Ho vissuto un piccolo miracolo ad agosto. A Durazzo, su Viale Epidamnus.
Le mie passioni, in questi giorni, non sono leggere. Hanno a che fare con la morte, con lunghe agonie. Sono passioni brucianti, senza speranza e, quasi sempre, solitarie.
Perché riguardano Gaza.
Raccontare il dolore per gli orrori di Gaza, talmente atroci da sembrare irreali, è diventata cosa “sporca” e “scomoda”. Le opere che una volta erano considerate eroiche e belle, perché giuste e umane, sono diventate pericolose e “provocatorie”. Il viaggio audace della Global Flotilla viene definito provocatorio e inutile .
Ed è incredibile con quanta veemenza una parte dei media li stia ridicolizzando, definendo provocatorio ciò che è semplicemente eroico — una dote, ovvio, di pochi.
Eppure Gandhi era provocatorio! È lo stesso spirito "scomodo" che animava persone comuni e coraggiose, quando durante le guerre sceglievano di nascondere i perseguitati, gli ebrei e i partigiani, rischiando la propria vita e quella dei loro familiari. Ed è con quello stesso spirito che speriamo di educare i nostri figli, i nostri studenti: a fare la cosa giusta, benché scomoda e “provocatoria”.
È di quel tipo di altruismo e di eroismo che sono pieni i nostri libri e i nostri film.
A non fare agli altri ciò che non vorremmo fosse fatto a noi.
O meglio ancora: Fare agli altri ciò che vorremmo fosse fatto a noi.
Sono “cose sporche e scomode”, perché sono belle, eroiche e profondamente umane.
Uno dei tanti che compie ‘lavori sporchi e belli’ è Nathan Thrall, studioso e scrittore ebreo-americano, vincitore del Premio Pulitzer 2024, per il suo romanzo "Un giorno nella vita di Abed Salama: Anatomia di una tragedia a Gerusalemme". Ha vissuto a Gerusalemme dal 2010 al 2020. Nel suo libro "Un giorno nella vita di Abed Salama: Anatomia di una tragedia a Gerusalemme", Thrall descrive una giornata qualunque nella vita di un padre palestinese, Abed Salama, alla disperata ricerca del figlio di cinque anni, Milad, partito la mattina presto per la sua prima gita scolastica in un parco della città di Gerusalemme.
È una delle tante tragedie avvenute lungo la cosiddetta "Strada della Morte", “Jaba Road”, l’unica arteria congestionata che costringe duecentomila palestinesi a spostarsi verso est per evitare di attraversare la città di Gerusalemme. Fu proprio su quella strada che il piccolo Milad rimase bruciato vivo, coinvolto in un incidente, insieme a sei compagni di classe e alla loro insegnante.
Quando il libro "Un giorno nella vita di Abed Salama: Anatomia di una tragedia a Gerusalemme" fu pubblicato il 3 ottobre del 2023,— pochi giorni prima della tragedia del 7 ottobre — Nathan Thrall aveva appena iniziato il suo tour promozionale, accompagnato dall’amico palestinese, Abed Salama, padre di Milad. All’epoca, lui e il suo editore nutrivano sincere speranze che questa storia potesse avere un impatto significativo sull’opinione pubblica ebraica progressista. Secondo Thrall, erano proprio i progressisti, in un certo senso, più inclini a considerare quel conflitto israeliano – palestinese come un mero caso di apartheid.
Ma il 7 ottobre, purtroppo, infranse ogni speranza.
«Questo libro», spiega Thrall, «si propone di scalfire la superficie della cosiddetta pace che precedeva il 7 ottobre. Per i palestinesi non poteva esserci nulla di più lontano dalla pace. Quella quella farsa chiamata pace, in realtà, era il prodotto di un sistema di dominio terribilmente burocratico ed elaborato, in vigore da più di mezzo secolo».
Un altro che appartiene al gruppo di coloro che compiono ‘lavori sporchi” e belli è Mohammad Mustafa.
Ha lavorato a Gaza, nei pochi ospedali rimasti in piedi dal 2023 - 2024.
È noto per essere stato uno degli ospiti di maggior successo del programma televisivo ‘Uncensored’ , condotto dal giornalista inglese Piers Morgan .
Medico australiano di origine palestinese, è stato due volte campione di Jiu Jitsu. Molti lo hanno soprannominato la “Bestia del Medio Oriente”. È alto, corpulento, con una testa imponente, capelli scuri e muscoli potenti come quelli di un pugile.
A Gaza, però, i suoi muscoli si rivelarono più utili delle sue conoscenze mediche per sollevare grandi sacchi di corpi smembrati, perforare petti senza anestesia, amputare cosce e braccia. "Un giorno - racconta - mi è apparso un padre disperato che tirava un asino. Ci aveva caricato sopra i suoi due figli avvolti in coperte. Li abbiamo adagiati a terra. Abbiamo sollevato la coperta. Oh Dio! Uno era senza testa! L'altro aveva un braccio mozzato e si contorceva nel suo stesso sangue!"
Il suo progetto prevede l’invio di ospedali mobili a Gaza, un’intensa attività di sensibilizzazione verso il governo australiano e quelli europei, l’introduzione di decine di tali strutture sanitarie mobili, frutto della solidarietà di migliaia di persone da tutto il mondo.
“Sporco e bello” è anche il lavoro di Gabor Mate, psicologo e scrittore svedese-canadese di origine ungherese.
Dopo gli anni Duemila, si è occupato della condizione delle donne palestinesi nelle carceri israeliane.
«Sono sopravvissuto all'Olocausto" racconta, ospite di un programma televisivo americano. « Avevo pochi mesi. Ho perso i miei nonni materni ad Auschwitz e la maggior parte della mia famiglia è stata uccisa.
Sono cresciuto in Ungheria con la vergogna di essere ebreo. A scuola mi prendevano in giro per questo.
In Canada sono diventato sionista. Il sogno di un popolo ebraico che rinasce nella sua terra, con un vero Stato ebraico, mi sembrava affascinante.
Più tardi ho capito che le cose erano un po’ diverse, che, per realizzare questo meraviglioso sogno, abbiamo dovuto distruggere la vita di una popolazione indigena che aveva vissuto su quella terra per centinaia di anni o più, che lo slogan: "Una terra senza popolo per un popolo senza terra" era un'invenzione. Lo stesso Ben Gurion una volta si era chiesto: Chi erano i palestinesi?
E in effetti, molti ebrei non lasciarono la Palestina durante l'occupazione romana. Molti di loro divennero musulmani. Pensate chi potrebbero essere i palestinesi di oggi... E se fossero i discendenti degli antichi ebrei? E se fossero nostri cugini?"
Ritornando al miracolo…
Come dicevo, pochi giorni prima di tornare in Italia, mi trovavo sul lungomare di Durazzo, in un punto di cambio valuta gestito da un’amica d’infanzia, quando un gruppo di turisti, uomini e donne allegri e chiassosi, è entrato.
Gli uomini avevano la pelle scura e segnata. Le donne erano eleganti e velate. “Devono essere marocchini ”, ho pensato. Ho amici marocchini che come loro parlano appassionatamente, sembra quasi che litighino, ma in realtà stanno semplicemente raccontando le loro storie “con i piedi e le mani”.
“Sono senza dubbio marocchini!”, ho sussurrato alla mia amica, quando all’improvviso, sfinita dal caldo e dalla corsa, è comparsa la loro guida turistica. Era un ragazzo albanese, con i capelli biondi, basso e leggermente paffuto.
“Marocchini?” gli ho chiesto.
“Palestinesi” ha risposto, sventolando la mano davanti al viso, cercando di rinfrescarsi un po’, “palestinesi d’Israele”.
Sono rimasta senza fiato e ho sentito un nodo alla gola. Più in là ho notato una donna seduta con altre due. Era coperta da un velo blu e doveva avere più di cinquant’anni. Mi sono avvicinata a lei, facendomi largo tra il gruppo di uomini che continuavano a chiacchierare allegramente.
“Palestinesi?” le ho chiesto.
Mi ha guardata sorpresa, poi ha annuito.
“Voglio dirvi,” ho detto emozionata, con il mio inglese stentato, “che non c’è giorno in cui non soffriamo per la Palestina! Non c’è giorno!”
“Oh!” ha sospirato, spalancando gli occhi. “Oh! Grazie! Grazie!”
Ci siamo abbracciate con le lacrime agli occhi.
Ecco, questo era il mio miracolo, tutto mio, sul viale Epidamnus di Durazzo. Ci sono miracoli e miracoli. Il mio è stato quasi solitario, appena sufficiente per calmare il mio spirito dolente. Una piccola candela per la mia oscurità.
Quella notte mi sono sentita più leggera.
Mi sono addormentata più facilmente.
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