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Il potere destabilizzante del Gender

Lo spauracchio ha sostituito il Babau o la strega cattiva d’altri tempi.
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Foto: web

L’ennesima conferma del potere destabilizzante del cosiddetto Gender l’ho avuta lunedì, partecipando al dibattito che si è svolto presso la sala civica di via del Ronco a Bolzano: Tema: lo spettacolo “Fa’afine. Mi chiamo Alex e sono un dinosauro” per la regia di Giuliano Scarpinato, vincitore del Premio Scenario infanzia 2014. Titolo inserito nella rassegna “W il Teatro!” organizzata dal Teatro Stabile di Bolzano e destinato a una prossima visione da parte degli alunni di alcune scuole medie della provincia.
La pièce racconta di un bambino che non si riconosce in modo definito, esclusivo e stabile in uno dei due generi codificati, maschile o femminile, e che per questo si sente diverso e subisce un disagio sociale. Apriti cielo. Dalle anticipazioni sul tema è nato un putiferio. Di qui il dibattito, che ha visto confrontarsi il dirigente artistico del Teatro Stabile di Bolzano, il regista Giuliano Scarpinato, l’intendente Nicoletta Minnei e una folta platea di genitori, e che ha ben presto assunto carattere tragicomico.
 

Più che a una discussione articolata su temi tanto importanti e delicati come quelli relativi all’identità sessuale e di genere e sulle loro implicazioni, faceva pensare a uno scontro tra tifoserie. Con scarsa o nulla cognizione di causa. Volavano, dal fronte dei genitori contrari, parole grosse: Natura, Realtà, Scienza. Peccato non fosse certo quello lo spazio adatto a un confronto consapevole e argomentato sui significati (vasti, molteplici, vari, stratificati, talvolta contraddittori) che quei termini sottendono, implicano, indicano. E nemmeno per qualche peregrina osservazione. Per esempio sul fatto che la Natura, evoluzionisticamente intesa, promuove la differenza e la specificità di ogni esemplare vivente. Che la Realtà ci diviene accessibile nella misura in cui sappiamo/vogliamo vederla e riconoscerne l’esistenza. Che la Scienza non necessariamente conferma i nostri pregiudizi, anzi, per lo più li smentisce. A volerla ascoltare.

E poi sono volate parole grosse, e offensive, all’indirizzo del malcapitato regista, come quando una rappresentante di Casa Pound e un genitore particolarmente animoso gli hanno chiesto conto dell’esistenza e dello stato dei suoi attributi virili, nonché del suo orientamento sessuale. Avrei voluto sprofondare dalla vergogna. Per loro. E anche perché a Scarpinato è stato addossato un fardello che non gli competeva. Nessuno in quella sala infatti aveva ancora avuto modo di vedere lo spettacolo se non – i più documentati - nei brevi trailer visionabili in youtube. La discussione non poteva dunque riguardare in alcun modo i pregi o i difetti artistici del copione o della rappresentazione. In ballo c’era ben altro: ovvero le implicazioni educative della tematica Gender che da quando, quasi improvvisamente, ha fatto la sua apparizione nel panorama pubblico italiano, ha avuto l’effetto di scatenare le reazioni più viscerali, di alimentare terrori e proiezioni, di provocare polarizzazioni aggressive sulla base, spesso, di slogan improvvisati. E si può capire: le questioni relative all’identità sessuale e di genere, essendo tra quelle che attengono più profondamente al modo che ognuno ha di percepirsi, sono tra le più delicate e sensibili: come una sorta di diapason capace di rilevare il grado, maggiore o minore, di maturità e autoconsapevolezza raggiunto dai singoli individui come dalla collettività.

Come il regista ha dichiarato a ragione, un’ideologia del Gender non esiste. Non c’è una teoria del Gender, non c’è una corrente precisa o uniforme, né un manifesto con dei firmatari.
E la parola Gender in realtà viene da lontano. Gli studi di genere sono nati proprio a partire dalla riflessione sulla differenza sessuale e sulle sue implicazioni culturali e simboliche. Nel loro ambito le correnti e le teorie sono molteplici e diversificate a seconda del rapporto che presuppongono tra Sex (il dato biologico) e Gender (le sue implicazioni culturali), che può essere di identificazione, distinzione, disgiungimento o addirittura opposizione. Dipende dall’antropologia di riferimento dei diversi orientamenti teorici, da diverse idee e concezioni dell’essere umano. Naturalmente anche la categoria del Gender può prestarsi a interpretazioni tendenziose e ideologizzanti, sia da parte dei suoi detrattori in pregiudiziale difesa che dei suoi – talvolta superficiali e distratti - promotori. Ma comunque la si pensi, il Gender induce a riflettere sul modo in cui abbiamo scoperto e costruito la nostra identità, così come sui condizionamenti culturali e le aspettative sociali legate ai ruoli di genere. Sulle costrizioni, l’oppressione e la violenza che spesso ne derivano. 

A giudicare dal livello e dai toni del dibattito di ieri, non sembra che al momento sia particolarmente elevata la capacità di dialogare su questioni tanto cruciali e rispetto alle quali le posizioni sono, legittimamente, diversificate. Al di là degli aspetti teatrali e paradossali dello scenario, o della rozzezza di alcuni interventi, stupiva la mancanza di un’assunzione di responsabilità da parte dell’istituzione scolastica e di chi nel contesto la rappresentava. La scelta di proporre ai bambini uno spettacolo sulla fluidità di genere dovrebbe comportare, per gli aspetti educativi ed etici che solleva e per il possibile attrito tra agenzie educative, molta consapevolezza, preparazione e motivazioni argomentate e chiare, delle quali rendere pubblicamente ragione, in particolare ai genitori.

Se ne è fatto parzialmente carico il regista, affermando che riflettere sul genere e su chi – come il bambino protagonista della piece – si sente a disagio con gli stereotipi e le identità codificate, è l’occasione per riflettere più in generale sul grande tema del rapporto con l’alterità, con la differenza, con la dissonanza. A questo, a quanto pare, siamo terribilmente impreparati. Riflettere sulla diversità, o meglio, come ha suggerito Scarpinato, sulle specificità dei singoli, richiede risorse di umanità che sembrano scarseggiare sempre più. La capacità di ascoltare l’altro, di mettersi nei suoi panni, di rispettarne le opinioni anche se differenti dalle proprie, di incoraggiare il confronto democratico è merce oggi abbastanza rara, anche e soprattutto nell’ambito di quella istituzione, la scuola, che a partire dagli ambiti consueti di decisione e dibattito, dovrebbe per l’appunto promuovere il rispetto, la negoziazione e la comprensione empatica delle differenze, la valorizzazione della novità che ognuno rappresenta. Forse non è questa la tendenza attuale.