Un germanista qualsiasi? No, Claudio Magris.
Leggeri con chi sana. Non è una regola vincolante, ma una questione di stile, una doverosa signirolità cui un giocatore di cotecio - uno come si deve, non di quelli buoni solo a culare, ossia a sbarazzarsi come capita delle carte pericolose - non verrebbe mai meno nei confronti di un avversario che, giocando una carta alta pur potendosela svignare con una bassa e quindi pigliando a suo danno tutto quello che c'è sul tavolo, impedisce che un altro faccia cappotto, si sacrifica sanando la situazione generale e togliendo dai pasticci anche gli altri, che perderebbero tutti un punto se quel cappotto riuscisse. Quando uno sana è dunque obbligo morale essere leggeri con lui e non scaricargli addosso le carte peggiori che si hanno in mano.
Nella Stube dell'albergo Herberhof di Antholz Mittertal, gli avventori dalle facce intagliate in legno rubizzo si dedicano in genere a altri giochi, più consoni a una terra che già Carlo V, riferendosi all'intera contea del Tirolo, definiva necessaria alla nazione tedesca. Non a caso ogni anno, da molti anni, Hans, sedendosi con gli altri a quel tavolo vicino alla grande stufa di maiolica decorata con motivi ornamentali verdi su sfondo ocra, propone timidamente una partita a watten; anche i dodici apostoli dipinti sulla parete della Stube rivestite di cirmolo, col tabernacolo - proprio alle spalle del tavolo - che custodisce una bottiglia di riesling, testimoniano a favore della sua richiesta. Un gioco tedesco sarebbe più appropriato di uno veneto, in quell'albergo che le cronache menzionano sin dai tempi antichi e che nei secoli si è ingrandito e allargato, ma conservando sempre il nucleo originario.
Alla deutsche Treue, alla fedeltà tedesca, non si addice il cotecio di Oderzo o di Trieste, così latinamente esperto delle infedeltà della Storia e consapevole che tutte le carte passano di mano in mano.
Ma in quella compagnia Hans, che arriva fra Natale e Capodanno da Vienna, è in minoranza e lascia perdere. Non è escluso che, all'insaputa dei giocatori mossi dall'astuzia della Storia, i decenni di cotecio a quel tavolo - sotto il ritratto del baffuto e defunto signor Mairgunter, già oste del Herberhof stesso come pianeti che percorrano orbite progressivamente più ampie - non costituiscano un involontario e trascurabile capitolo del tentativo di italianizzare il Sudtirol-Alto Adige e di contribuire alla trasformazione di Antholz Mittertal in Anterselva di Mezzo. O meglio, i cotecisti che invecchiano piacevolmente a quel tavolo - almeno nei giorni suppergiù fra Natale e Epifania spesi nella Stube con le carte in mano - rappresentano, sempre a loro insaputa, una retroguardia di quell'imperialismo zoppicante; nella progressiva ritirata italiana da quelle valli indietreggiano anch'essi, ma resistendo a colpi di cappotto e magari, quando è il caso, anche culando.
Tra quei giocatori c'era il grande Giuliano Baioni, che passava a Anterselva le sue vacanze più pregiate, il germanista italiano celebre davvero per le sue opere fondamentali sopra Kafka, Goethe, in procinto di scrivere un libro su Nietzsche, sul quale molti materiali preparatori stavano per essere disposti in pagine che sicuramente avrebbero lasciato il segno. Baioni può essere considerato una delle figure più appartate e concrete, si ricordano pochissime apparizioni pubbliche, al di là dell'impegno delle lezioni periodiche, il resto era studio e scrittura. Lo stesso Mittner che giganteggia per mole espressiva e lascito, non può competere con lo scandaglio dello studioso di Lugo di Romagna, capace di far rivivere dall'interno attraverso diverse rifrazioni le eminenti personalità in formazione, sin da una giovinezza che viene colta con l'esattezza partecipe e mai monumentale di una documentazione coerente, ineccepibile.
Si prenda in mano il volume sul giovane Goethe, esiste nulla di simile nel mondo tedesco. Come il Bach di Buscaroli, compatto come un diamante, il lettore è chiamato a fare la sua parte seguendo le fila di un discorso che diventa anche proprio, lungo l'asse di una interpretazione originale, imprevista, necessaria.
Ecco perchè domani a Parigi ci aspettiamo il volto di uno Svevo che non ti aspetti, nel tempo e nello spazio di una città che ha dato voce alla sua scrittura inquieta e dotata di una visionarietà così percepita in modo cinematografico, perchè Serra appartiene alla cifra e alla fibra del saggista di primo rango, con prove magistrali, quali, solo per fare un esempio, I fratelli separati.
Italo Svevo, scrittore riscoperto molto in ritardo in Italia, ma già apprezzato in Francia, dovrà aspettare addirittura gli anni Settanta a livello accademico per essere davvero compreso in un corso del 1974 rimasto negli annali della Alma Mater bolognese grazie a Ezio Raimondi.
Antholz
Antholz è senza ombra di dubbio il miglior racconto in lingua italiana mai scritto sul Sudtirolo.