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Bolzano - Guantánamo solo andata

Presunti jihadisti: la storia di errori clamorosi, come nel caso del «bolzanino» rinchiuso a Guantánamo.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.

Questa è una storia fatta di pressapochismo, cultura del sospetto, metodi sbrigativi e incertezza della prova. Ma non è un film o la trama di un romanzo, piuttosto, è la storia di alcuni esseri umani frettolosamente internati nel campo di concentramento di Guantánamo, nel quale gli Stati Uniti hanno ricreato le condizioni di deprivazione della dignità umana che nei vari processi «Norimberga» avevano condannato, solo pochi mesi dopo avere sganciato due ordigni atomici sopra le città e la popolazione civile di Hiroshima e Nagasaki.

E' la storia di presunti jihadisti, interessante perché al momento dell'arresto risultava che avessero vissuto o vivessero in Italia.

Tra questi, c'è il «bolognese» Muhamed Bin Erfane, il quale però con Bin Laden ci aveva veramente avuto a che fare, diventandone consigliere militare. Chi lo aveva conosciuto a Bologna, lo descrive come un uomo mite e spiritoso: nulla che lasciasse presagire quella involuzione.

Poi c'è la storia del cocainomane «milanese» Adel Ben Mabrouk, alla fine degli anni novanta arrestato dalle autorità americane in territorio afghano con un tesserino sanitario italiano, quindi tradotto a Guantánamo per via di un orologio Casio che secondo l'intelligence USA bene si presta all'uso alternativo come timer per scatenare la furia esplosiva di una bomba. Ma la furia esplosiva sarebbe stata quella di Mabrouk, il quale rinchiuso si radicalizza, ma contro l'innumerevole serie di imposizioni assurde, tra le quali l'obbligo di tenere lo sguardo basso. Rispedito dagli americani in Italia, viene estradato in Tunisia, paese all'epoca particolarmente attivo nella richiesta di presunti terroristi islamici, spesso sulla base di documentazioni poco specifiche, ma delle quali le autorità italiane non si preoccupano molto, dato il fastidio nel dovere gestire questi soggetti indesiderati. Il sospetto è che, una volta in Tunisia, questi presunti jihadisti vengano reimpiegati, non si sa bene da chi, per non meglio precisati fini di intelligence.

Poi, tra i tanti, c'è la storia del «bolzanino» Lufti Bin Lagha. Ex poliziotto, Lagha tra il 1997 e il 1998 vive a Bolzano, lavorando a cottimo in cantieri e campi di mele. Nel 1998 parte per l'Afghanistan, grazie all'intermediazione di un amico, considerato dagli USA vicino ad Al Qaeda. Dichiarerà Lagha:«Non ho mai impugnato le armi contro gli americani o contro chiunque altro e non sono mai stato in un centro di addestramento». Lagha è in Afghanistan solo per una vacanza, e dimostra di avere pescato e riposato, oltre ad avere visitato le città di Kabul e Jalalabad. Viene arrestato al ritorno sulle montagne pachistane in possesso di una Carta d'Identità italiana e 2.000 dollari in contanti. Sufficienti per farlo internarlo a Guantánamo e fare sparire ogni sua traccia.

Infine, c'è la storia di Abdul Haddi Bin Hadiddi, conosciuto a Bologna per il fatto di avere fondato Eurocoop, sospettata d'essere una fucina di jihadisti.

Ancora una volta, è Tunisi a chiederne l'estradizione, con accuse vaghe e poco documentate. Tra queste, si aggiunge una intercettazione del 2002 dei servizi italiani, dove si sentono esplosioni e urla, che parrebbero suggerire un suo coinvolgimento in operazioni di guerra. A quel punto, le prove sembrano sufficienti per guadagnare un soggiorno a Guantánamo, anche se solo in seguito si capirà che quelle intercettazioni non potevano appartenere a Hadiddi, perché al tempo già in stato di arresto.