Società | L'intervista

"L'Alto Adige è sempre più anziano"

Lo studio di Alex Weissensteiner, docente di Unibz, rivela le problematiche economiche e sociali derivanti dal progressivo invecchiamento della popolazione.
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Foto: (c) unsplash

La popolazione italiana è sempre più anziana. Da tempo, in Italia, si assiste ad un calo demografico continuo, con record di nascite costantemente negativi, che fanno del nostro paese il più vecchio tra gli Stati europei. Secondo una ricerca Eurostat, pubblicata dopo aver analizzato il decennio 2011-2021, l’Italia presenta la media più alta in Europa per età della popolazione (47,6 anni), un dato che lascia intravedere diversi profili problematici per le prospettive economiche e sociali. Nonostante il periodo pandemico abbia fatto sentire le sue conseguenze anche in questo campo, ormai si assiste da decenni a tale calo delle nascite, colmato solo parzialmente con l’immigrazione. Anche in Alto Adige si registra la stessa tendenza ed un team dell’Università di Bolzano ha deciso di esplorare il fenomeno, attraverso un progetto multidisciplinare che coinvolge il settore economico e quello demografico, l’ambito statistico e quello sanitario, per arrivare alla pubblicazione di un report, che verrà reso disponibile dai primi mesi del 2023. La ricerca si pone l’obiettivo di fotografare le condizioni demografiche in Alto Adige ed aprire il dibattito sull’evoluzione della sanità alla luce dei risultati ottenuti. Il professor Alex Weissensteiner, docente di Quantitative finance presso la Libera Università di Bolzano e responsabile del progetto, anticipa alcuni dei temi indagati nella ricerca. 


Salto.bz: Professor Weissensteiner, com’è nato questo progetto? 

Alex Weissensteiner: L’Italia, come il resto d’Europa, è interessato da questo progressivo invecchiamento demografico ed è inevitabile chiedersi quanto grande sarà il suo impatto sull’organizzazione della società. Con i colleghi di Bressanone, dove risiede il centro di competenza per lo studio degli aspetti sociali nel settore dell’assistenza, abbiamo sviluppato uno studio che ha coinvolto più discipline per guardare al fenomeno attraverso i diversi aspetti della cura.

 Nonostante in Alto Adige le nascite siano più alte che in altre regioni, i risultati non sono sorprendenti e anche i dati OCSE lo confermano

Anche i dati altoatesini seguono quelli del resto del paese? 

La situazione è tendenzialmente la stessa. Nonostante in Alto Adige le nascite siano più alte che in altre regioni, i risultati non sono sorprendenti e anche i dati OCSE lo confermano. 

Avete coinvolto anche attori privati negli studi? 

Nella parte di ricerca sociale di Bressanone i colleghi hanno intervistato esperti del settore della cura e interagito con le persone che si occupano dell’assistenza nelle strutture ospedaliere o a domicilio. Si  è trattato di un lavoro non solo quantitativo, ma anche qualitativo.

Quanto influisce sulla sanità pubblica il cambiamento che la compagine sociale sta vivendo? 

Abbiamo visto che dopo i 65 anni la richiesta di assistenza sanitaria aumenta in modo esponenziale, ma il problema non risiede solamente nell’aspetto medico. Anche le famiglie  sono molto cambiate, spesso gli anziani vivono soli, si fanno meno figli e sempre più tardi, nelle coppie entrambi i partner lavorano: tutto questo influisce sulla possibilità di accudimento dei familiari. L’assistenza quindi si sposta verso un personale esterno, capace di rispondere alle varie esigenze non solo nel momento in cui l’assistito si trova in ospedale. 

Il calo demografico, però, incide anche sulle possibilità economiche? 

Un saldo negativo di nascite ha ripercussione anche sull’occupazione e sulla possibilità di mantenere l’intero sistema di welfare. La piramide generazionale si sta assestando su una sproporzione tra coloro che sono attivi nel mercato del lavoro e coloro che percepiscono le pensioni e sono i principali destinatari del sistema sanitario. 

L’apertura verso l’immigrazione può essere una soluzione? 

La nostra ricerca non ha avuto come oggetto di studio il fenomeno migratorio, ciò che abbiamo potuto osservare è che, oltre al problema della possibile carenza di risorse, stanno diminuendo anche i professionisti: medici, infermieri o esperti del settore. Un’immigrazione controllata potrebbe risolvere alcune questioni del fenomeno, ma spetterà agli amministratori scegliere sul punto.

 A pesare moltissimo è anche la questione del budget e delle risorse da allocare. Questi aspetti condizioneranno le scelte politiche dei prossimi decenni

In molti paesi l’invecchiamento della popolazione è un problema da affrontare, avete guardato alle strategie che gli altri Stati stanno mettendo in campo?

Nel nostro studio abbiamo analizzato le proposte che altre nazioni stanno esplorando. Mi riferisco soprattutto ai paesi scandinavi o al Giappone: anche per loro si tratta di un fenomeno di recente attenzione e la discussione è ancora in divenire, ma è necessario pensare insieme e non fermarsi al singolo livello nazionale. 

Dato il comune problema europeo, un piano comunitario potrebbe essere d’ausilio? 

Si tratta di un fenomeno complesso, che, come abbiamo potuto constatare dal coinvolgimento dei vari esperti nella nostra ricerca, riguarda diversi settori. Non c’è il solo dato medico, seppur fondamentale, ma a pesare moltissimo è anche la questione del budget e delle risorse da allocare. Questi aspetti condizioneranno le scelte politiche dei prossimi decenni. 

Il ruolo delle istituzioni sarà quindi fondamentale? 

I risultati della ricerca verranno presentati anche alla Presidenza della Provincia. Proprio perché si tratta di un nodo cruciale per il futuro, intavolare una discussione insieme alle amministrazioni ne aumenterà la consapevolezza e potrà aprire la strada verso politiche future che tengano conto di questi importanti cambiamenti sociali.