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Un cappello, le elezioni e noi

Un senso di impotenza alla vigilia del voto: la democrazia ci è sfuggita di mano. Quando abbiamo smesso di cercarla?
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Foto: Peppe Cancellieri

Sabato abbiamo visto un cappello volare via e posarsi dolcemente sulle acque del fiume. Una folata di vento gelido lo ha levato dalla testa di un signore anziano che attraversava il ponte della fortezza con un amico. In quel preciso istante, Alice ed io abbiamo reagito all'unisono, in coro: un "nooooooo" tanto spontaneo quanto impotente. La caduta in acqua del cappello era un fatto inesorabile, al di fuori del nostro controllo. Era perso, non potevamo certo tuffarci dal ponte - per un cappello poi! Noi due, il signore, l'amico, ci guardavamo l'un l'altro e non potevamo fare altro che osservare il cappello volteggiare nell'aria e infine adagiarsi sull'Arno. La corrente se lo portava via, lentamente, verso il mare aperto. Lontano.

Mi avvicino (e ci avviciniamo) a queste elezioni politiche con lo stesso spirito, le medesime sensazioni di privazione e impotenza. Un sentimento difficile da descrivere, ma di forte disagio e grande preoccupazione. Non so quando il vento ci abbia portato via qualcosa che era nostro: la democrazia, la possibilità di cambiare insieme le cose, o almeno qualcosa, dell'Italia. Gli egoismi, gli interessi esclusivi, la malafede (e il malaffare) aimè sono fuori controllo. Soprattutto: le ingiustizie sono la regola. Eppure, sembra che possiamo solo restare a guardare. Mi colpisce il senso di inesorabilità, e l'apatia in tal senso. Il non rendersi conto che sono molteplici i segnali per cui non è più il tempo per ridere e scherzare. Non serve che citi Macerata: i fascisti, CasaPound, il razzismo che dilaga anche a sinistra, la guerra tra poveri, arrivano da molto più lontano.

In Italia assistiamo da anni a un sistema partitico e mediatico che quotidianamente specula sulla catastrofe. Cavalca la disaffezione non solo verso la politica, ma per i valori democratici, e talvolta persino il rispetto della persona umana. La democrazia, tzè, che sarà mai? Cosa sarà mai un cappello perduto? Non riesco a risalire al momento preciso, l'inizio che ha decretato tutto questo. Quando il vento si è alzato? Da quanto soffia così forte? E perché abbiamo smesso di urlare "nooooooo", accettato che chi ci rappresenta non difendesse i nostri diritti, oserei dire persino la nostra Repubblica (è mai possibile che suoni così antica?), ma aprisse la strada a posizioni in contrasto coi principi dell'uguaglianza, del pluralismo, dello stato di diritto, dell'antifascismo?

Troppa è la stupidità delle argomentazioni, troppi i "non ci sono le alternative", il scendere a patti con il linguaggio del nemico. Troppi gli attacchi da parte di presunti democratici al sacrosanto voto democratico: io darei la mia vita per il diritto altrui a votare (faccio per dire) il "Partito Comunista dei Lavoratori", ma i cantori del voto finalizzato al governo realista ci dicono che no, ora basta, basta con 'sta democrazia delle minoranze, bisogna vincere con le maggioranze, avere i numeri e i poteri non solo per fermare l'"avanzata delle destre", "sconfiggere i fascisti", ma per disfare questo e quell'altro, perché nulla sia mai più come prima: le leggi sulla scuola, sul lavoro, sulla sanità, l'ambiente, la cultura, le infrastrutture, persino la Costituzione. Noi abbiamo perso il controllo, non sappiamo manco più chi abbia mai deciso che effettivamente dev'essere così, che deve andare.

Eppure a me sembra che tutta questa foga nel demolire lo Stato repubblicano (e la nostra supina ubbidienza di fronte al suo smantellamento) non fermi l'avanzata del nemico, ma gli stia letteralmente spianando la strada, al nuovo fascismo. Non sarà forse che leggi formulate in nome del Dio capitalista, che smantellano uno dopo l'altro le vetuste conquiste sociali, sono esattamente ciò che vogliono loro? La base per una società basata sulla legge del più forte, la competizione, la concorrenza sfrenata? Che lascia indietro proprio i più deboli, gli ultimi, quelli senza merito, talento, successo, titoli, posizioni, eredità, ovvero senza nulla in tasca se non la propria umilissima vita? Dobbiamo forse restare a guardare, sospirare e dire che sì, bisogna accontentarsi dell'inesorabile esistente, e giù di amari sospiri?

La democrazia, un cappello che vola via. Ci sentiamo un po' persi, con il capo scoperto, come il signore sul ponte della fortezza. Non invochiamo più nemmeno la buona sorte. Ritroveremo un giorno quel copricapo perduto, al mare, riportato a riva dal moto ondoso? Non lo so, ma non sarebbe male se ci svegliassimo dal torpore, rompessimo l'incantesimo e cominciassimo a cercarlo, ad accorrere in tanti su quella spiaggia, a scrutare assieme l'orizzonte, a tenerci per mano quando le folate di vento si fanno forti, a non arrenderci. Non restiamo soli, non possiamo permetterci divisioni, guardiamoci in faccia e riconosciamoci l'un l'altro, come io e Alice e i due signori amici. La tempesta di neve passerà, come le elezioni di domenica. Solo affrontando le intemperie insieme possiamo superarle. Le alternative ci sono sempre, perché la democrazia siamo noi. Crediamoci.