fortemente il risultato — o non dai il premio, ma potresti ritrovarti un Presidente del Consiglio eletto senza una maggioranza parlamentare e quindi hai peggiorato la situazione. La legge elettorale dovrà prevedere giocoforza un premio di maggioranza. E così pochissimi voti potranno fare la differenza. Perché non è l'elettore a decidere, bensì chi sa gestire il sistema elettorale. Conta come funzionano le macchine e come eventualmente adattarle. Anche in Francia è andata così — e se ci fosse stato il premierato ci saremmo trovati Bardella presidente del consiglio.

    Gli Stati Uniti potrebbero, un giorno, cambiare le regole del gioco?

    Modificare il sistema degli Stati Uniti è difficilissimo. Servono tre quarti degli Stati su 50. La Costituzione di fatto non si modifica, quindi comanda sempre più la Corte Suprema. E chi ha il potere di nominare i giudici della Corte Suprema comanda per decenni: Trump ne ha nominati tre in quattro anni, Biden uno, Obama nessuno. Truman, quando gli chiesero se avesse commesso degli errori, rispose: “Sì, due, e siedono nella Corte Suprema”.

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Luca Marcon Mer, 07/24/2024 - 11:16

C'è un refuso nell'articolo, o dell'estensore del pezzo o dell'intervistato. Nella terza risposta compare questa frase:
«Avevano davanti la monarchia britannica di fine Settecento, dove il Parlamento s’era appena EMARGINATO dal monarca assoluto, il Re restava come figura di garanzia con relativamente pochi poteri ed era controllato dai notabili.»
ma il termine corretto dovrebbe essere non EMARGINATO (che non ha senso) ma EMANCIPATO.

PS
Vedo al 25/7 che il refuso persiste. Proviamo con la Treccani:
https://www.treccani.it/vocabolario/emarginare/

Mer, 07/24/2024 - 11:16 Collegamento permanente