Politica | Il punto

“Macroregioni? Non banalizziamo”

La proposta dem di accorpare le regioni continua a far discutere. Palermo: “Intensificare piuttosto le collaborazioni fra i territori, la Germania insegna”.

Altro giro, altra corsa. La spinta riformatrice propulsiva del governo Renzi ci ha abituati, de facto, a non sottovalutare il fiume carsico di iniziative (né i loro tempi di azione) snocciolate nelle aule parlamentari. Prendiamo la proposta di legge dem targata Ranucci-Morassut sull’istituzione di 12 cosiddette macroregioni che sostituirebbero le attuali 20 regioni; un’ipotesi che, nelle intenzioni dei sostenitori del progetto arginerebbe lo sperpero di denaro pubblico, ridurrebbe in maniera consistente i bizantinismi burocratici e costituirebbe un antidoto efficace a clientelismo e corruzione.

Secondo il piano dem il Trentino-Alto Adige, il Friuli-Venezia Giulia e il Veneto verrebbero accorpati in un’unica macro area, il Triveneto. A livello locale le opinioni sono discordanti: c’è chi come alcuni esponenti della destra tedesca sudtirolese individuano nell’idea del Triveneto reminiscenze fasciste; chi la vede come una possibilità da non cestinare a priori come il deputato Verdi-Sel Florian Kronbichler; e ancora, chi vede messa in discussione la specialità del territorio e chi minimizza come il presidente della provincia Arno Kompatscher, il quale non manca di ricordare che l’autonomia è protetta da trattati internazionali. Un aspetto, questo, ha dichiarato Roberto Morassut sull'edizione odierna del quotidiano Dolomiten, che dovrà essere considerato nell’ambito di una riforma costituzionale.

L'eventualità di una macroregione del Nordest ha spaccato inevitabilmente anche il Pd; Alessandra Moretti, capogruppo democratico nel consiglio regionale del Veneto, ha affermato al Corriere della Sera che occorre “superare il concetto dello statuto speciale che non ha più ragioni, né storiche né economiche, per sussistere. È arrivato il momento che il Veneto possa competere ad armi pari, senza più subire la concorrenza sleale che viene esercitata oggi dal Trentino-Alto Adige e dal Friuli-Venezia Giulia”. Uno dei motivi per cui la proposta del duo Ranucci-Morassut non viene vista di buon occhio dalle due regioni a statuto speciale, del resto, è il timore che la leadership del Triveneto possa verosimilmente essere assunta dal Veneto.

Contraria al progetto anche Debora Serracchiani, governatrice del Friuli-Venezia Giulia e vicepresidente nazionale del Pd, che ha liquidato le indiscrezioni circa il riassetto dei confini regionali smentendo l’attualità politica del tema. Anche secondo il costituzionalista e senatore (Pd-Svp) Francesco Palermo l’argomento non è di stringente priorità e anzi si tratta di “un divertissement intellettuale, di magre provocazioni e piccoli giochi politici buoni solo a far perdere tempo”. Sul tema strutturale, tuttavia - prosegue Palermo -, una riflessione può essere tentata. “L'argomento non è nuovo, del resto si tratta di una rielaborazione degli studi della Fondazione Agnelli, occorre trovare tuttavia le modalità per affrontarlo correttamente. Le proposte serie riguardano la possibilità di ridisegnare delle regioni che sono in gran parte artificiali e la necessità di diventare degli organismi di pianificazione effettiva. Nel nostro paese non c’è mai stata una reale cultura del regionalismo”.

Approfondire la questione senza confinare il dibattito nell’eccessiva semplificazione è la linea d’azione da perseguire in questo senso, dice il senatore che aggiunge: È un ragionamento che va fatto eventualmente solo per alcune regioni e il tema non va affrontato sul piano costituzionale ma su quello amministrativo. La cosa da fare è intensificare forme di collaborazione sui territori di confine, inoltre questioni come sanità, trasporti, ricerca e ambiente, dove la dimensione regionale è esigua, possono essere gestite in comune, senza però necessariamente fondere gli enti”. In Germania, dove la cultura del federalismo è evidentemente maggiore, conclude Palermo, “esiste da tempo il dibattito sull’accorpamento dei Länder, ma finora non se ne è fatto ancora nulla. Il tema non è dunque un unicum italiano, ma il dato interessante è che in molti casi, come per Berlino e Brandeburgo, si sono create una serie di istituzioni collaborative senza che per questo sia stata lesa l’identità di nessuno. Il problema è che in Italia seguiamo con costanza l’errata concezione del ‘tutto o niente’, ma c’è molto ‘in mezzo’, si può lavorare congiuntamente in modo proficuo senza necessariamente pensare di fondere insieme le regioni, ecco”.