Cultura | ladinia

Letteratura ladina

Vengono presentati in questi giorni i tre volumi della Geschichte der ladinischen Literatur, opera di Rut Bernardi e Paul Videsott. Le sfide di una letteratura minoritaria ma non per questo “minore”.

Le sfide per il ladino oggi? “Chiunque sia impegnato quotidianamente con l’uso scritto del ladino non può non riconoscere i vantaggi che una lingua scritta unitaria comporterebbe”. A dirlo sono Rut Bernardi e Paul Videsott, autori della storia della letteratura ladina (Geschichte der ladinischen Literatur) che viene presentata in questi giorni. La questione della lingua unitaria è annosa e riguarda la stessa letteratura. In un certo senso, a parte le resistenze della politica, “è (anche) l’assenza di una letteratura ladina ritenuta esemplare in tutte le vallate che ha impedito la formazione di una lingua comune”. Tuttavia, spiegano Bernardi e Videsott, “i testi letterari del ‘900 erano, almeno dal punto di vista del lessico, più ‘interladini’ di quelli moderni”. Oggi è evidente che “l’assenza di una lingua unitaria diminuisce di molto la ricezione della letteratura, che normalmente non riesce a varcare i confini della valle nella quale è stata prodotta. Con una lingua scritta unitaria si allargherebbe di molto il cerchio di potenziali lettori ladini”.

Nei documenti più vecchi “il ladino usato ha dei tratti sopralocali”. Il testo più antico tra quelli conosciuti è un proclama del 1631, emesso in occasione del mercato di San Jan a San Martino in Badia. Come le “gride” di manzoniana memoria, questi scritti venivano proclamati in piazza “per informare la popolazione su diritti e doveri, durante le sagre di paese oppure per tasse di guerra”. Per parlare di letteratura bisogna aspettare l’inizio dell’800. “Un nome importante è quello del gardenese Matie Ploner”. Altri personaggi? “Janmatî Declara, Angelo Trebo e Gian Battista Alton, tutti della val Badia. Il decano Declara ha scritto il primo libro interamente ladino, Angelo Trebo è il primo a produrre poetica ladina staccandosi della cosiddetta Gelegenheitsliteratur e il romanista Gian Battista Alton è stato, come dice a ragione Franz Pizzinini, il gigant dla leteratüra ladina. Alton ha scritto numerose poesie epiche e sue sono le prime traduzioni di testi letterari ladini in italiano”. Per il mondo delle leggende dolomitiche c’è Hugo de Rossi, fassano, contemporaneo di Karl Felix Wolff. Il padre della letteratura ladina “moderna” dopo la seconda guerra mondiale è Max Tosi. “Di madre friulana, ha appreso il gardenese da giovane e ha scritto la sua letteratura quasi esclusivamente in ladino”. Tra gli autori più recenti, di grande influenza è Frida Piazza di Ortisei, recentemente scomparsa.

Quanto contribuiscono al senso di appartenenza ad una tradizione linguistica comune i rapporti con le altre aree ladine, come quelle del romancio e del friulano? “Nella storia – spiegano i due autori – sono documentati da sempre contatti con le altre aree ladine. Però non si è mai trattato di un fenomeno di massa. Tuttavia la coscienza di appartenere a un ceppo linguistico comune è ben radicata dappertutto nella popolazione. Le élites delle Dolomiti hanno spesso seguito (o cercato di seguire) l’esempio dei romanci grigionesi, che in molti settori riguardanti lingua e letteratura sono ad un livello più avanzato”.

Ci sono anche autori ladini che scrivono in altre lingue. “Sì, storicamente è stata più forte la tendenza a tradurre letteratura da altre lingue in ladino. Ultimamente però si è imposta anche la direzione inversa”. Le opere di autori ladini come Roberta Dapunt, Roland Verra, Rafael Prugger (e della stessa Rut Bernardi) sono disponibili anche in traduzioni tedesche, italiane o inglesi.

Quali altre sfide per la letteratura dolomitica? “Nelle vallate dove il ladino non è tutelato, gli autori giovani si fanno sempre più rari. Manca anche una casa editrice specifica per la letteratura ladina e le istituzioni culturali non sempre hanno i mezzi per una vera diffusione delle opere sul mercato. Per la letteratura ladina sarà anche sempre più importante farsi conoscere al di fuori del proprio territorio mediante delle traduzioni fatte bene. Ma la cosa più importante per la nostra letteratura – dicono Bernardi e Videsott – è che essa trovi una strada propria e originale senza voler semplicemente copiare le ‘grandi’ letterature vicine”.

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Antonio Frena Gio, 10/03/2013 - 12:18

Non bisogna dimenticare i contributi di Josef Richebuono, Vito Pallabazzer, Floriano Chizzali. Altrimenti si rischierebbe di fare un torto a studiosi che hanno passato la vita alla ricerca delle origini e della storia della lingua ladina. Anche se sono più anziani di quelli citati (e due di loro purtroppo non ci sono più), sono fra gli studiosi cui la cultura ladina deve di più.

Gio, 10/03/2013 - 12:18 Collegamento permanente
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Antonio Frena Ven, 10/04/2013 - 14:10

Giuseppe Richebuono, detto Josef (da sempre), nato a Genova (non credo sia fondamentale), è un noto studioso ampezzano, la cui Storia d'Ampezzo è un punto di riferimento per tutta la storia e la cultura ladina. Mi sembra un personaggio da cui non si può prescindere, ma ovviamente è opinabile.
PS: ha anche insegnato a lungo tedesco a Bolzano

Ven, 10/04/2013 - 14:10 Collegamento permanente
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Antonio Frena Ven, 10/04/2013 - 16:01

In risposta a di Antonio Frena

Non vorrei essere pedante, ma è conosciuto anche come Josef.
Aggiungo alcuni suoi titoli di libri, così come compaiono in catalogo:
1 Aus der Vergangenheit des Hofes Imberg bei Niederrasen / Josef Richebuono.
Bolzano/Bozen: Athesia, 1976
2 Die Beziehungen des Gadertals zum Pustertal / Josef Richebuono.
Bolzano/Bozen: Athesia, 1995
3 Das Bleibergwerk von Giau bei Ampezzo / Josef Richebuono.
Bolzano/Bozen: Athesia, 1976
4 Der ladinische Bauer / Josef Richebuono.
Bolzano/Bozen: Athesia, 1986
5 Notizen über die Gemeinden der ladinischen Dolomitentäler / Josef Richebuono.
Bozen : Athesia, 1988.
6 Schloß Beutelstein in Ampezzo / Josef Richebuono.
Bolzano/Bozen: Athesia, 1975
7 Die Südtiroler Landstraßen im Jahre 1725 / Josef Richebuono.
Bolzano/Bozen: Athesia, 1978-1979
E comunque, a parte questo, ho ricordi privati e personali in cui lo si chiamava Josef, così come qualcuno l'avrà senz'altro chiamato Bepi, o magari Peppe all'italiana :) Io credo che sia un vero ladino, un ladino dentro.

Ven, 10/04/2013 - 16:01 Collegamento permanente
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Clara Mazzi Sab, 07/05/2014 - 14:58

Sicuramente una maggior tutela della lingua ladina aiuterebbe molto la produzione letteraria originale, ma non basta. Così come la creazione di una casa editrice specifica: aiuta, ma non basta. Bisogna creare le basi culturali (per esempio di appartenenza ad un gruppo, del valore della propria storia), bisogna puntare sulla qualità degli scritti: tutto il resto verrà da se. Senza la qualità, tutto ha breve durata. Per uscire dalle valle ladine, così come uscire dallo scritto segreto tenuto nel cassetto, ci vuole un testo valido. Esso verrà poi automaticamente tradotto in tutte le lingue del mondo. Il discorso delle "quote" (come per le donne in parlamento, per esempio) ha oggi perso di valore: siamo tutti bravi, bisogna solo dimostrarlo e che vinca il migliore, senza protezioni.

Sab, 07/05/2014 - 14:58 Collegamento permanente