Genio e memoria
I pittori ci hanno sempre mostrato cose e persone poste davanti a noi. Noi porremo lo spettatore al centro del quadro
(Umberto Boccioni)
Entrare al Mart di Rovereto (sigla che sta per “Museo di arte di Trento e Rovereto”) suscita qualcosa di particolare, unico: è l’emozione di visitare un luogo di cultura? Il canto dell’acqua nella fontana in posizione perfettamente perpendicolare rispetto al centro della struttura a cupola che si apre verso il cielo (oggi azzurro)? La melodia caosmotica (da Gilles Deleuze) tra voci, risate e urletti dei tanti giovani che siedono numerosi sui muretti adiacenti alla biblioteca situata al pian terreno o a gruppi vanno a visitare il museo? L’essere edificio a parte nonostante in piena centro città? Il vuoto colmato dal pieno appena si varca la soglia della porta di vetro? No, non è niente di tutto ciò. Il Mart è un luogo che comunica mistero, accoglie silenti pulsioni di vita – tra l’oggi e il domani, con opere di ieri che crescono dal basso verso l’alto.
Mi dirigo verso le sale che ospitano fino al 19 novembre 2017 - Umberto Boccioni. Genio e memoria – un progetto a due tappe in collaborazione tra Mart, appunto, e Comune di Milano, Castello Sforzesco, Museo del Novecento e Palazzo Reale). Gianfranco Maraniello, direttore del Mart, sottolinea, nella prefazione del catalogo, che si è voluto da sempre dar valore alle ricognizioni critiche del Futurismo nella città di Fortunato Depero (la cui casa natale dista a solo dieci minuti a piedi dalla sede del museo) e che è proprio dai fondi documentari che emergono alcune testimonianze che integrano questo straordinario percorso.
Assai singolare, bisogna ammetterlo, quello inventato dalla curatrice Francesca Rossi, coadiuvata nella ricerca da Agostino Contò (della Biblioteca civica di Verona), per evadere il dilemma principale di soddisfare le diverse esigenze di studiosi e del pubblico generalmente interessato all’arte. Documenti nuovi che emergono contengono a volte dettagli, anche minimi, per aprire nuovi orizzonti nelle conoscenze di un autore, o perlomeno sono stimolanti per per andare a vederla!
Cosa c’è di tanto particolare, dunque, rispetto alle altre esposizioni dedicate a quest’artista che aveva aderito al futurismo di Marinetti, ma morto troppo presto, nel 1916, e dopo un anno volontario combattente sul fronte non potè indagare?
Genio e memoria recita il sottotitolo, ed è nella memoria che si è andati scavando per trovare ispirazioni, modelli, riferimenti, amori - oltre a quel (sicuro) tocco di genio che aveva mosso la matita o la penna o il pennello quando scorrevano sul foglio bianco.
Di amori (platonici, sia ben chiaro) ce ne vengono presentati diversi, innanzitutto le donne della sua famiglia di origine, la madre, ritratta in vari modi, e la sorella. Ma su questo torneremo più tardi. Personalmente non vedevo l’ora di ritrovarmi davanti a « la » scultura moderna per eccellenza, benché rappresenti esattamente quello che moderno non era: un nudo! Parlo di Forme uniche della continuità nello spazio plasmato in bronzo nel 1913, apice della sua ricerca del movimento espanso della materia nelle quattro direzioni. I curatori l’hanno piazzata per ultima, all’uscita, di fronte alla entrata, affinché chi visita studi dapprima con attenzione i Diari esposti nelle vetrine assieme ad alcuni fogli del poco noto album che il giovane Boccioni aveva messo a punto chiamandolo Atlante della memoria: qui scopriamo ciò che lui amava raccogliere e conservare, lui, che conservatore non era… Ma era amante dell’arte. E ci si può immaginare che lui amava guardarle e riguardarle queste figurine, per poi dialogarci, virtualmente parlando, creando la sua arte. Erano le cartoline che si era portato come souvenirs dai frequenti viaggi a Parigi e nella Russia (durante i primi anni del secolo scorso) per nutrirsi occhi e anima grazie a quella enorme memoria visiva che erano – e sono - i grandi musei europei. I grandi maestri del passato, le avanguardie in voga quegli anni, dal cubismo di Picasso ai post-impressionisti e ai divisionisti. Proviamo allora ad azzardare un’ipotesi di quello che poteva accadere nel mondo interiore dell’irreverente giovane pittore alla ricerca di canali di espressione nell’universo dei segni alla luce di quella che per lui fu forse tra le più grandi lezioni, ossia la pittura del francese Millet, i cui dipinti ritraevano scene agresti real-naturalisti popolate da contadini o persone di origini umili che sprigionavano dignità e forza d’animo? Ecco un paio di esempi, secondo il nostro codice di lettura.