Aborto: un diritto davvero garantito?
Quando nel 2018 si celebrarono i 40 anni della L. 194/78 da molte parti si levarono cori per una revisione della legge. Dopo un banco di prova così lungo, si conoscevano ormai bene le criticità di una norma che aveva permesso di rendere legale e sicuro un fenomeno sommerso e pericoloso, ma che conteneva, e contiene ancora, diversi aspetti da superare. Il più problematico è sicuramente l’obiezione di coscienza, prevista per tutti i medici che non vogliono praticare aborti, ma che di fatto rende quasi impossibile procedere con l’IVG (interruzione volontaria di gravidanza) in molti parti d’Italia. In questi giorni infatti si è diffusa la notizia che l’unico medico non obiettore del Molise, Michele Mariano, ha rimandato la pensione per poter garantire alle donne molisane la possibilità di accedere all’IVG nella regione, senza spostarsi. L’azienda sanitaria molisana ha già bandito un concorso per trovare un sostituto, ma nel bando era specificato che il posto sarebbe stato assegnato ad un medico non obiettore e nessuno si è presentato.
Le difficoltà a reperire ginecologi disposti a praticare l’IVG sono simili anche nelle altre regioni italiane, dove le percentuali sono impietose, con soglie che raramente scendono sotto il 50% (unica eccezione la Valle d’Aosta). Molte donne si spostano in regioni in cui le procedure sono più veloci, costrette a subire un aggravio economico per quello che dovrebbe essere un diritto garantito. Le associazioni di medici non obiettori lamentano poi un deciso ostruzionismo nei loro confronti, con maggiori difficoltà negli avanzamenti di carriera, stanchi di essere relegati alle sole IVG, si ritrovano ad eseguire turni più lunghi e a rimandare il normale e garantito tempo di riposo.
A 43 anni dalla legge ci si chiede quindi se l’obiezione di coscienza così formulata non sia la perfetta scappatoia per rendere altamente difficile ciò che non si può vietare e costringere le donne ad una tormentata corsa ad ostacoli, senza considerazione per la loro coscienza e la loro salute fisica e mentale.
Il caso umbro
Un altro nodo è rappresentato dall’accesso all’interruzione farmacologica, la pillola abortiva o RU 486. Assunta per via orale, non richiede interventi chirurgici e non comporta necessariamente l’ospedalizzazione, ma incontra forte opposizione da parte di alcune giunte regionali, come nel caso dell’Umbria, regione a guida leghista, in cui la governatrice Donatella Tesei ha firmato un protocollo che prevede l’obbligo di ricovero di 3 giorni per le donne che intendono procedere con l’IVG, nonostante il parere contrario della società italiana di ostetricia e ginecologia. È intervenuto infine il Ministro della salute Roberto Speranza che ha finalmente aggiornato le linee guida della legge e, su parere dell’istituto superiore di sanità (ISS) e su delibera dell’Aifa, ha rimosso le limitazioni previste per la pillola RU 486.
L’Umbria, in contrasto con le direttive nazionali, non ha però ancora ritirato la delibera, un chiaro monito a mantenere alta l’attenzione su un diritto che viene costantemente osteggiato da diversi fronti e che negli ultimi anni sta subendo numerosissimi attacchi da parte di aggressive fronde antiabortiste, non solo in Italia. Le crociate di questi gruppi infatti si estendono ben oltre l’Europa, in cui il caso più emblematico è rappresentato dalla Polonia, ma arrivano a toccare anche gli USA, dove diversi stati del Sud, come Alabama o Oklahoma, tentano di porre limitazioni sempre più stringenti e mirano ad abolire, attraverso il sistema dei ricorsi alle Corte Suprema, la sentenza che consente, ad oggi, la pratica dell’IVG in tutti gli USA.
Come ha ricordato Kate Gilmore, Vice Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, le limitazioni all’aborto costituiscono una forma di tortura e anche il Consiglio d’Europa ha ricordato all’Italia di ridurre gli ostacoli per l’accesso all’IVG e appianare le disparità interne tra regioni.
C’è poi una parte della legge 194/78 che sembra essere ancora più ignorata e che richiama alla necessaria prevenzione ed educazione sessuale: attraverso il supporto dei consultori e il coinvolgimento di scuole e personale sanitario si dovrebbe consentire un’adeguata informazione ed accesso ai metodi contraccettivi, garantendo la salute sessuale. Purtroppo la media oraria delle giornate dedicate a questo argomento a scuola è molto bassa, l’educazione sessuale non rappresenta una materia obbligatoria negli istituti, come avviene in Germania o nei Paesi Bassi, e c’è ancora diversa resistenza da parte delle famiglie, convinte di doversi occupare da sole di questi temi.
La situazione in Alto Adige
Il ruolo dei consultori è invece fondamentale, perché rappresentano il tramite tra le esigenze sanitarie, psicologiche familiari e personali e gli ospedali, un potente strumento di assistenza intermedio, vicino alle persone. Anche in Alto Adige la presenza dei consultori permette di arrivare a sostenere diverse donne nel percorso di salute riproduttiva.
Secondo la dottoressa Silvia Camin, presidente del consultorio AIED di Bolzano, le molteplici funzioni di questi enti non sono purtroppo valorizzate appieno e i fondi sono ancora troppo scarsi. Anche a Bolzano le richieste superano la disponibilità e ci sono lunghe liste d’attesa per accedere ai servizi, mentre in alcune zone periferiche i consultori non sono presenti. In accordo con il rapporto dell’ISS del 2019, che monitora lo stato di salute dei consultori italiani, ci sono ancora troppi pochi consultori rispetto agli abitanti e AIED ha già rivolto un appello agli assessori provinciali, chiedendo un’udienza per discutere dei finanziamenti, necessari per soddisfare tutte le richieste che arrivano sul territorio bolzanino.
In Alto Adige infatti i consultori svolgono un importante lavoro di prevenzione e assistenza, anche nel campo dell’IVG per le donne italiane e straniere, permettendo di superare il problema dell’alto numero di medici obiettori nella provincia: attraverso una collaborazione con medici privati che si rendono reperibili per praticare l’aborto, l’accesso a queste pratiche resta comunque garantito e interamente coperto dalla sanità pubblica, senza quindi ulteriori aggravi economici.
Investire maggiori risorse nei consultori è la chiave per un progetto di crescita omogenea del territorio, nel quale la vicinanza delle istituzioni alle persone rappresenta la giusta connessione per la tenuta sociale, negli ultimi anni sempre più soggetta ad oscillazioni.