Radere al suolo il pregiudizio
Non c’è nulla di peggio che dare fiato alle sparate dei demagoghi.
Il funesto circolo vizioso tra politica irresponsabile e media superficiali – da cui deriva un’opinione pubblica scarsamente e malamente informata e dunque propensa a votare politici irresponsabili – si alimenta infatti proprio così: il politico di turno rutta qualche slogan (in campagna elettorale la digestione si fa casualmente più complessa), i media ci si buttano a pesce e ne fanno i titoloni, il populista si esalta per l’incremento di visibilità e la volta successiva la spara ancora più grossa. Ferma la sacra libertà di parola e perfino di rutto, il miglior digestivo resta il pietoso silenzio.
Ma stavolta devo fare un’eccezione. Perché le raffinate dichiarazioni di Matteo Salvini in occasione della giornata internazionale di Rom e Sinti dell’8 aprile potrebbero involontariamente innescare una spirale positiva. Proprio grazie alla semplificazione mediatica su cui il populista specula.
Il messaggio che è passato è che Salvini vorrebbe “radere al suolo” i campi Rom. Il che è esattamente ciò che chiedono tutte le organizzazioni internazionali, ma anche la commissione per i diritti umani del Senato, tutti coloro che del tema si occupano sul piano della ricerca e dell’attivismo e persino la strategia nazionale di inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Caminanti approvata nel 2012 (http://www.unar.it/unar/portal/?p=1923). La politica scellerata del “campo nomadi” è la causa, non l’effetto, di gran parte dei problemi di esclusione, di delinquenza e in ultimo di quella che era stata definita “emergenza” Rom (anzi, “nomadi”… e le parole non sono ideologicamente neutre). È questa politica che ha creato le condizioni perché il problema si acuisse e continui ad acuirsi, il tutto ad un prezzo molto alto per le casse pubbliche. È ampiamente dimostrato che con meno soldi di quelli spesi negli ultimi anni per i “campi” si sarebbero potute finanziare politiche abitative e di inclusione, come del resto hanno fatto tutti gli altri paesi europei, dove pure la percentuale di Rom rispetto alla popolazione è spesso assai maggiore che in Italia. Insomma, il “campo” è una peculiarità tutta italiana, una follia scellerata e costosa, un incubatore di criminalità e malattie. Quindi vanno chiusi al più presto, ogni giorno che passa è troppo tardi. Per dirla col rutto ad effetto: sì, vanno rasi al suolo.
Naturalmente l’intenzione del leader leghista non era la denuncia dell’ignominia dei campi e l’appello al suo superamento. Era l’esasperazione della logica che i campi ha prodotto: via dagli occhi, via il problema. Prima si mettono i Rom nei campi per non vederli. Poi quando anche questi bubboni sono inevitabilmente diventati visibili, spianiamo anche questi. Ovviamente senza preoccuparsi di affrontare e risolvere il problema e lasciando che diventi sempre più grave e acuto, per urlare più forte in campagna eletorale e conquistare consenso sullo stesso veleno che si contribuisce a versare nei pozzi della società.
Ma è proprio qui che entra in gioco la mediatizzazione banalizzata del messaggio. Per la quale anche chi ha scelto di trarre dal problema Rom una rendita politica (una scelta politicamente astuta, visto che meno il problema si affronta più si acuisce e più si acuisce più è facile specularci sopra per un consenso a breve termine attraverso slogan di questo tipo) è finalmente contrario ai campi Rom. Bene. Era ora. Possiamo finalmente contare (almeno mediaticamente, ma è questo che conta) su un consenso pressoché unanime delle forze politiche per il superamento dei campi. Ovviamente non è proprio così, ma se passa questo messaggio si farà un bel passo in avanti. Sperando che poi si possano iniziare a porre in essere politiche più sensate, che almeno evitino di compiere il capolavoro dei campi, che hanno prodotto al tempo stesso intollerabili violazioni dei diritti fondamentali di chi ci vive, aumento dell’insicurezza per la collettività e elevati costi per i bilanci pubblici.
P.S. Siccome la banalizzazione comunicativa implica anche l’inevitabile etichettatura politico-partitica di qualsiasi opinione (come ha bene messo in evidenza Gabriele Di Luca, qualcuno dirà che il mio è un commento “di sinistra” (Verde? SEL? Cattocomunista? Altro?).
Magari. Sul tema, purtroppo, la distinzione tra “destra” e “sinistra” è, salve alcune nobili eccezioni, piuttosto sottile. Parte della destra usa il tema per trarne consenso, la sinistra (e il resto della destra, quella più “moderata”) generalmente tace imbarazzata, non potendo cavalcare la tigre ma consapevole che occuparsene seriamente produrrebbe un suicidio politico. Forse se la smettessimo di voler mettere etichette e studiassimo di più i problemi e le possibili soluzioni ne guadagnerebbe la qualità della politica, della comunicazione e anche della società. Che purtroppo non è affatto migliore della politica e dei media. Con le debite eccezioni, che ci sono in tutti i settori. Perfino in politica.