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Il mare a Bolzano

Nasce dall'incontro di tradizioni ed esperienze diverse la cucina di Claudio Bonfanti, chef siciliano nato in Germania e innamorato del Sudtirolo.
Claudio Bonfanti
Foto: Claudio Bonfanti

Salto.bz: Claudio Bonfanti: sudtirolese, siciliano e anche un po' tedesco di Germania. Com'è possibile?

 

Claudio Bonfanti: Un bel mix, vero? Allora, per cominciare, io sono nato in Germania, a Mannheim. I miei genitori si erano trasferiti lì, mio padre era arrivato all'inizio degli anni Ottanta dalla Sicilia, per la precisione da Palma di Montechiaro, il paese di Tomasi di Lampedusa, non so se lo conosce...

 

Purtroppo non ci sono mai stato, ma conosco lo scrittore...

 

Ecco. Mio padre faceva l'operaio, era capocantiere, cioè lavorava nell'edilizia. Quando i miei si sono sposati si sono trasferiti in Germania, ma già dopo pochi anni, nel 2001, hanno fatto ritorno, per questo io ho vissuto anche un'esperienza di precoce sradicamento, per così dire.

In Germania ho lasciato la mia infanzia, in Sicilia ho trovato la passione per la cucina

Ha ricordi di quel periodo in Germania?

Molto nitidi. In Germania ho frequentato i primi anni di scuola, mi ero inserito molto bene. La mattina frequentavo le scuole tedesche e poi, il pomeriggio, il doposcuola italiano, per non perdere la madrelingua. Avevo tanti amici, non mi mancava niente.

Per questo ha parlato di sradicamento...

Sì, esatto. Ricordo la partenza. Era buio, faceva freddo, non ho fatto che piangere. Piangevo nel taxi che ci portava al pullman, ho continuato a piangere fino alla frontiera con la Svizzera. In Germania lasciavo la mia infanzia, avevo tutto, la mia vita era tutta lì. Quindi è stato sicuramente un piccolo trauma, ma i bambini si riprendono in fretta. E andare a vivere in Sicilia, nel luogo dal quale provenivano i miei genitori mi ha senz'altro aiutato.

Ed è in Sicilia che ha scoperto la cucina?

Sì, lì ho cominciato a cucinare, molto presto devo dire, per aiutare mia madre quando era malata o comunque impossibilitata a farlo, e poi ho continuato scegliendo la professione di cuoco, frequentando la scuola alberghiera a Licata.

E con la professione di cuoco, suppongo, ha ripreso a muoversi.

Esatto. Mi sono diplomato nel 2008, ma già prima ho collezionato diverse esperienze in giro per l'Italia. Facevo le stagioni fuori, per esempio a Tropea, in Calabria, ma anche a Rimini. Dopo il diploma sono venuto anche a Bolzano, per un breve periodo. E ho lavorato proprio qui dove siamo adesso. A quel tempo questo posto si chiamava “Corona”. Poi sono ritornato giù, in Sicilia, e grazie all'aiuto di maestri cuochi come Antonio Di Caro e Mario Consentino ho svolto la mia attività in altri ristoranti nell'agrigentino. Non stavo mai fermo. Sono tornato anche in Germania, ma solo per poco tempo.

All'inizio non è stato facile, mi mancava la luce del mare

Il ritorno a Bolzano quando è avvenuto?

Cinque anni fa. A Bolzano ho trovato l'amore, mia moglie, siciliana come me, si era trasferita nel 1999, e ho provato a fuß fassen, come si dice?

Attecchire.

Ecco. Abbiamo attecchito qui (ride).

Ed è stato semplice?

Beh, all'inizio non tanto, ma forse adesso sovrappongo anche i ricordi della prima volta che venni, anni prima.

Eppure per un “tedesco” come lei l'acclimatamento non dovrebbe essere stato così arduo...

Beh, guardi. Ricordo che una volta, venivo da Catania con il treno, fino a Milano, e poi da Milano a qui, quando uscii dalla stazione vidi le montagne, le nuvole basse, il buio, per me che mi ero abituato al mare, alla sua luce, non è stata certo una passeggiata. Ma per il lavoro bisogna fare dei sacrifici.

Sacrifici che l'hanno ripagata.

Direi ampiamente. Adesso qui sto davvero bene. Mi piace.

Cosa le piace di più, se posso insistere?

Mah, direi che mi piacciono le regole, la sicurezza che danno le regole, la fermezza...

Intende la stabilità?

Ecco, sì. La stabilità. Qui non è come giù, che si lavora un po' sì e un po' no, secondo la stagione. Qui ti puoi sistemare, se trovi una buona clientela, che si affeziona, allora lavori più tranquillamente.

Lavoriamo da cinque anni proponendo la nostra cucina di pesce, vengono tutti ad assaggiarla, anche dalle valli

E qui al “Grottino” com'è capitato?

Una volta tornato a Bolzano ho trovato lavoro alla Franziskanerstuben, ma non faceva per me. Io volevo lavorare con il pesce, che è la materia prima che più amo, in cui mi riconosco. Dopo poco tempo ho conosciuto Antonino Prencipe, il gestore del “Grottino” di via Streiter, e ci siamo subito intesi. Qui potevo fare la cucina che desideravo fare ed è andato tutto bene.

In effetti, so che in passato questo ristorante ha cambiato molti cuochi...

Beh, da cinque anni, da quando ci lavoro io, le cose sono diverse. Abbiamo avuto una costante crescita, abbiamo clienti che vengono apposta per il pesce. Vengono e ritornano, devo dire. Non solo bolzanini o turisti, ma anche dalle valli.

E come ha fatto a convincere bolzanini e valligiani ad abbandonarsi a un tipo di cucina che qui ha sempre un po' stentato?

La mia filosofia è molto chiara e semplice. Io mi rifaccio alla tradizione mediterranea, con richiami evidenti alla Sicilia e alla Puglia, e cerco di presentarla in una chiave più moderna, soprattutto per quanto riguarda gli impiattamenti.

Una cucina della tradizione rivisitata...

Sì, ma non troppo rivisitata. Non sono un cuoco sperimentale. Mi baso sulla materia prima, che deve sempre essere sceltissima. Del resto, lavorando il pesce non si può fare altrimenti. Noi proponiamo quasi sempre pesci pescati, non di allevamento. E poi proviamo anche a creare delle contaminazioni con il territorio, secondo la mia ispirazione.

Ho creato un piatto che unisce la Sicilia e il Sudtirolo: il canederlo di gamberi

Un esempio?

Beh, da poco ho sulla carta il “canederlo di gamberi”.

La Sicilia che incontra il Sudtirolo.

Esatto. Una mia invenzione. Mi sono documentato anche in internet, per vedere se esisteva una cosa del genere, ma non ho trovato nulla. Penso di essere il primo ad avere tentato questa fusione.

E come funziona?

Gli ingredienti sono simili a quelli di un canederlo: pane raffermo ed erbe aromatiche, poi entra l'elemento spiazzante: il gambero rosso di Mazara del Vallo, una mousse di mozzarella di bufala e pistacchi di Bronte. Il tutto legato con un filo d'olio all'aglio. Funziona molto bene.

Interessante. Ma della cucina locale quindi non propone niente?

Come no! Facciamo anche cose a base di materie prime locali, usando ricette di qui. Ma il mio intento è sempre quello di introdurre variazioni che riportino il cliente a vivere un'esperienza diversa, innovativa. Il pesce, comunque, resta la mia passione.

Altre specialità?

La mia specialità è il tagliolino al nero di seppia con vongole veraci ed emulsione di riccio di mare. Oppure la calamarata (il mezzo pacchero) al ragù di tonno fresco aromatizzato al timo e pistacchio, un un altro primo forte, il tagliolino nero con polpa di capesante e pomodorini, ma la carta la cambiamo spesso.

Il modo migliore per superare i conflitti è andare tutti insieme al ristorante

Va bene, basta così. Altrimenti mi viene fame. Parliamo di convivenza e di incontro tra le diverse culture. Lei ha detto che sta bene, qui a Bolzano. Pensa che i gruppi linguistici abbiano raggiunto una buona intesa?

Al ristorante sicuramente.

E fuori dal ristorante?

Io non vedo problemi. Certo, ci sono quelle piccole rivalità che risalgono alla storia. Ma direi che sono cose superate, ci si capisce, si prende un po' di qui e un po' di là.

Come in cucina.

Sì, la cucina interessa tutti e tutti vogliono mangiare bene.

Lei ha figli?

Due figlie piccole, Clarissa e Beatrice.

Frequantano la scuola tedesca o italiana?

Noi siamo di madrelingua italiana e abbiamo scelto la scuola italiana, del resto a casa parliamo italiano. Il tedesco lo impareranno più tardi, anche se per parlarlo bene bisognerebbe che andassero in Germania...

Ancora nostalgia della Germania?

Nostalgia no, ma ho ancora molti amici là, ogni tanto li vado a trovare. Vado spesso a Monaco.

Ma non vorrebbe più spostarsi.

No, ormai rimango qui, come ho detto mi trovo bene, non c'è motivo di cambiare.

Un cuoco al quale mi ispiro? Sicuramente Antonino Cannavacciuolo

Un sogno nel cassetto?

Avere un giorno un ristorante tutto mio.

Per fare la sua cucina...

Sì, la mia cucina in un ristorante mio. Forse si realizzerà, prima o poi.

Ci sono cuochi che la ispirano, per dare forma a questo sogno, figure che la influenzano o la ispirano?

Mah... qui in Sudtirolo sono molto legato a Giorgio Nardelli. Cuochi italiani che mi piacciono, mi faccia pensare... ah, ecco, sicuramente Antonino Cannavacciuolo.

Ma quello non è soprattutto una star della televisione?

No, no. È un cuoco vero. Uno di quelli che stanno ai fornelli. Poi, certo, è diventato famoso anche con la televisione. Ma un vero cuoco deve stare in cucina, a contatto con i suoi clienti.

Come lei.

Come me (ride). Io sto sempre di là, vede? [mi indica la cucina]. Del resto io la star televisiva non la potrei mai fare, davanti alle telecamere mi emoziono. Allora rimango qua e cerco di fare felici quelli che mi vengono a trovare.

Il lockdown è stato un periodo difficile, l'ho superato stando a casa a cucinare

E ci riesce sempre?

Molto spesso. Vuole provare? La invito a pranzo...

Vengo senz'altro, magari un'altra volta. Un'ultima domanda: durante il lockdown che cosa ha fatto? Come è riuscito a sopravvivere fuori dal ristorante?

Stavo a casa e cucinavo, ho rubato il mestiere a mia moglie.

Per fortuna non per molto tempo...

Sono stati mesi difficili, poi però siamo ripartiti alla grande. Da luglio lavoriamo a pieno regime, e spero che continueremo a lungo così. Un altro lockdown sarebbe terribile.

Speriamo che non accada più.

Eh, speriamo.