Società | L'episodio

Via le ombre da San Candido

La Questura: l’incendio del 26 dicembre nella zona destinata ad ospitare 40 profughi non è doloso. Torna il solito quesito: come migliorare le politiche di accoglienza?
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Foto: Jordanrobin via DeviantART

Il caso di S. Candido

I fatti: il 26 dicembre scorso, intorno alle 4 del pomeriggio, scoppia un incendio nell’ex caserma Druso a San Candido. Un passante si accorge della nuvola di fumo proveniente dall’edificio in disuso e allerta i soccorsi. 30 vigili del fuoco accorrono sul posto e riescono a domare rapidamente il rogo impedendo alle fiamme di diffondersi negli stabili limitrofi. La struttura era vuota e non si registrano quindi feriti. A prendere fuoco erano stati alcuni materassi e oggetti d’arredo. La polizia si occupa degli accertamenti del caso. Un incidente la cui dinamica non appare espressamente peculiare se non fosse per il fatto che nell’area in questione si trova anche l’edificio (che tuttavia non è stato colpito dalle fiamme) individuato dalla Provincia per ospitare 40 richiedenti asilo; una soluzione che, peraltro, come sovente accade, aveva sollevato in passato una scia di polemiche. Il tarlo del dubbio ha fatto quindi la sua comparsa, complice, probabilmente, l’attentato di pochi giorni prima (il 19 dicembre) a Berlino: si è trattato di incendio doloso? Di un messaggio inequivocabile travestito da minaccia nei confronti dei profughi o di un atto di protesta verso le politiche di accoglienza locali?

 

Fra i primi a porsi queste domande è stato Armin Mutschlechner, artista e operatore sociale altoatesino già al centro di una bufera mediatica per aver provocatoriamente dichiarato, tempo addietro, di voler trovare delle ragazze per i migranti presenti sul territorio in attesa di asilo. Sul suo blog Mutschlechner si chiede se l’incendio divampato all’ex caserma Druso sia solo una coincidenza, lasciando tuttavia spazio, nel finale, a un certo piglio ottimistico: “Wenn eine Gesellschaft keine anderen Antworten auf die Herausforderungen einer globalen Welt parat hat, ist es um diese traurig bestellt. Dem ist aber nicht so, denn ich bin überzeugt, dass die Zivilgesellschaft in Südtirol (mit Ausnahmen) weitaus vernünftiger ist. Toll!”. Dopo 3 giorni di indagini la Questura di Bolzano assicura: l’ipotesi del dolo è stata scartata, così come la pista del presunto razzismo nei confronti dei migranti. Alcuni ragazzi, spiega ancora la Questura, si danno appuntamento in quella zona e consumano, abitualmente, droghe leggere. L’incendio, con ogni probabilità, sarebbe stato causato da alcune sigarette lasciate inavvertitamente cadere sui materassi non ignifughi presenti nell’edificio nel quale i soggetti sarebbero entrati forzando la porta.
 

Ad ampio raggio

Il tema dei flussi migratori è ormai coefficiente imprescindibile della nostra quotidianità, l’episodio di San Candido e le speculazioni che ne sono seguite dimostrano da un lato l’istinto solidale nel voler proteggere gli indifesi e dall’altra il timore che l’accettazione dell’altro sia ancora un esercizio indigesto a molti. In Alto Adige presente, attiva e infaticabile continua ad essere la società civile: ultimo in ordine di tempo è l’appello, firmato da diversi volontari e associazioni, che chiedono un impegno costante e determinante in particolare alla politica locale. Nell’elenco delle priorità snocciolate nella lettera aperta indirizzata al Landeshauptmann Arno Kompatscher & co. c’è il modello SPRAR (nato nel 2001), una soluzione ancora sottovalutata che i firmatari esortano invece ad adottare. Nell’anno che sta per concludersi, del resto, il Ministero dell’Interno ha favorito la diffusione di questo sistema, che ad oggi ospita solo il 20% dei profughi e dei richiedenti asilo in Italia. L’unico “punto debole” è che l’adesione al sistema SPRAR è solo volontaria per i comuni.

Sempre nel 2016 le persone effettivamente accolte attraverso questo modello di accoglienza sono state 22.983, 2.187 in più rispetto al 2015. Come in passato le prime quattro regioni per numero di accolti sono i territori che detengono la maggiore capienza dello SPRAR, ovvero la Sicilia (prima con il 20,9%), il Lazio (20,3%), la Calabria (9,8%) e la Puglia (8,8%), che complessivamente rappresentano il 59,8% del totale. Inferiore al 6% è invece il peso di questa presenza nelle altre regioni. Tale modello, spiegano Daniela Di Capua e Monica Giovannetti, rispettivamente direttrice del sistema centrale SPRAR e responsabile dell’area minori, sul giornale online Secondo Welfare, “ha segnato un momento di svolta nella storia dell’asilo in Italia. In primo luogo perché per la prima volta si è iniziato a pensare e a programmare in termini di sistema, in secondo luogo perché l’accoglienza è uscita dalla dimensione privata per entrare in quella pubblica”. E così “con l’avvio del Pna (Programma nazionale asilo) si è concretizzata un’assunzione di responsabilità da parte degli enti locali e dello Stato centrale”. Fa capolino, quindi, una domanda finora rimasta inevasa, ossia: anche l’Alto Adige si deciderà a rispondere a questa chiamata a raccolta?