Lo sguardo necessario
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Per Giacomo Venturato il documentario è uno strumento di cambiamento, in cui il linguaggio artistico non può prescindere da un taglio più politico. E proprio è questa la cifra stilistica dei suoi film: se “Don’t disturb”, opera del 2023, ha messo in luce il legame tra il processo della cosiddetta riqualificazione della città di Bolzano e la marginalizzazione dei soggetti più deboli, la sua ultima fatica, “I sommersi”, rappresenta uno step ulteriore in questo percorso. In questo cortometraggio documentario, infatti, Venturato ha volto il suo sguardo sugli orrori dei Centri di permanenza per il rimpatrio italiani (vedi infobox) e sulle ferite che le persone recluse in quei luoghi continuano a soffrire anche dopo aver ritrovato la libertà.
“L’idea di questo film, realizzato nel contesto della Scuola di documentario zelig, è nata lo scorso anno, quando il presidente della Provincia Arno Kompatscher diede al governo la disponibilità per l’istituzione di un Cpr a Bolzano”, ricorda Venturato. È cominciata in quel momento, quindi, una prima fase di studio e ricerca sul tema della detenzione amministrativa. A guidarlo in questo percorso è stato soprattutto il libro “La Malapena. Sulla crisi della giustizia al tempo dei centri di trattenimento degli stranieri” di Maurizio Veglio, avvocato del foro di Torino e membro dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi). In quei mesi, inoltre, Venturato è entrato in contatto con la rete “Mai più lager – No ai Cpr” di Milano – realtà che da anni si batte per la chiusura di tutti i centri per il rimpatrio–, che gli ha consentito di raccogliere le testimonianze di alcune persone trattenute e di poter contare su una parte del materiale audiovisivo ripreso dalle persone recluse nel Cpr del capoluogo lombardo.
L’esigenza di portare al pubblico un tema così importante e ancora poco conosciuto al grande pubblico ha dovuto però fare i conti anche con alcune difficoltà produttive. “Sarebbe stato importante filmare almeno l’esterno di uno dei centri italiani, ma poiché si trattava di un progetto della zelig avevamo il vincolo di girare solo nell’area dell’Euregio”, spiega Venturato, che per ovviare a questo problema trova una soluzione tanto semplice quanto efficace. Per restituire l’immagine dell’istituzione alienante, decide di filmare alcune riprese esterne del carcere di Bolzano, che – sottolinea – “viste le condizioni di perenne sovraffollamento e insalubrità, in parte non si discosta molto da quelle dei Cpr”.
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Partecipando alle assemblee in vista della manifestazione del 14 ottobre 2023, che vide più di mille persone scendere in strada a Bolzano per dire “No al Cpr in Trentino Alto Adige, né altrove!”, poi, Venturato ha la possibilità di conoscere Alì, una persona residente a Bolzano che era stata trattenuta – e poi rilasciata – nel Cpr di Gradisca d’Isonzo. “Rievocando la propria esperienza, Alì avrebbe potuto rivivere dei traumi e per questo nei suoi confronti ho mantenuto un approccio delicato e rispettoso, cercando di democratizzare al massimo il rapporto”, riprende il regista. Condividendo ricordi personali, familiari e legati al contesto di origine di ciascuno, il rapporto con Alì si è sviluppato nel tempo, portando quest’ultimo ad aprire senza riserve le porte dell’inferno che ha vissuto nel Cpr, fatto di violenze fisiche e psicologiche.
Venturato ha costruito così il documentario intorno ai colloqui con Alì e ai racconti degli internati di Milano. “I sommersi”, dunque, è la storia di tante persone, presentate attraverso la vita di Alì, che il regista definisce come una sorta di “traghettatore delle esperienze e delle testimonianze di chi dai Cpr è riuscito a uscire, ma anche di tanti altri che, dopo essere stati picchiati, sono stati rimpatriati”.
Guardando il documentario gli spettatori camminano insieme ad Alì, lo guardano percorrere come un’ombra le strade di Bolzano, seguendolo in alcuni momenti della giornata: i vestiti da lavare al “Lava & Asciuga”, la spesa al supermercato e poi il pasto consumato nella solitudine del suo appartamento, un momento in cui l’isolamento vissuto nel Cpr sembra continuare ad accompagnarlo anche ora che è libero.
Nel corso del film ritornano poi alcuni elementi. Innanzitutto il fiume, omaggio a “I sommersi e i salvati” di Primo Levi (a cui il documentario si ispira anche per il titolo), che rimanda all’elaborazione del trauma, alle vite sommerse delle persone trattenute nei Cpr e al loro tentativo di riemergere dalla sofferenza. E poi l’autostrada, su cui le macchine sfrecciano in un fluire costante che fa da contrasto all’immobilità di Alì. “La possibilità di movimento, per quasi tutti scontata, per lui e per tanti altri non lo è”, sottolinea Venturato, “dato che la minaccia costante di ritrovarsi di nuovo senza permesso di soggiorno e di finire ancora in un Cpr è sempre presente”.
“La possibilità di movimento, per quasi tutti scontata, per Alì e per tanti altri non lo è”.
Giacomo Venturato spera che ora “I sommersi” possa raggiungere un pubblico vasto, affinché la lotta per la chiusura dei Cpr non sia confinata nella “bolla” di attivisti e legali impegnati in questo ambito. Una buona occasione per avvicinare il pubblico a questo tema, il regista e la sua squadra – formata da Mara Godino e Giovanni Bez – l’hanno avuta lo scorso settembre, quando il film è stato selezionato da “Visioni dal mondo”, il Festival Internazionale del Documentario di Milano. Per il regista, inoltre, “questa è stata anche l’occasione per ritrovare la comunità della rete No ai Cpr e condividere il prodotto finale di un percorso”. Ora, se da una parte sta cercando di fare girare il film su due livelli, da una parte i festival e dall’altra i territori e i contesti militanti e attivisti, dall’altra Venturato è già concentrato sul suo prossimo progetto. “Si tratta di un documentario in cui, partendo dalla domanda ‛ha ancora senso lottare oggi?’, ripercorriamo la storia di un giovane sindacalista, nato e cresciuto a Bagnoli, quartiere nell’area occidentale di Napoli, che ha portato avanti una battaglia per la conquista di 800 posti di lavoro”. Un documentario su una vicenda attuale, quindi, che il regista mette in dialogo con il passato: “il vitalismo del collettivo di disoccupati della comunità di Bagnoli di oggi è messo in dialogo con il decadimento della storia gloriosa del movimento operaio degli anni Settanta e Ottanta indissolubilmente legato all’Italsider, stabilimento dismesso nel 1993, del quale oggi resta uno scheletro di ruggine”, spiega.
Una storia, dunque, che è anche un’implicita ricerca di speranza. Così, da Bolzano a Napoli, Giacomo Venturato continua con determinazione il suo percorso personale e professionale, tra arte e militanza, utilizzando la camera da presa come specchio per mostrare la realtà, ma soprattutto come uno strumento capace di trasformarla.
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I Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr)
I Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) sono strutture deputate alla detenzione amministrativa, ossia al trattenimento di chi si trova in attesa di esecuzione di un provvedimento di espulsione spesso perché sprovvisto di regolare titolo di soggiorno. Definiti dalla Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili dei “non-luoghi in cui avvengono gravi violazioni dei diritti umani ai danni delle persone straniere che vengono trattenute tra scarsa trasparenza, diritto all’assistenza legale negato e assistenza sanitaria quasi del tutto assente”, questi centri sono caratterizzati dalle violenze perpetrate al loro interno, denunciate dalle stesse persone trattenute e segnalate da attivisti e inchieste giornalistiche. In questo senso si è pronunciato anche il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale. Nel “Documento di sintesi sui Cpr” del 2023, il Garante nazionale delle persone private della libertà personale ha descritto le nove strutture allora operative in Italia come “patogene per la salute fisica e mentale delle persone trattenute” e permeate da “carenze legislative, vuoti di regolazione, criticità strutturali, opacità sistemiche e inadeguatezze gestionali.” I dati del Garante hanno mostrato, inoltre, che i Cpr sono inefficaci allo scopo che si prefiggono: delle 6.383 persone transitate al loro interno nel 2022 ne sono state rimpatriate 3.154, ovvero il 49,41%, mentre secondo quanto riportato da un report di Action Aid, nel 2023 sono state rimpatriate 2.987 persone delle 28.347 trattenute.
Va infine ricordato che negli ultimi cinque anni si contano almeno 15 morti all’interno delle strutture, l’ultima a Palazzo San Gervasio lo scorso 6 agosto.
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