Cultura | Salto Afternoon

Cleptomanie danzate

Al Teatro sociale di Trento il classico appuntamento di Natale con “Bells and Spells” di Victoria Thierrée Chaplin, in scena la nipote Aurélia Thierrée
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Foto: bells and spells

L’impronta è quella delle gag del cinema muto, del trasformismo e della clownerie che erano entrambi passati a inizio del Novecento dal vaudeville al cinema e più recentemente sono tornati nuovamente nel teatro, soprattutto in quello di figura e del Nouveau Cirque. Come fanno a confluire tante diverse direzioni ed esperienze nell’immaginario di una unica persona? Stiamo parlando di Victoria Chaplin, figlia della quarta moglie del più noto Charlie Chaplin (chi non conosce i suoi capolavori Modern Times o Il grande dittatore?) che si chiamava Oona O’Neill ed era niente di meno che nipote dello scrittore britannico Eugene O’Neill. Nata negli Usa, Victoria era cresciuta in Europa, in Svizzera, ed era apparsa come giovanissima attrice nell’ultimo film del padre, Un re a New York del 1966. Il suo desiderio era quello di entrare nel mondo circense, infatti è sulla base di questa idea che conobbe suo marito e compagno di lavoro, Jean-Baptiste Thierrée, con il quale aveva poi fondato Le Cirque Bonjour nel 1970 dopo aver nello stesso anno recitato nel film di Federico Fellini dedicato a quello stesso ambiente, I Clowns. Il grande successo ottenuto al Festival di Avignone nell’anno successivo li catapulta sui palcoscenici dapprima francesi e poi mondiali, trasformandolo in Cirque Imaginaire e a partire dal 1980 - assieme ai due figli, Aurélia e James –aggiornato come Le Cirque Invisible. Una volta cresciuti i figli con la voglia di fare carriere autonome, la madre cura la regia di alcuni show di entrambi, James parte per la sua strada e Aurélia per la sua, ottenendo entrambi un buon successo in giro per il mondo.

 

In Italia è di casa soprattutto Aurélia, attualmente. Il suo più recente Bells and Spells che aveva debuttato nel 2018 a Lione (coproduttore il Théatre des Cèlestins, con l’Ateliers Carouge di Ginevra e Change Performing Arts di Milano) ha girato da nord a sud, e viceversa, sind dall’inizio del 2019. A Natale lo abbiamo visto a Trento, per il classico appuntamento per i più piccoli e i grandi, al Teatro Sociale. Presenti in sala alla prima trentina il 24 dicembre anche mamma Victoria e il papà, con in mano un grosso quaderno azzurro, forse per annotare eventuali appunti di regia… Campanelli e Incantesimi promette il titolo in italiano, e di suoni di campanelli ce ne sono tanti dispersi nella colonna sonora, gli incantesimi mostrati sul palco – purtroppo – non arrivano a incantarci veramente nella loro visione. O perlomeno manca quel flusso continuo per condurci nella vera magia profonda (che c’è - ne siamo sicuri) nell’arte del duo Aurélia Thierrée e Jaime Martinez, il ballerino-performer originario di Puerto Rico che qui accompagna sulla scena la nipote del grande attore, comico, autore, regista e musicista (sì, lui, il nonno Charlie curava tutto dei suoi film).

 

Come il ticchettio di un orologio inizia la carrellata di scene e gag che ruotano attorno a una donna cleptomane che via via si appropria nei modi più originali di oggetti che incontra in diverse situazioni, per poi cadere vittima del potere autonomo di quegli stessi oggetti. La prima scena si apre su una ipotetica sala di attesa, dove quattro personaggi seduti si susseguono a ritmo scandito nell’alzarsi, uscire da una porta e rientrare da un’altra, parallela, a suon di campanelli, e nel muovere a tempo le gambe incrociate, da seduti; un movimento che poi viene sviluppato in modo ironico-situativo nella più tipica tradizione della comicità del nonno Charlie nei suoi primi cortometraggi in bianco e nero.

 

Si prosegue con rapidi cambi di scena grazie a quinte mobili che da elegante interno di una camera sanno trasformarsi in anticamera di un night o nell’interno di un museo con quadri preziosi: ambiti molto ambìti dalla nostra protagonista  che - a dire della stessa Aurélia Thierrée - “è molto più attratta da questi oggetti per motivi a lei stessa ignoti e misteriosi invece che essere una vera cleptomane”. Infatti, la donna se li porta nascondendoli dentro o sotto gli abiti e ci gioca per un determinato numero di scenette (dove gli oggetti giocano con lei, prendendosi di fatto anche gioco di lei), quando poi, all’interno di un sorprendente bosco creato in un attimo con una ventina di classici attaccapanni a stelo – soltanto dopo averci condotto in danze meravigliosamente acrobatiche sui rami fragili di questi alberelli ed essere partita sull’immaginario dinosauro per la “dimenticolandia” - lei inizia un viaggio che si potrebbe definire “a ritroso” verso un tempo che fu o che ci sarà e finisce col restituire collane e bracciali preziosi assieme a orologi e lampade con ricchi cristalli.

 

Il mondo che ci viene mostrato sul palco assomiglia a una rapida successione di dipinti surrealisti o di fumetti, a colori e a tratti quasi in bianco e nero o monocolore (va citata in questo contesto l’intera sequenza con i teli bianchi), che ci riporta in quello che risuona nella nostra mente come il “meraviglioso” del cinema ai tempi di George Méliès, il quale, grazie a tecniche di ripresa particolari inventate lì per lì e che poi avrebbero condotto verso il cinema di fantascienza e degli effetti speciali, riuscì a farci credere che persone “perdono” la testa o ne possono ricevere un’altra, che si addormentano in un luogo e poi si svegliano in un altro. La colonna sonora – al cinema come in teatro - aiuta a potenziare molti effetti a sorpresa, come richiesto dal migliore Abc della comicità.

Il pubblico trentino ha gradito, applaudendo spesso a scena aperta e chiamando alla fine i protagonisti più volte sul palco.