“Diventa quasi istigazione…”
salto.bz : Davvero la copertura dei media a Trento del terribile fatto di cronaca delle Albere secondo lei è stata inaccettabile?
Andrea Castelli - Il fatto di cronaca di per sé l’ho seguito fino ad un certo punto. So che la notizia va data e la notizia nello specifico era: padre uccide i figli e poi si suicida. A questo punto io sapevo tutto. Ma allora perché spiegare quante martellate aveva dovuto dare il padre per uccidere i figli? E come e dove aveva dovuto darle? Io dico: no, dobbiamo fermarci. E’ come in teatro. Se io sul palco faccio un rutto trovo sempre qualcuno che ride. E allora questo cosa vuol dire, che lo devo fare più grande per far ridere di più?
Insomma: si è innescato un meccanismo perverso alimentato dall’esagerazione..
Io sono stato pubblicista per 30 anni ed ho restituito il tesserino in un momento di rabbia 2 anni fa per via di una critica ignorante e della risposta che mi ha dato il direttore di questo giornale.
Ma tornando al fatto di cronaca quello che voglio dire è che se la categoria dei giornalisti fa così, dimentica anche il suo ruolo in qualche modo educativo. Io capisco che devono vendere giornali, però educando all’orrore e al macabro mi sembra che si perda di vista il ruolo che devono avere i media.
“Diventa quasi istigazione, alla fin fine. Perché alla massa in effetti piacciono queste cose.”
Sì, ma… è nato prima l’uovo o la gallina? Ovvero: è il giornale che corre dietro ai ‘gusti’ della gente oppure la gente che viene condizionata dal modus operandi dei media?
Secondo me anche se anche la gente volesse queste cose, noi queste cose non gliele dobbiamo dare. Sui social provocatoriamente ho scritto: lasciateli in edicola questi giornali. E così hanno subito sgridato. Ma mi sono anche subito pentito di aver scritto sui social.
Social che in realtà oggi amplificano all’ennesima potenza la deriva della cronaca nera data con insistenza sui particolari.
Appunto. Vi rendete conto? Stiamo veramente precipitando quantomeno verso il cattivo gusto. Non si educa più al bello, al buono, al positivo, chiamatelo come volete.
“Tant’è vero che la notizia positiva oggi come oggi non è quasi più una notizia”
Lei in realtà è un professionista del raccontare. E quindi si sarà posto anche la questione di cosa si voglia o si possa dire nel racconto di un evento di questo genere. Un evento che ha inevitabili implicazioni sociali, psicologiche, ecc. Con i soldi quale elemento scatenante in una sorta di miraggio che riassume in sè tutti i ‘vecchi’ valori ormai in disuso.
In effetti esiste anche una specifica forma in teatro che consente di raccontare queste storie. Ma è un po’ come nei fumetti: se tu prendi Tex Willer e questo spara a tutti quanti tu devi saper leggere la chiave.
Faccio un altro esempio: in teatro mi è capitato che quando uscivo sul palco già ridevano, mentre dovevo ancora aprire bocca. Mi sono detto: qui c’è qualcosa che non va. D’istinto mi veniva voglia di tirarmi indietro e dire: adesso andatevele a cercare voi le cose, io non ve le dico più.
Insomma: deve esserci uno scambio che implica con una prova di cervello. Alla gente non dobbiamo dare la pappa pronta, altrimenti non vengono minimamente stimolati ad usare il cervello.
Vale per il teatro come anche per il giornalismo?
Io capisco che devono vendere giornali, ma se per questo dobbiamo dare via… (non so se mi spiego), allora non va. E se io mi mostro indulgente al gusto del pubblico, devo poi rassegnarmi a giocare al ribasso. A teatro ti dicono: non è il pubblico che deve tirarti giù dal palco ma sei tu che li devi tirare su. Anche se loro ti dicono “facce ride”.
In queste situazioni dovrebbero intervenire anche gli organismi di garanzia dei giornalisti che in teoria dovrebbero vigilare sugli eccessi?
Secondo me sì ì, perché il degrado ormai è generalizzato. Se quei pochi che potrebbero avere la funzione di contrastarlo si mettono a giocare anche loro…
… non c’è più speranza?
Proprio così.