L'integrazione si fa curando le viti
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Inclusione, diversità, sostenibilità. Torna anche quest'anno il progetto V.I.T.E - Viticulture Integration Training Empowerment II promosso dall’Associazione La Strada – Der Weg, un percorso formativo co-progettato con realtà agricole del territorio, pensato per rispondere al bisogno del contesto locale di incrementare la disponibilità di personale formato in ambito vitivinicolo, il tutto declinato sotto l’ottica di un’integrazione delle persone migranti attraverso il concetto di “cittadinanza attiva e consapevole”. In questo territorio, infatti, la struttura agricola sta gradualmente cambiando: da una gestione prettamente familiare si sta passando ad una gestione con manodopera stipendiata, frequentemente anche di origine straniera e spesso in possesso di credenziali formative non particolarmente elevate.
SALTO: Chi sono i principali promotori di V.I.T.E?
Elena Faccio: “Il progetto V.I.T.E è nato dall’intuizione di Leila Grasselli e Dominic Würth, agricoltori vitivinicoli, e dagli sforzi congiunti con Francesco Campana, responsabile dell’area progetti dell’Associazione la Strada – Der Weg. Fin dall’avvio della propria azienda nel 2017, Leila e Dominic hanno sviluppato una vocazione particolare per l’inclusione delle persone con background migratorio mediante l’attivazione di tirocini retribuiti in favore di questi ultimi. Il progetto è molto elaborato. Conta infatti diverse attività: una parte di lezioni frontali in aula, laboratori in situazione e un tirocinio. Nell’area delle competenze tecnico-professionali sono state coinvoltediverse aziende: Tenuta Dornach di Patrick Uccelli , Azienda Kleinstein di Hanno Mayr, Azienda Grawü di Dominic Würth. Questi imprenditori si sono resi disponibili anche come docenti ed esperti del settore. Coinvolta anche l’organizzazione di volontariato Ubuntu che ha offerto consulenze legali riguardo i permessi di soggiorno dei partecipanti e l’accompagnamento al lavoro successivamente all’erogazione del corso e alle attività progettuali.”
Avete riscontrato una buona risposta al progetto?
“La risposta al progetto è stata molto positiva, si sono candidate tante persone, sia uomini che donne. Le selezioni hanno coinvolto candidati provenienti da paesi diversi (Pakistan, Afghanistan, Iran, Tunisia, Marocco, Nigeria, Perù, Ucraina,..) grazie anche alla collaborazione di diversi enti ed istituzioni come Volontarius, Caritas e la Casa Circondariale di Bolzano. Non sono però mancate anche candidature ad iniziativa privata. I partecipanti sono stati coinvolti e sostenuti in un percorso non solo strettamente formativo e tecnico, ma anche di integrazione su vari fronti, soprattutto grazie al lavoro di rete con altri servizi territoriali.”
Come è stato il primo approccio all’interno della vigna?
“Dopo le settimane intensive di formazione in aula è emersa nei partecipanti una gran voglia di misurarsi con il campo pratico. Le giornate passate in vigna sono state l’occasione per iniziare a misurare le conoscenze teoriche acquisite, oltre a vivere un setting diverso e più informale rispetto all’aula. L’apprendimento in situazione favorisce l’emergere delle attitudini manuali e delle competenze di tipo tecnico-professionali che sono indipendenti dal background scolastico o formativo di partenza. Alcuni imprenditori agricoli hanno raccontato che, dopo aver lavorato sia in termini teorici che pratici sulla potatura invernale, hanno avuto la soddisfazione di vederne una realizzazione, a detta loro, migliore di quella realizzata da un contadino locale. In questo contesto è stato inoltre possibile esperire forme di socializzazione ed integrazione diversa, sia attraverso il contatto con gli operatori del progetto, sia con le persone presenti in vigna. Questi momenti hanno infatti contribuito a rinsaldare il clima di fiducia, importante per implementare le capacità relazionali, e le chance di integrazione di ciascun partecipante.”
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Quali sono state le maggiori difficoltà che avete riscontrato nella realizzazione di questo progetto?
“Il progetto V.I.T.E ha voluto rivolgersi sia a uomini che a donne di diversa provenienza geografica e culturale. A questa eterogeneità si sono aggiunte quelle tipiche dell’ambito della formazione degli adulti, aggravate dalla presenza di un basso livello di scolarizzazione. Le competenze e le conoscenze rispetto ai contenuti di singole materie o moduli sono risultate variegate, così come le capacità e le modalità di apprendimento di ogni partecipante e questo ha attivato percorsi di formazione con attenzione ai singoli. Un’altra sfida del progetto V.I.T.E è stata quella di rivolgersi ad ambo i sessi, ma in un contesto, quello vitivinicolo, a maggioranza maschile. L’attenzione a tematiche e/o problematiche legate al genere sono state per questo di fondamentale importanza anche in considerazione dei vissuti e delle esperienze, a volte anche molto traumatiche, di alcune delle partecipanti. In questo senso il progetto ha rappresentato la “possibilità collaterale” di vivere per queste donne esperienze di empowerment di genere.”
Avete ricevuto sufficiente sostegno da parte delle istituzioni per la realizzazione di questo progetto?
“Finanziato dal Fondo sociale europeo il progetto V.I.T.E si è ben inserito – già dalla prima edizione– nel tessuto locale, godendo del sostegno e della collaborazione di importanti partner nel contesto socio-economico come Caritas, Volontarius, Eurac, Bioland e la Casa circondariale di Bolzano. Anche per questo il concept del progetto V.I.T.E ha mostrato di avere un alto potenziale di trasferibilità e replicabilità dei risultati avendo inoltre un impatto positivo sul territorio nel quale si è inserito: si sono infatti create diverse sinergie tra le aziende agricole che hanno ospitato i tirocinanti. La ricettività e la disponibilità del settore privato hanno reso inoltre possibile una maggiore consapevolezza di quest’ultimo in merito alle esigenze e alle dinamiche legate all’inclusione di persone migranti nel mercato del lavoro.”
Il documentarioDel progetto V.I.T.E si può trovare un bellissimo video-documentario online realizzato dal noto videomaker bolzanino Edoardo Giuriato.
Quale è l’importanza dell’utilizzo del mezzo “video” per raccontare questo tipo di progetti?
Edoardo Giuriato: “Dal mio punto di vista, l’importanza dell’utilizzo del mezzo “video” per raccontare progetti come V.I.T.E risiede nella capacità di catturare non solo l’aspetto visivo delle attività svolte, ma anche le emozioni, le storie e le relazioni umane che si intrecciano durante il percorso. A differenza di una semplice relazione scritta o di scatti fotografici, il suono e le immagini in movimento offrono una narrazione dinamica e coinvolgente, permettendo così agli spettatori di immergersi a 360 gradi nell’esperienza e di comprendere appieno l’impatto e l’importanza che un progetto simile porta con sé. Inoltre, la narrazione genuina fornita dal video-documentario può ispirare e sensibilizzare il pubblico su temi cruciali legati all’immigrazione, all’agricoltura sostenibile e all’istruzione, stimolando così una maggiore consapevolezza e sostegno per tali iniziative e contribuendo al superamento di stereotipi e pregiudizi. Fornisce inoltre la possibilità di aggiungere sottotitoli multilingua al prodotto finale rendendolo così accessibile ad un pubblico ancora più ampio su scala internazionale.”