Società | disabilità

La sessualità dimenticata

La vita sessuale delle persone diversamente abili è un tema tabù. In Austria e Germania esiste la figura del lovegiver, in Italia il ddl è fermo da anni.
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Foto: (c) unsplash

Recentemente mi sono imbattuta nel film The Sessions-Gli incontri. La pellicola del 2012 con Helen Hunt e John Hawkes racconta la storia del poeta Mark O’Brien che, colpito da piccolo dalla poliomielite, è costretto a vivere in un polmone d’acciaio proprio a causa della malattia, che lo ha reso tetraplegico. Questa condizione lo ha portato a rinunciare a diverse esperienze, tra cui la sessualità; Mark decide quindi di trovare l’intimità tanto attesa ma mai sperimentata, contattando una professionista. Dopo la visione di questa delicata opera del regista Ben Lewin, mi sono fermata a riflettere su quanto poco ci si interroghi sulla vita sessuale di queste persone: il sentimento che generalmente accompagna la riflessione sulle disabilità è una generico compatimento, misto spesso a disagio e dispiacere, senza davvero cercare di capire come si possano vivere le varie esperienze quotidiane, dimenticandosi inoltre di quanto il sesso ne faccia parte. Se si è poi più propensi ad intervenire per apportare piccoli cambiamenti nelle abitudini alimentari o nella mobilità, difficilmente si pensa ad altre sfere fondamentali dell’essere umano, che proprio in quanto tali, appartengono anche alle persone con disabilità. Ho deciso quindi di fare qualche domanda a Silvia Clignon, pedagogista ed educatrice sessuale nell’associazione Lebenshilfe, che da tempo si occupa del tema. 

Salto.bz: Dottoressa Clignon, quando si parla di persone con disabilità non si affronta quasi mai il tema della sessualità, per quale motivo? 

Silvia Clignon: L’argomento sessuale è in generale un grande tabù, che nel caso della disabilità si lega ad un altro argomento non facile da affrontare. Si deve però cambiare approccio: parlare della sessualità e del vissuto dei singoli, ricordando che ognuno di noi ha esperienze diverse ed uniche, ma che il diritto ad una sana e libera sessualità deve valere per tutti. Interrogarsi quindi sui motivi dell’esclusione di alcune categorie di persone dal godimento di questi diritti è fondamentale, ma spesso non c’è la giusta formazione o la corretta informazione. Con il tempo però le condizioni strutturali stanno migliorando e anche il dibattito tra professionisti è aumentato, diverse strutture abilitative e lavorative si interrogano sui diritti sessuali e nel 2017 un gruppo di lavoro formato da diversi esperti ha elaborato un documento programmatico, dal titolo “sessualità e disabilità”. 

Il servizio di consulenza dell’associazione Lebenshilfe collabora anche con degli istituti scolastici? 

Siamo presenti in diverse scuole, in maggioranza di lingua tedesca. Di solito prepariamo dei percorsi di educazione sessuale per ragazzi con disabilità prevalentemente cognitiva, ma cerchiamo di coinvolgere anche genitori ed insegnanti, proprio perché l’educazione sessuale non può limitarsi ad un progetto di scuola, ma richiede un tempo di riflessione più ampio. Proponiamo poi consulenza e corsi di formazione anche al di fuori dell’ambito scolastico, possono infatti rivolgersi direttamente a noi persone con disabilità, genitori, personale pedagogico e altre figure di riferimento.  

Bisogna innanzitutto ricordare che la sessualità è diversa per ognuno di noi, siamo il frutto dei nostri percorsi, delle nostre esperienze e questo influenza anche il modo in cui ci rapportiamo in ambito sessuale. Sicuramente poi la disabilità ha un ruolo nel vissuto del singolo, non solo però perché è una parte della quotidianità, ma anche per i tanti pregiudizi sociali che la circondano

Com’è cambiato l’approccio verso questi temi nel tempo? 

Da una visione che tendeva a prendere in considerazione diversi fattori si è passati ora a mettere al centro la persona. Si cerca di comprendere i problemi del singolo, o della coppia, attraverso diversi incontri, capita spesso che il cerchio si allarghi in una prospettiva multilivello e si arrivi a coinvolgere diversi esperti, in un vero e proprio lavoro di squadra. Anche se l’argomento soffre ancora di poca visibilità, riscontriamo una maggiore apertura, soprattutto nel proporre percorsi di educazione sessuale completi, che non trattino solo di prevenzione. Inoltre sempre più persone con disabilità si rivolgono autonomamente alla nostra associazione, noi cerchiamo di accogliere tutte le richieste, ma ne riceviamo in gran numero e proprio in questi giorni stiamo cercando un altro collaboratore con un background psicologico-pedagogico. 

Si arriva quindi ad estendere consulenza e sostegno anche agli accompagnatori delle persone con disabilità? 

Accompagnatori e assistenti si trovano a dover bilanciare la necessità di protezione con il diritto all’autodeterminazione, un compito difficile, influenzato anche dalla propria sensibilità e da quella dei singoli professionisti che li supportano. Le persone con disabilità vivono la loro quotidianità rapportandosi costantemente con i loro accompagnatori, proprio per questo è importante coinvolgerli nei progetti di sostegno.  

 

Quanto conta la disabilità sulle possibilità di avere una vita sessuale? 

Bisogna innanzitutto ricordare che la sessualità è diversa per ognuno di noi, siamo il frutto dei nostri percorsi, delle nostre esperienze e questo influenza anche il modo in cui ci rapportiamo in ambito sessuale. Sicuramente poi la disabilità ha un ruolo nel vissuto del singolo, non solo però perché è una parte della quotidianità, ma anche per i tanti pregiudizi sociali che la circondano. Inoltre il contesto in cui le persone con disabilità vivono è fondamentale, spesso la possibilità di intraprendere delle relazioni autodeterminate o anche solo di avere delle esperienze affettive e sessuali dipende anche dall’atteggiamento di coloro che le accompagnano.

I diritti sessuali sono oggi considerati appieno diritti umani e alcuni Stati hanno riconosciuto nell’ordinamento delle figure che possono supportare le persone con disabilità anche in questo ambito, qual è la situazione italiana? 

Ci sono diverse associazioni che si occupano di sensibilizzare e dare voce alle varie istanze delle persone con disabilità, incluse quelle legate alla sessualità. Già nel 2014 Maximiliano Ulivieri, un attivista che con l’associazione lovegiver si batte da anni per questi diritti, ha presentato un disegno di legge in Senato, per istituire la figura dell'assistente per la sana sessualità, oggi presente, per esempio, in Germania, Danimarca o Austria, ma la proposta non ha avuto seguito. 

Quanto il dibattito che riguarda la legalizzazione della prostituzione considera le possibili ricadute sulle persone con disabilità?

Come accennato prima, alcuni Stati hanno scelto di trovare una soluzione normativa, regolamentando anche il fenomeno dell’assistenza sessuale, mentre in Italia tutto ciò non è ancora previsto. Bisogna sottolineare che, proprio come per la prostituzione, anche nel caso dell’assistenza sessuale si parla di un servizio a pagamento, svolto da professionisti che sono preparati e che sanno come porsi, ricordando però che si tratta di prestazioni, che non prevedono una forma di legame affettivo. In tali casi quindi devono essere previste maggiori tutele, soprattutto per coloro che presentano disabilità cognitive.

In questi casi non si può non notare l’ipocrisia dell’approccio italiano alla prostituzione se si considera che, soprattutto qui in Alto-Adige, è facile arrivare in Austria, paese in cui la prostituzione è regolamentata, ma tale possibilità esiste solo per chi è libero di muoversi…

Succede a volte che assistenti, parenti o amici vicini alle persone con disabilità siano disposti ad accompagnarle per permettere loro di vivere un’esperienza sessuale, ma poi spesso questi si fermino a riflettere sulle ricadute emotive e sulle possibili esperienze negative che possono, inevitabilmente, capitare. Il discorso vira poi sui limiti legislativi e lavorativi dei sex worker, in Italia non ci sono norme che li tutelino e molte volte si rischia di incorrere in pericolosi meccanismi di sfruttamento. Una diversa direzione dell’ordinamento potrebbe sicuramente migliorare le condizioni.