Alto Adige: una storia parlamentare
Il volume edito da Alpha Beta - e che nel titolo riprende una famosa dichiarazione di Benito Mussolini (“Al Brennero ci siamo e ci resteremo…”) - di fatto è la prima parte di un ampio lavoro, concepito in realtà fin dai primi anni ’90, quando Ferrandi da giornalista del quotidiano Alto Adige prima e della Rai poi si ritrovò a narrare da cronista la chiusura degli ultimi capitoli del primo statuto di autonomia.
“L’idea era quella di raccontare la storia della nostra terra sfatando uno dei dogmi e cioè che tutto sia nato, sia vissuto e sia stato conquistato in Provincia di Bolzano” spiega il giornalista, anticipando lo spirito delle ‘conclusioni’ che in calce al volume che sintetizzano il senso profondo dell’operazione culturale intrapresa.
Fin dalle prime pagine del libro dunque Ferrandi dimostra come la storia dell’Alto Adige nel ‘900 si sia profondamente intrecciata con i dibattiti e le decisioni intraprese nel Parlamento italiano. Ma anche nelle assemblee rappresentative di Austria, Germania e persino Gran Bretagna.
Il volume è denso di spunti interessanti in grado di fornire un quadro più completo e in parte inaspettato per chi conosce solo per sommi capi le vicende della questione altoatesina. Riferendo ad esempio come i rappresentanti politici dei sudtirolesi non abbiano mai riconosciuto come l’unica forza politica che difendeva a spada tratta le loro rivendicazioni fosse la sinistra italiana. O come al Reichstag di Berlino i nazisti e la destra tedesca vissero con grande imbarazzo nel 1926 il dibattito sulla questione altoatesina in cui si parlava male di Mussolini. “Che all’epoca per i nazisti era come un dio, essendo l’uomo che aveva realizzato quello che loro per momento solo sognavano di poter fare”, ricorda Ferrandi.
Presentando il volume Ferrandi naturalmente ricorda pure che le sue cronache di fatto si ‘sospendono’, mantenendo solo un flebile filo conduttore quando il parlamentarismo in Italia crolla, tra il 1924 e il 1925. L’autore - che comunque ha scandagliato i testi dei dibattiti anche durante il ventennio fascista - descrive in questo modo il ruolo del parlamento durante la dittatura.
“Diventa solo una delle tante platee che il Duce assoggetta all’ascolto e al frenetico applauso delle sue orazioni sempre più scatenate”
Il medesimo destino naturalmente viene subìto anche dalle assemblee parlamentari di Austria prima e Germania poi. Ed il racconto di Ferrandi giunge quindi all’epilogo del primo volume della sua ricerca, che si ferma nel 1943 e dunque alla vigilia del secondo dopoguerra che, com’è noto, si rivelerà cruciale. La seconda parte della storia parlamentare dell’Alto Adige vedrà la luce - assicura l’editore Aldo Mazza - nel prossimo mese di giugno. E quindi l’autore non si risparmia, anticipando alcuni degli aspetti più avvincenti della narrazione del ‘secondo tempo' della vicenda.
“Dal secondo dopoguerra in poi tutta la sostanza sarà condensata nei primi anni dopo la fine del conflitto mondiale e successivamente (dal 1961 al 1992) nei 4/5 grandi dibattiti ebbero luogo nel rinnovato parlamento”
Anche nel secondo volume naturalmente lo sguardo sarà allargato ad Austria e Germania, oltre che alla Gran Bretagna come già anticipato.
Ma qual è il motivo per cui il Regno Unito nell’immediato secondo dopoguerra si occupò così a fondo della questione altoatesina?
A rispondere ancora una volta è Ferrandi stesso.
“E’ stata una scoperta anche per me. Nella prima parte del ’46 i due rami del parlamento inglese si occuparono a più riprese della questione e in merito presero la parola tutti i grandi, Churchill in testa. Alla fine venne confermata la decisione presa dai ‘quattro grandi’ nel ’45, su pressione Russa. Ma i conservatori confermarono il loro orientamento contrario al mantenimento del Brennero in Italia, un’opinione già espressa con forza ed a più riprese già tra le due guerre.”
Come andarono le cose è noto: nel ’46 intervennero anche gli Stati Uniti e a De Gasperi venne chiesto un gesto di buona volontà da cui nacque di fatto l’accordo De Gasperi Gruber. Ed anche in merito a questo passaggio Ferrandi coglie l’occasione per puntualizzare.
“L’accordo non naque dalla testa di De Gasperi ma da un contesto internazionale, un altro aspetto che qui in Alto Adige si tende a dimenticare”
Ferrandi dedica qualche parola in sede di presentazione del libro anche al dibattito che nel 1946 venne dedicato in Parlamento al varo del ‘primo statuto’, che a suo avviso fu deprimente (“due orette veloci”).
Il libro di Ferrandi presenta nelle ‘conclusioni’ il resto del suo materiale più interessante, vera e propria sintesi storica e politica (ma da un’ottica prettamente giornalistica) di quanto narrato.
Dopo aver ribadito che il racconto della cronaca parlamentare ha anche lo scopo di “sprovincializzare un po’ il dibattito”, Ferrandi ad esempio afferma di aver appurato come l’Italia sia giunta nel 1918 “totalmente e irrimediabilmente impreparata ad assumersi il ruolo di gestire una minoranza così compatta e forte come quella tedesca in Alto Adige”. Di fatto la giovane e fragile nazione (“indipendente da soli 50 anni”) “fino a quel momento non aveva mai avuto a che fare con queste cose e visse nell’incertezza per 3/4 anni finché non arrivò il fascismo a spazzare via tutto”, ricorda Ferrandi.
Il giornalista dedica poi una profonda osservazione anche all’idiosincrasia del mondo politico sudtirolese nei confronti della sinistra italiana.
“I suditolesi ebbero atteggiamento di totale ripulsa nei confronti di coloro che di fatto li difenderono a partire dal secondo dopoguerra e cioè la sinistra. Non volevano avere nulla a che fare con la sinistra ed attuarono un tipo di politica che oggi viene definita Blockfrei. Significativo in questo senso è l’episodio dell’Aventino. I sudtirolesi furono gli unici a non partecipare assieme ad una piccola pattuglia giolittiana. Costituendo in questa maniera una foglia di fico notevole per il regime, che poté così sostenere che non tutte le opposizioni avevano abbandonato l’aula.”
Le ultime due osservazioni dell’autore in sede di presentazione del volume riguardano altri due aspetti degni di nota.
Il primo riguarda un punto di vista che normalmente viene sottovalutato, osservando le cose da Bolzano, e cioè che l’Alto Adige di per sé a livello geopolitico ha sempre vissuto di luce riflessa rispetto al confine orientale.
“E’ sempre stato un problema secondario, sia nel primo dopoguerra con Fiume e D’Annunzio, che nel secondo con Trieste”
Nell’osservazione finale dell’autore del nuovo libro edito da Alpha Beta torna quindi a fare capolino un po' del sano cinismo proprio dei giornalisti di razza. Che spiega il motivo per cui il secondo volume in procinto di essere pubblicato concluderà le sue cronache nel 1992.
“Nella primavera del 1992 il varo delle ultime norme di attuazione con Andreotti fu di fatto l’ultimo atto della Prima Repubblica. Da quel momento in poi il Parlamento è relegato ad un ruolo di secondo piano. E la politica altoatesina ormai si fa nelle stanze dei sottosegretari, oppure nei campi da tennis e sulle piste da sci.”