Donna Vita Libertà
Questo slogan ripetuto nelle piazze, sui social media, in televisione, alla radio, sui giornali, nelle canzoni e nei discorsi, è andato ben oltre le sue origini, ha trovato una nuova identità globale nella lotta delle donne per la propria dignità sociale, lavorativa, famigliare, politica.
Per vita e libertà si intende anche la parità tra donne e uomini rispetto ai loro diritti, trattamento, responsabilità, opportunità e risultati economici e sociali.
Storicamente questo motto è nato alla lotta delle donne curde in Turchia contro l’oppressione statale e il patriarcato. In Siria le donne curde sono state in prima linea nella lotta contro l’Isis e questo slogan è stato ampliamente anche da loro utilizzato, fino a divenire un simbolo della lotta di tutte le donne, non solo quelle curde.
In Iran, dopo l’uccisione della giovane ragazza Mahsa Amini, per il fatto che portasse il velo in maniera inappropriata, le donne, e giovani uomini al loro fianco, hanno iniziato a manifestare in diverse città del paese. Lo scopo era quello di combattere la sofferenza dei diritti negati, tra cui la libertà di scegliere di usare il velo, di cantare da sole e non per forza in gruppo, di usare la bicicletta o avere la patente per guidare la moto, di avere il permesso di andare allo stadio a vedere una partita di calcio. E la lotta continua!
Anche in altri paesi del Medio Oriente le donne stanno subendo violenze di ogni genere: in Afghanistan ad esempio, dove oggi per le strade è quasi un miraggio scorgere un volto di donna. Bisogna pensare che negli ultimi vent’anni la situazione era molto migliorata, le donne potevano parlare dei loro diritti e difendersi da sole, avevano libero accesso all’istruzione e al lavoro, potevano partecipare alla vita politica e servire il Paese in modo diverso. Ma dal 15 agosto 2021 tutto è drammaticamente cambiato, tutto quello che avevano conquistato con fatica negli ultimi vent’anni, ogni piccolo traguardo è andato in frantumi. I talebani ogni giorno emanano un nuovo ordine per privare le donne dei loro diritti fondamentali. La ”Rivoluzione solitaria delle donne Afghane”.
Ma la violenza di genere può manifestarsi nelle forme più crudeli e impensabili. Ci sono paesi nel mondo dove le donne non hanno il diritto allo studio, dove subiscono le mutilazioni dei genitali femminili, la schiavitù sessuale, i matrimoni forzati, le “dowry death”, la cosiddetta morte a causa della dote, le violenze sessuali nelle zone di conflitto armato, i maltrattamenti quotidiani, le spose bambine…e tanto tanto altro.
Ma in Europa cosa sta accadendo?
In Polonia si sono mobilitate migliaia di persone e con loro Marta Lempart, numero uno dello «Sciopero nazionale delle donne» (Osk), per stringersi intorno a chi dice «NO» alla messa al bando dell’aborto terapeutico ed al Governo di destra o estrema destra di ispirazione conservatrice clericale di Duda, sostenuto dal Partito di governo ''Diritto e Giustizia. Ormai le donne polacche possono interrompere volontariamente una gravidanza soltanto in due casi: quando la vita della madre è in pericolo o quando esiste una prova che la gravidanza è il risultato di uno stupro. Tutto questo non ha niente a che fare con tutela dei diritti delle donne.
In Ungheria il Paese sta arretrando in materia di parità di genere e diritti delle donne. I consiglieri di Orbán vogliono le donne meno colte ma più materne in quanto questo fenomeno dell’istruzione rosa che favorisce le donne in Ungheria potrebbe mettere in pericolo l’economia, abbassare il tasso di natalità e svantaggiare gli uomini. Il dato che ha fatto scattare l’allarme è probabilmente quello secondo cui in Ungheria il corpo docente è dominato dalle donne, come in molti altri Paesi. Tra le misure approvate: l’esenzione a vita dalla tassa sui redditi per tutte le donne che partoriscono e si prendono cura di almeno 4 figli, i congedi parentali estesi anche ai nonni, le politiche di sostegno alla natalità interna, prestiti a interessi ridotti per le donne che si sposano prima dei 40 anni, una risorsa volta a stimolare le donne a rendersi pienamente attive nel tessuto sociale o procreativo.
Il modello Orbán, a cui si ispira la destra, vuole le donne a casa senza istruzione. La denatalità non si combatte così ma costruendo una società fatta a misura di donne e uomini.
E in Italia?
Il nostro Governo ribadisce che non toccherà la legge 194 e che il diritto all’aborto non verrà messo in discussione. La frase che ci giunge all’orecchio è questa: "Vogliamo dare alle donne il diritto a non abortire, ad esempio per motivi economici". La perplessità è la modalità con la quale si pone il tema, mettendolo artificiosamente in contrapposizione alla legge 194, come se oggi le donne fossero costrette ad abortire.
Insomma non è necessario cancellare la legge 194 per negare l’accesso all’aborto ma, come si è già visto, basta molto meno per rendere difficile la sua fruibilità. E su questo punto le dichiarazioni sul diritto a non abortire di certo non sono rassicuranti. In questi giorni, con questo slogan la onlus "Pro Vita & Famiglia" la cui portavoce Maria Rachele Ruiu molto vicina a Fratelli d ’Italia ha tappezzato Roma e altre città italiane di cartelloni pubblicitari contro l'aborto, i quali citano: "Difendiamo il diritto di non abortire! Ogni anno migliaia di donne sono di fatto costrette ad abortire per abbandono, solitudine e mancanze di aiuti sociali, economici, morali e psicologici; mettiamo fine a questo scandalo, subito piani di sostegno sociale alla maternità e alla natalità!”
Ebbene si…. Si sta tornando a riproporre quel modello patriarcale e retrogrado delle comunità umane che donne e minoranze hanno strenuamente combattuto nel corso soprattutto del secondo dopoguerra e, come si evince perdere i diritti anche velatamente e riportare indietro le lancette della storia E’ UN ATTIMO. Ma poi RIOTTENERE TUTTO QUELLO PER CUI LE NOSTRE MAMME e NONNE HANNO LOTTATO SARA’ COMPLICATO.
“Le donne hanno sempre dovuto lottare doppiamente. Hanno sempre dovuto portare due pesi, quello privato e quello sociale. Le donne sono la colonna vertebrale della società” Rita Levi Montalcini
Rossana Rolando