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Di lotta e di governo

Il paradosso politico di Bolzano, da settant'anni città di centrodestra governata dalla sinistra

Dal 1948 ad oggi i bolzanini sono stati chiamati ad eleggere il loro consiglio comunale per ben sedici volte. Se si mettono in fila i risultati di tutte queste elezioni, c'è un paradosso politico che salta immediatamente all'occhio. Sin da quegli anni lontani la città è stata quasi sempre guidata da coalizioni di cui facevano parte partiti di sinistra. Eppure le cifre dicono che Bolzano è una città orientata politicamente verso il centro e  il centrodestra.

La lettura dei risultati elettorali lascia ben poco margine ad ogni tipo di discussione. La sinistra, a Bolzano, ottenne il suo massimo risultato proprio nelle prime elezioni, quelle tenute nel 1948, quando conquistò il 40%  dei consensi. Da allora i partiti di sinistra si sono attestati, tutti assieme,  tra il venti e il trenta per cento dei voti, con qualche  sporadico exploit alla fine degli anni '70. Ad onta di ciò i partiti della sinistra sono stati al governo della città quasi ininterrottamente in questi ultimi settant'anni. Nell'ultimo ventennio, poi, la loro presenza è stata più che significativa.

È un paradosso la cui spiegazione è abbastanza facile ed è da sempre sotto gli occhi di tutti. A Bolzano, come nel resto dell'Alto Adige, il dato etnico ha fatto premio rispetto a quello politico e ideologico. In pratica una parte abbastanza ampia del voto bolzanino, quella orientata verso la destra italiana è stata sempre esclusa a priori da ogni possibilità di accedere alla "stanza dei bottoni" nella quale invece la sinistra è stata ammessa sia pur gradualmente.

È un ragionamento questo che, lo so per esperienza personale, a molti esponenti del centro-sinistra e della sinistra bolzanina non piace sentir fare. Essi preferiscono un racconto della loro esperienza politica che privilegi  gli elementi di accordo programmatico con le altre forze con cui hanno governato rispetto alla constatazione, invero piuttosto brutale, secondo la quale si è trattato di alleanze necessarie, tenute insieme da un unico mastice : quello di un autonomismo inteso soprattutto come difesa dall'assalto della destra italiana più che da una solida intesa sui fondamenti dell'autonomia stessa..

Dopo quanto avvenuto nei mesi scorsi, con il fallito tentativo di SVP e PD di sganciarsi dall'alleanza con la sinistra, occorre domandarsi se lo schema politico che ha in qualche modo funzionato negli ultimi settant'anni abbia la capacità di riproporsi anche per il futuro.

Se l'elemento chiave, sino ad ora, è stato quello della contrapposizione etnica, bisogna innanzitutto capire quanto questo fattore possa continuare a contare anche in futuro. Che, rispetto al passato, un certo tipo di preclusioni si stia ammorbidendo è un fatto anch'esso sotto gli occhi di tutti. Lo testimonia, ad esempio, quel che è successo a Laives, comune più piccolo e politicamente meno importante di Bolzano, ma che con il capoluogo ha notevole affinità. Qui la SVP locale ha potuto tranquillamente scegliere di appoggiare un sindaco eletto con i voti del centrodestra italiano. Negli ultimi giorni poi  si sta sviluppando all'interno della Suedtiroler Volkspartei bolzanina un ampio dibattito sulla proposta ,che viene da alcuni esponenti del partito, di rinunciare ,alle prossime comunali, a presentare il simbolo della stella alpina e optare invece per una lista civica aperta anche a esponenti del gruppo italiano. Una manovra, nelle intenzioni di chi la sostiene, pensata per aggirare lo scoglio che vincola statutariamente tutti gli esponenti della SVP a rappresentare unicamente gli interessi di tedeschi e ladini, ma anche un'apertura inedita verso una dimensione interetnica sino ad oggi estranea alla cultura del partito di raccolta. La proposta, a dire il vero, ha ottenuto sino ad ora più bocciature che consensi, ma il semplice fatto che resti sul tavolo dimostra che qualcosa sta cambiando.

Di fronte a questo scenario gli italiani fanno come le stelle di un celebre romanzo di Cronin: stanno a guardare. Nel loro immaginario la Suedtiroler Volkspartei è sempre apparsa come una sorta di inscalfibile  monolite. Nulla di più sbagliato. Sin dalle sue origini essa è stata invece travagliata da conflitti interni anche furibondi. Non si contano nel tempo le battaglie per il controllo dei vertici e le fuoruscite anche clamorose gli esponenti di rilievo. Solo che, sino all'altro ieri, c'era una forza che riusciva alla fine a comporre le divergenze e ad annullare gli effetti delle diserzioni anche autorevoli. Un mastice che è stato per i primi decenni fornito dalla necessità di presentare un fronte unito nella grande battaglia contro Roma. In tempi più recenti, man mano che la "colla" etnica perdeva di presa essa è stata rafforzata da una sorta di patto neo corporativo che ha portato all'interno della SVP le istanze di tutte le varie componenti economiche e sociali del mondo sudtirolese. Così, quando l'ex vice sindaco di Bolzano Klaus Ladinser, lascia il partito lamentando il troppo peso assunto nella Volkspartei bolzanina da contadini e commercianti, sa bene di aver scoperto l'acqua  calda. A Bolzano, come nel resto della provincia, le cose sono sempre andate così. Solo che, sino a qualche tempo fa, le opposte fazioni venivano ricondotte alla fine ad una ragione comune e si piegavano alla necessità di tener ferma l'unità del partito. Adesso sembra che spesso non vi sia nessuno in grado di esercitare questa "moral suasion". All'interno della Stella Alpina le tensioni sono sempre più violente e nessuno, ragionevolmente, può prevedere oggi a che cosa questa situazione porterà.

Questo il quadro nel quale inizia la lunga campagna elettorale per le comunali bolzanini di primavera. Nel riguardare i dati elettorali, quelli di oggi e quelli di ieri, che hanno dato spunto all'avvio di questa riflessione, un altro elemento balza agli occhi: in una situazione bloccata come quella emersa dal voto di maggio l'unica possibilità di cambiare il quadro della politica cittadina è quella di recuperare, almeno in parte, il voto che è mancato a causa di un astensionismo sempre più diffuso. Ed è in gran parte, anche questo è un dato innegabile, un voto di centro. L'analisi di settant'anni di voto in città non lascia dubbi. Man mano che il fattore della contrapposizione puramente etnica dovesse attenuarsi, la città si avvierà ad essere governata da chi riuscirà con maggiore efficacia a posizionarsi al centro dello schieramento e da lì scegliere i propri alleati.