Cultura | Salto Afternoon

Sonora 703 Ressentiment Music Festival

5 serate musicali a tema al Teatro Puccini (Merano) - l’ultima il 29.10. con “Risentimento da camera” per riscoprire alcune composizioni guardate attraverso un prisma
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Foto: KARLHEINZ SOLLBAUER

Gli elementi scenici sono semplici: luci in proiezione monocolore sullo sfondo, sei musicisti, un coro di cinque persone e un’attrice. Il testo riguarda un unico soggetto a più firme: Medea. E poi arriva la vera protagonista, la musica, come nelle altre cinque sere di Sonora 703, il “Ressentiment Music Festival” organizzato dall’Associazione Conductus assieme a Kunst Meran/o Arte e Alpha Beta per il progetto Zeitworte/Parole del tempo di cui abbiamo già scritto in primavera su queste pagine. Si tratta di un progetto multimediale pluriennale cui collaborano un editore (Edizioni Alpha Beta Verlag) per la pubblicazione di un libro (già uscito), una galleria d’arte (Kunst Meran/o Arte) con una mostra sul tema, già svolta, e un ensemble musicale per serate a tema, appunto. La “parola del tempo” scelta per il primo anno è Ressentiment, facilmente traducibile in italiano con “risentimento”, mentre in tedesco non esiste un termine preciso per questo tipo di emozione. 
I punti di vista secondo cui illuminare questo risentimento scelti da Marcello Fera, direttore artistico del festival nonché fondatore e direttore dell’Ensemble Conductus, violinista e compositore, sono diversi. Lunedì 26 ottobre ci ha regalato una visione/fusione/immersione nelle più diverse sfumature oscure di questo stato emotivo che nei versi di Roberta Dapunt riportate sul programma del festival suona così: 

“la Mala Pianta

Tienilo presente questo nome comune,
direttamente lì, con le mani afferralo
dove il cuore è più nero e la superbia ti assomiglia.
Del torto imperdonabile ti alimenti,
la passione atroce scriveva Nietzsche.
Che anche se la nascondi, a volte affiora sul viso una timida luce
ti avverte: il sentimento è acceso. Quale veleno, rode l’animo
e quanto, quanto ci rende brutti il risentimento.”

Medea in parole e musica, titolo della serata, ci ha offerto molto di più di un viaggio attraverso le vicende di quella figura attorno a cui molti scrittori si sono messi alla prova, offrendo incroci, sovrapposizioni e unioni tra ieri e oggi, tra il mito e la realtà, tra il personaggio e la donna. Un viaggio tra le emozioni forti degli esseri umani quando si riducono a mere forme di esistenza terrena tra l’avere il massimo e l’esercitare il potere in tutte le maniere. Pena la distruzione, anche quella di sé. Medea è stata messa in scena tante volte in teatro e in diverse pellicole al cinema, qui abbiamo assistito a una singola voce recitante alternata a voci cantanti (il coro) e le sonorità emesse dai diversi strumenti a corda tra violini, violoncello e contrabbasso. Questo alternarsi tra le parole immerse in - anzi emerse da – un silenzio totale (anche da parte del pubblico piuttosto numeroso nonostante la pioggia torrenziale e le restrizioni per cause sanitarie a livello nazionale – assurde per quanto riguarda la chiusura di teatri e cinema, come ha sottolineato lo stesso Fera a inizio concerto) favoriva il lasciarsi trasportare dalle onde sonore al pari delle onde del mare… per cui in certi momenti le asticelle alte che reggevano i microfoni apparivano come alberi di antichi vascelli in viaggio nel Mediterraneo verso Corinto, dove si svolge l’azione scenica narrata: l’amore spezzato tra Medea e Giasone, lei cacciata che per vendetta uccide i due figli maschi piccoli regalati al marito che l’ha abbandonata per un’altra. Nelle parole (un collage di brani a cura della stessa attrice viennese estratti dai testi di Euripide, dell’austriaco Franz Grillparzer, della tedesca Christa Wolf e di Tom Lanoye, il più importante drammaturgo fiammingo contemporaneo) si rispecchiano situazioni eterne, tra bramosia e abbandono, potere, ascese e discese – gli andamenti della vita. Il vigore emozionale con cui Marie-Therese Futterknecht ha caricato singoli punti del racconto mitologico, a volte singole parole, ci hanno condotto in un attimo dal passato al presente e al futuro, tanto è forte la mitologia, descrivendo caratteristiche fondamentali degli esseri umani. Eguali da sempre. 

 

Altre due asticelle molto alte fanno come da cornice al podio da dove Fera dirige il “suo” Ensemble (qui formato da Veronika Egger e Martin Schmidt al violino, Ester Carturan alla viola, Nathan Chizzali al violoncello e Silvio Gabardi al contrabasso) che esegue le musiche (alcuni brani sono tratti dalle musiche di scena per una Medea di Seneca, arrangiate da Marcello Fera). La vera potenza però arriva dallo sfondo del palco dove si è piazzato in semicerchio il coro A Filetta, straordinario quintetto di voci della Corsica (Jean-Claude Acquaviva, François Aragni, Petr’Antò Casta, Stéphane Serra e Maxime Vuillamé) che da oltre trent’anni porta in giro la tradizione corsa vocale basata sulla polifonia, che guarda caso già negli anni novanta del secolo scorso aveva riunito quattro lunghi canti dedicati al soggetto di Medea, unendo tradizioni vocali insulari e influenze polifoniche varie (nominato nella lunga discografia come inciso e uscito nel giugno 2006). Proprio quello è stato l’anello di congiunzione tra il coro e Fera, avendo quest’ultimo nel 2009 in occasione di un progetto sulla Corsica arrangiato due brani musicalmente per gli archi e per la serata meranese ne ha arrangiati altri due. Una collaborazione quindi che affonda le sue radici in progetti realizzati assieme e nuovamente rivitalizzata per l’occasione di questa Medea in parole e musica, unendo in una scaletta unica anche brani di repertorio di entrambi gli ensemble adatti a esprimere i vari stati d’animo della figura mitologica.  


Le tappe del viaggio dentro il mito ideate sono definite nel programma di sala con termini quali speranza, Heimat, privazione dei diritti, sentirsi stranieri, amore, morte, vendetta per finire con un più che attuale “dove andare?”. Sono ampliate nella percezione dei sensi del pubblico con i colori dell’arcobaleno, dove un freddo blu-azzurro, prima, e un rosso sangue, poi, fanno da padroni. Per il concetto di Heimat Jean-Claude Acquaviva ha scritto ex novo un brano per un trio di archi intitolato Elixir che fa pensare all’elisir della vita, il quale a volte – forse – può essere anche letale, se sbagliato nelle dosi…
Un lunghissimo applauso ha salutato il gruppo di artisti, che ha richiamato il coro A Filetta sul palco per un breve bis della loro particolarmente curata arte vocale.

Che “risentimento” non debba necessariamente significare qualcosa di triste o particolarmente drammatico lo abbiamo visto e ascoltato nella seconda serata con due “funamboli” della musica viennesi, il duo Georg Breinschmied e Thomas Gansch. I due virtuosi hanno iniziato entrambi come musicisti con il chiaro obiettivo di suonare musica classica in orchestre varie, poi si sono resi conto che non era quella la loro strada. Ce lo hanno raccontato nel corso del programma denso di virtuosismo e humor viennese declinati in chiave jazz e brevi aneddoti narrati. Certo come potevano suonare i classici se amano i Beatles, i film dei Monty Python e la prosa di Thomas Bernhard? Breinschmied al contrabbasso e con interventi vocali, Gansch alla tromba, al flicorno e con interventi vocali e a tutto corpo, un comico nato degno delle famose slap stick comedies di inizio Novecento – insieme sono imbattibili nel creare musicalmente attraversamenti stralunati di brani classici noti, eseguiti con grande sapienza e sensibilità, dove serietà e umorismo si danno la mano. Hanno scaldato la sala, e non si sono dimenticati di ricordarci – forse è stato qui il vero tocco di risentimento – che è dura sopravvivere sul palco nel periodo che stiamo vivendo.