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Con ogni fibra del nostro corpo

La Frauenmarsch–Donne in marcia si è svolta oggi, dopo mesi di intensa organizzazione, incontri, lavoro di rete, mediazione, continui cambiamenti a causa della pandemia.
Frauenmarsch
Foto: Donatella Califano

Dovevamo essere una marea di donne in marcia e se pur in forma ridotta lo siamo statə. 

Abbiamo manifestato per i nostri diritti, urlato la nostra rabbia, ci siamo datə forza a vicenda e siamo statə parte di un gesto simbolico. Forte, ma pur sempre un gesto simbolico.

Questa è una promessa che le energie spese ad allestire questa piazza oggi, domani saranno spese davvero per le donne? Per una reale sorellanza con chi di noi non ha nemmeno quel briciolo di privilegio che ci teniamo tanto strette? La promessa di un impegno futuro?

Mi e ci auguro che la giornata vada oltre il suo valore simbolico che mi ricorda l'installazione delle panchine rosse in occasione della giornata contro la violenza sulle donne: gesti simbolici che permettono di lavarci la coscienza e che restano poi preda delle intemperie mentre continuiamo a riprodurre la violenza strutturale nella vita di tutti i giorni.

È importante la memoria delle vittime della violenza maschile sulle donne, ma se non usiamo e incanaliamo la nostra rabbia per affiancare quelle di noi che stanno vivendo violenza, se non lo facciamo insieme, questa memoria è fine a sé stessa.

 

Perché in questa società di benessere ci riesce tanto meglio l'organizzazione di gesti simbolici senza ripercussioni reali?

Perché invece non sosteniamo chi di noi oltre alla violenza strutturale lotta quotidianamente con discriminazioni e violenza?

Perché ci lasciamo raccontare da un noto periodico femminile locale che si dà l’aria femminista una lettura superficiale e dannosa della nostra realtà?

Perché non vigiliamo attivamente su chi ci rappresenta a livello politico affinché ci siano misure concrete e non solo di facciata contro la disparità e la violenza contro le donne?

Perché lasciamo decidere a chi non ha competenze in merito un disegno di legge che tutela solo formalmente donne, bambini e bambine in situazioni di violenza?

Perché non protestiamo quando una donna che ha speso la vita ad erogare lavoro di cura non retribuito in anzianità si trova a malapena a sopravvivere con la sua pensione?

Perché non scortiamo al lavoro chi subisce mobbing continuo per il solo fatto di essere donna?

Perché non informiamo le ragazze che possono accedere alla pillola del giorno dopo anche se minorenni senza esibire un documento?

Perché non ci facciamo sentire quando anche nella nostra ridente provincia l'accesso a un IVG è una corsa ad ostacoli?

Perché continuiamo a giudicare noi stessə le donne anziché i maltrattanti?

Perché non accompagniamo le donne in tribunale a ricevere assurde sentenze che impediscono loro di tutelare le proprie figlie?

Perché non ci schieriamo in solidarietà con le donne che in quella sede devono giustificare il fatto di essere vittime di un reato penale?

Perché non ci costituiamo parte civile in quei pochi processi che vedono imputati maltrattanti?

Perché non diamo voce a coloro che sono state uccise per mano di un uomo e anche dopo la loro morte subiscono la violenza secondaria inferta dai mezzi di informazione?

Perché non lanciamo un grido feroce, occupiamo gli spazi pubblici, scioperiamo e fermiamo il mondo ogni qual volta una di noi resta uccisa per mano di un uomo?

Siamo tuttə figlə della cultura patriarcale e continuiamo a riprodurla. Perché se avessimo la reale consapevolezza della violenza strutturale che tuttə viviamo continuamente, dovremmo essere qui tremanti di rabbia, sulle barricate... come lo sono le donne argentine e come lo erano le nostre madri e nonne. Ma siamo come anestetizzatə, accecatə a tal punto, che addirittura non riconosciamo la violenza che subiamo. Ci siamo dentro fino al collo, tanto da mettere nel focus le differenze di pensiero, i protagonismi e di ostacolarci piuttosto che unirci e combattere insieme la lotta per i nostri diritti fondamentali. 

Non bastano 50 sedie, non ne bastano 100 e non bastano altrettanti slogan.

Quel che conta è: guardare anche quando fa male, ascoltare, interrogarci, esserci, prendere posizione. 

Contrastare con ogni fibra del nostro corpo questa cultura patriarcale, non in silenzio, non negli spazi che ci vengono gentilmente concessi, ma lì dove è necessario. Ci vuole un desiderio reale di cambiamento, il coraggio di mettersi in gioco e molto spirito di sorellanza.

Che Frauenmarsch – Donne in marcia sia un punto di partenza in questo senso e non di arrivo.

Perché non sia una di meno mai e da nessuna parte per davvero.

 

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Karl Trojer Lun, 09/27/2021 - 10:47

Da stellt sich die Frage, warum vor allem Männer gewalttätig werden. Ist es das immer noch vorherrschende Patriarchat in Gesellschaft und Religionen ? Ist es der Mangel an Selbstwert ? Ist es die verbogene Werteskala unserer Zivilisation, in der vorrangig der als wertvoll angesehen wird, der im Konkurrenzkampf gewinnt, Ohnmächtige zu Verlierern und zu Außenseitern gestempelt werden? Ist es die Erziehung in der Gleichberechtigung und leistungsunabhängige Würde nicht ausreichend vermittelt werden ?

Lun, 09/27/2021 - 10:47 Collegamento permanente