Società | L'intervista

La mafia, l’Alto Adige e noi

Licia Nicoli, coordinatrice locale di Libera, sulla criminalità organizzata in provincia, la paranza dei bambini e quella sottile linea rossa fra buoni e cattivi.
Mafia
Foto: Eastern Promises

Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene”, diceva il giudice Paolo Borsellino, assassinato da cosa nostra, insieme ai cinque agenti della sua scorta, in via D'Amelio, a Palermo, il 19 luglio del 1992. Un monito, quello del magistrato siciliano, che l’associazione Libera, guidata da Don Luigi Ciotti, segue da decenni con zelo e sollecitudine.
Coordinatrice locale dell’associazione è Licia Nicoli, che sarà una dei protagonisti del convegno “Mafie in Alto Adige? No grazie!”, organizzato dal consiglio regionale Unipol di Bolzano e che si terrà domani, venerdì 25 ottobre al Centro Pastorale, in piazza Duomo a Bolzano. In programma anche una “lectio magistralis” dell’onorevole Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle mafie della XVII legislatura.
Nemmeno il placido territorio altoatesino è immune al cancro della mafia, il fatto di essere una zona di confine, “il notevole movimento di uomini e merci”, “l’alta vocazione turistica, e quindi con tanta gente ‘di passaggio’”, spiega Nicoli, diventano potenzialmente tutti “aspetti positivi per il riciclaggio del denaro acquisito illecitamente”.

 

salto.bz: Nicoli, qual è l’indice di penetrazione della mafia in Alto Adige?

Licia Nicoli: Da fonti della Procura non ci sono in atto indagini che possano farsi risalire a reati da ascrivere ad azioni di criminalità organizzata. Una recente operazione antidroga della guardia di finanza ha portato a numerosi arresti e ha rivelato un ben organizzato commercio di cocaina con legami e collaborazioni tra ‘ndrangheta, camorra e Sacra Corona Unita. Possiamo ancora parlare di infiltrazioni, con la necessità, però, di una grande attenzione verso il fenomeno mafioso, da parte di tutti, ognuno per la sua parte.

A proposito di infiltrazioni, di che entità di rischio parliamo?

Posso citare la recente relazione della Commissione Antimafia, che parla dell’attrattività del nostro territorio per la criminalità organizzata. È di confine, con notevole movimento di uomini e merci; ad alta vocazione turistica e quindi con tanta gente “di passaggio”. Aspetti positivi questi per il riciclaggio del denaro acquisito illecitamente. Una comunità sostanzialmente ricca e attiva e quindi con possibilità di investimenti, sia pubblici che privati (appalti, subappalti, lavoro nero, eccetera); un’agricoltura che richiede la presenza, nel periodo della raccolta, di tanti lavoratori stranieri (caporalato, e via dicendo). E anche, nonostante la posizione geografica, per motivi storici, una comunità sostanzialmente arroccata sulla difesa delle proprie rendite di posizione. Poco avvezza, pertanto, a percepire e recepire questi “fenomeni” e, quindi, più facilmente penetrabile.

Che tipo di organizzazioni mafiose operano in Alto Adige? Quanto è radicato per esempio il fenomeno della mafia nigeriana sul territorio?

Sono domande a cui non posso rispondere con elementi certi. Posso solo dire che ormai l’ndrangheta è l’organizzazione criminale più potente al mondo. Controlla, per esempio, il traffico della cocaina. Le singole organizzazioni criminali non operano separatamente, creano alleanze, si spartiscono i territori e i “settori di intervento”. Un vero e proprio sistema parallelo a quello legale. 

La comunità altoatesina è sostanzialmente arroccata sulla difesa delle proprie rendite di posizione. Poco avvezza, pertanto, a percepire e recepire questi “fenomeni” e, quindi, più facilmente penetrabile.

E per contrastare la mafia e l’illegalità diffusa quali sono i progetti che Libera mette in atto in Alto Adige?

Interveniamo essenzialmente nelle scuole. Percorsi formativi  predisposti assieme agli insegnanti, che mirano a un impegno non solo “contro” le mafie, la corruzione, i fenomeni di criminalità e chi li alimenta, ma anche profondamente “per”: per la giustizia sociale, per la ricerca di verità, per la tutela dei diritti, per una politica trasparente, per una legalità democratica fondata sull’uguaglianza, per una memoria viva e condivisa, per una cittadinanza all’altezza dello spirito e delle speranze della Costituzione. Nella consapevolezza che il contrasto alle mafie e alla corruzione non può reggersi solo sull’indignazione: deve seguire la proposta e il progetto. Don Ciotti, il fondatore nonché attuale presidente di Libera dice “È il noi che vince”, cioè la condivisione e la corresponsabilità. Le mafie e la corruzione sono un problema non solo criminale ma sociale e culturale, da affrontare unendo le forze.

Com’è cambiata la mafia dagli anni ’90 a oggi?

Negli anni ’90 avevamo ben chiare le distinzioni fra buoni e cattivi, fra criminalità organizzata - che si imponeva con la forza, la violenza; si muoveva con regole proprie per difendere i diritti di pochi, degli affiliati - e lo Stato, la società civile, la comunità regolata da leggi che stabiliscono diritti e doveri uguali per tutti. Ora non è più così. Attraverso la corruzione di vaste aree dell’amministrazione pubblica, l’apporto di competenze di professionisti compiacenti, i patti con esponenti politici, la cosiddetta zona grigia si è via via allargata e i buoni e i cattivi non sono così immediatamente identificabili. Di qui la necessità delle “antenne”, di essere cittadini informati ed impegnati, che reclamano una politica trasparente. Non possiamo più permetterci di girarci dall’altra parte e di essere passivi se vogliamo salvare le nostre comunità.

Negli anni ’90 avevamo ben chiare le distinzioni fra buoni e cattivi, fra criminalità organizzata e lo Stato, la società civile, la comunità regolata da leggi che stabiliscono diritti e doveri uguali per tutti. Ora non è più così.

Perché si abbassa progressivamente l’età di iniziazione mafiosa? E come si spiega il fatto che le donne assumano sempre più posizioni di rilievo nei clan?

Ci sono territori ancora controllati dalle organizzazioni criminali. La bassa scolarizzazione, sempre più diffusa e la scarsità di lavoro “vero”, cioè legale, porta a un più facile reclutamento della cosiddetta bassa manovalanza. Se gli uomini vengono condannati e incarcerati devono intervenire le donne a portare avanti l’attività. Io mi soffermerei, però, su un altro fenomeno. 

Quale?

Sempre più donne si stanno ribellando al sistema mafioso, per togliere i loro figli a questo destino segnato e dar loro la possibilità di un futuro diverso. Una strada difficile, molto pericolosa. Devono allontanarsi dalle loro case o allontanare i figli, trovare un rifugio sicuro, un lavoro, una possibilità di vita diversa. Libera fa anche questo. Le aiuta nei loro percorsi.

Sempre più donne si stanno ribellando al sistema mafioso, per togliere i loro figli a questo destino segnato e dar loro la possibilità di un futuro diverso.

Ha fatto scalpore la sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo che ha rigettato il ricorso dell’Italia sull’ergastolo ostativo (su cui ieri si è espressa anche la Corte Costituzionale), lei che ne pensa, è come dice il Capo della Procura antimafia di Catanzaro, Nicola Gratteri, che “è passata l'idea che puoi commettere qualunque crimine, anche il più abietto, poi alla fine esci di galera”? 

Da molte parti ormai si sta parlando del superamento del cosiddetto ergastolo ostativo, considerato una condanna a morte a tutti gli effetti. È un argomento difficile da affrontare, perché ha molte sfaccettature. C’è il punto di vista di chi ha subito la perdita, parente di vittima innocente, che per il 70% non ha avuto giustizia. Chi è in carcere è stato riconosciuto colpevole di delitti veramente efferati. Però, isolando una persona, di fatto la condanni a morte e gli togli la possibilità del ravvedimento, ossia di un percorso che lo possa portare a una rivisitazione del proprio operato. Io non parlo di perdono, mi riferisco alla possibilità di ricevere gli strumenti e i contatti per una riabilitazione, per un pentimento vero e non dettato dalla possibilità di poter godere di riduzioni di pena o altri vantaggi giuridici. Non dobbiamo dimenticare che il carcere dovrebbe servire alla riabilitazione del reo e che si punta all’affermazione della giustizia, non di una vendetta. Ho avuto occasione di ascoltare le parole di un condannato a “fine pena mai”. Potrebbe essere una buona testimonianza, per i loro figli, per i giovani loro eredi nei clan. Non dimentichiamo mai che i boss incarcerati rimangono capi ed eroi per gli affiliati.

Cosa gliene pare della rappresentazione cinematografica e televisiva della mafia, oggi? Ha visto, per esempio, “Il traditore” di Marco Bellocchio incentrato sulla figura di Tommaso Buscetta?

Il protagonista negativo ha sempre più sfaccettature, è una figura più complessa e, diciamola tutta, più affascinante di quello positivo. Un esempio banale: la regina cattiva e Biancaneve. Detto questo, sono argomenti e figure che devono essere trattati e rappresentati con grande equilibrio. Non ho ancora avuto occasione di vedere il film di Bellocchio, ma conosco il regista e non ho dubbi che sia riuscito nell’intento. Ci sono in ogni caso anche dei gran bei film che hanno come protagonisti “le vittime innocenti”. Quindi, ritorniamo sempre al punto di partenza: informiamoci, formiamoci, conosciamo, per poter scegliere e sapere da che parte stare.