Un “altro” modo di parlarsi
Marta Guarda, che cosa si intende per “translanguaging” e qual è il suo potenziale formativo?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo andare alle origini del termine translanguaging. Translanguaging è una traduzione dal gallese trawsieithu, termine coniato da Cen Williams all’inizio degli anni ’90 per indicare una strategia pedagogico-didattica che alternava l’uso di due lingue per l’insegnamento e l’apprendimento: ad esempio, leggere un testo in inglese e discuterne o rielaborarne i contenuti in gallese. La novità era data dal fatto che queste pratiche avvenivano in un contesto in cui le due lingue erano tradizionalmente tenute separate, con la convinzione che un rigido approccio monolingue favorisse l’apprendimento della lingua in cui la classe aveva un livello di competenza inferiore (il gallese).
Da allora, il concetto del translanguaging ha attirato l’interesse di un numero crescente di insegnanti e ricercatori, dando prova dei suoi benefici a livello linguistico, cognitivo e sociale. Nei contesti in cui due o più lingue vengono usate in maniera strategica per l’apprendimento e l’insegnamento, infatti, alunni e alunne non solo progrediscono nello sviluppo delle loro abilità linguistico-comunicative (di lettura e ascolto, di produzione orale o scritta, di interazione e mediazione), ma mostrano anche di raggiungere una comprensione più profonda e completa dei contenuti disciplinari: questo accade perché essi possono attingere alle conoscenze che già possiedono in una lingua per (ri)elaborarle in un’altra. In merito a questo, non dobbiamo dimenticare che la ricerca ha dimostrato che le lingue non sono chiuse in compartimenti stagni nel nostro cervello, bensì fanno parte di un sistema unico, integrato e dinamico.
Le/gli alunne/i impegnati in attività di translanguaging sviluppano inoltre una visione positiva del plurilinguismo e tendono a vedere tutte le lingue come una risorsa, un aspetto che contribuisce a mettere in discussione le tradizionali gerarchie tra lingue sentite come più o meno prestigiose. Questi sono benefici particolarmente importanti se si considera che il termine translanguaging indica oggi una serie di strategie pedagogico-didattiche che non coinvolgono più necessariamente solo le lingue socio-economicamente prestigiose insegnate a scuola, bensì anche le molteplici risorse che fanno parte del repertorio linguistico degli alunni e delle alunne, come le varietà dialettali e le lingue di origine di coloro che hanno un background migratorio. Il translanguaging diventa quindi anche sinonimo di una didattica più inclusiva, in cui ogni alunno/a è legittimato a usare le proprie competenze plurilingui per l’apprendimento e quindi a vivere meglio l’esperienza scolastica.
Il translanguaging è uno dei modi in cui l’educazione può aprirsi alla diversità linguistica e promuoverla
Come si applica questa proposta didattica al contesto pedagogico? E in che modo la vostra ricerca si collega alla pratica?
Nel contesto educativo, il translanguaging assume svariate forme a seconda degli obiettivi didattici che ne guidano la realizzazione. Esempi di translanguaging pedagogico includono: l’uso di materiali in lingue diverse sullo stesso argomento; la lettura di un testo in una lingua e la sua comprensione grazie alle conoscenze che gli/le alunni/e hanno nelle altre lingue del proprio repertorio; l’identificazione di parole affini in due o più lingue (ad esempio tomato, Tomate e domate in inglese, tedesco e albanese rispettivamente); la produzione di testi plurilingui contenenti elementi lessicali o intere frasi nelle lingue e nelle varietà dialettali della classe. Per noi ricercatrici e ricercatori impegnati nello studio del plurilinguismo e della didattica plurilingue, esempi come questi sono molto importanti, perché mostrano come la didattica possa aprirsi alla ricchezza e dinamicità dei repertori dei parlanti plurilingui. Ecco perché, anche nelle nostre proposte di ricerca e formazione (come l’iniziativa COMPASS: Competenze Didattiche nella Classe Plurilingue, facente parte del progetto A lezione con più lingue – SMS 2.0), lavoriamo assieme alle/agli insegnanti per mettere in pratica strategie translinguistiche che coinvolgano non solo le lingue della scuola (italiano, tedesco e inglese) ma anche tutte le altre lingue e varietà che gli alunni e le alunne portano in classe da casa, dal rumeno al persiano, passando per il sardo e il dialetto barese.
Ci sono scuole in Alto Adige che adottano il translanguaging?
Sì, in Alto Adige ci sono insegnanti che adottano strategie translinguistiche nelle loro classi, anche se il termine translanguaging non viene di norma usato esplicitamente. Questo è quanto è emerso anche da un’indagine sulla didattica plurilingue che abbiamo recentemente condotto con un campione di insegnanti di tutte le materie in servizio presso scuole di ogni ordine e grado nella Provincia di Bolzano. I risultati dello studio hanno messo in evidenza che il translanguaging pedagogico è una realtà anche in Alto Adige. È interessante notare che le lingue maggiormente coinvolte in attività translinguistiche sono le lingue formalmente insegnate nelle scuole (lingue seconde o lingue straniere), ma le basi per una maggiore apertura a tutte le risorse linguistiche delle/degli alunne/i ci sono.
Certamente, serve ancora molto impegno e lavoro per sensibilizzare tutte/i le/gli insegnanti circa i benefici di un approccio translinguistico, ed è per questo che le esperienze di docenti già impegnati in questo senso vanno condivise: è quello che ci auguriamo di fare, anche attraverso la pubblicazione dei risultati della nostra indagine nell’autunno di quest’anno sul sito del nostro progetto SMS 2.0.
Si incontrano resistenze?
Nel nostro lavoro con le/gli insegnanti riscontriamo solitamente grande curiosità e apertura. Certo, i dubbi non mancano: alcuni insegnanti, ad esempio, temono che adottare un approccio plurilingue ostacoli l’acquisizione di competenze nella lingua di studio, altre invece si chiedono come poter valorizzare al meglio le lingue di origine delle/degli alunni senza avere conoscenza alcuna di quelle lingue. Si tratta di dubbi comprensibili, che evidenziano il bisogno di collaborazione e dialogo tra il mondo della ricerca e il mondo della scuola.
Il translanguaging ha dunque suscitato l’interesse di sociolinguisti e addetti ai lavori. È corretto definirlo la chiave per consolidare l’educazione multilingue?
Il translanguaging è uno dei modi in cui l’educazione può aprirsi alla diversità linguistica e promuoverla. Quello che lo rende applicabile anche ai diversi approcci plurali (come l’intercomprensione o il CLIL/Content and Language Integrated Learning) è l’intenzionalità di attingere alle competenze plurilingui delle/degli alunne/i sulla base del principio della loro trasferibilità da una lingua all’altra. In questo senso, il translanguaging scardina l’ormai vecchio principio secondo cui ogni lingua deve essere insegnata separatamente una dall’altra e promuove una didattica inclusiva e rispettosa degli usi linguistici dei parlanti plurilingui.
Per “fare translanguaging” non è necessario essere perfettamente competenti in due o più lingue: ognuno di noi infatti usa il proprio repertorio linguistico in maniera funzionale, attingendo a tutte le sue risorse a prescindere dal livello di competenza
Va da sé che il translanguaging costituisca una risorsa anche al di fuori dell’ambito scolastico.
Certamente. Il translanguaging è ciò che tutti noi, parlanti plurilingui, facciamo con il nostro repertorio linguistico nella vita quotidiana, quando navighiamo il web, quando vediamo un film nella lingua originale e ne commentiamo i contenuti in un’altra, o quando interagiamo con altri parlanti plurilingui in famiglia o sul posto di lavoro. Il concetto di translanguaging è anche in parte collegato a quello di mediazione descritto nel Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue (QCER), cioè a quella modalità di comunicazione mediante la quale un parlante plurilingue agisce come intermediario tra interlocutori che non sono in grado di capirsi direttamente. Benché il termine translanguaging sia nato in un contesto educativo, negli ultimi anni esso è uscito dalle aule scolastiche proprio per descrivere le pratiche linguistiche quotidiane delle persone plurilingui che, a seconda del contesto e degli obiettivi comunicativi, passano da una lingua all’altra del proprio repertorio. Per “fare translanguaging” non è necessario essere perfettamente competenti in due o più lingue: ognuno di noi infatti usa il proprio repertorio linguistico in maniera funzionale, attingendo a tutte le sue risorse a prescindere dal livello di competenza. Mentre l’adozione del termine translanguaging è abbastanza recente, quindi, il fenomeno che esso sottintende rappresenta la normalità in molte comunità plurilingui da molto tempo: spaziare da una lingua all’altra trascendendone i confini, per ottimizzare il proprio potenziale comunicativo.
Il translanguaging quindi potrebbe essere adoperato, ad esempio, nella comunicazione politica quotidiana.
Se intendiamo il translanguaging come l’insieme delle pratiche linguistiche quotidiane dei parlanti plurilingui, allora possiamo dire che il translanguaging è già, per molti, una realtà nella comunicazione politica. Se ad esempio in Consiglio provinciale un consigliere o una consigliera ascolta l’intervento di un/a collega in una lingua e risponde in un’altra, questo è già translanguaging. Il translanguaging non è quindi una strategia adottata nelle scuole ma lontana da noi: anzi, possiamo dire che è proprio a partire dalla realtà che il translanguaging è entrato nel mondo della scuola come risorsa per alunni/e e insegnanti.
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