Cronaca | Caso Hager/Benko

Inchiesta Romeo, via tutti i domiciliari

Il Gip di Trento ha revocato gli arresti domiciliari ad Hager, Signoretti, Rossa, Saccani, Eisenstecken e Fravezzi, che ora hanno l'obbligo di dimora. Lo ha richiesto la Procura per via della complessità delle indagini in corso.
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Foto: Matteo Ianeselli
  • Il Giudice per le indagini preliminari (Gip) del Tribunale di Trento ha disposto stamane (4 febbraio) la revoca della misura cautelare degli arresti domiciliari per il commercialista altoatesino Heinz Peter Hager, l’imprenditore trentino Paolo Signoretti, l’ex sindaco di Dro ed ex senatore Vittorio Fravezzi, gli architetti bolzanini Andrea Saccani e Fabio Rossa e la funzionaria del Comune di Bolzano Daniela Eisenstecken. Su richiesta della Procura di Trento, il Gip Enrico Borrelli ha sostituito infatti la misura degli arresti domiciliari con l’obbligo di dimora. Dopo due mesi, i sei indagati non saranno più reclusi in casa ma non potranno comunque allontanarsi dal comune di residenza o dimora abituale. Secondo l'agenzia ANSA, la scelta sarebbe derivata dalla complessità dell'indagine ancora in corso, la cui durata potrebbe allungarsi. 

    Lo rendono noto fonti della difesa degli indagati per la maxi-inchiesta della Procura di Trento. L'avvocato Beniamino Migliucci, difensore dei due architetti bolzanini Rossa e Saccani, fa sapere inoltre che ai suoi assistiti è stata concessa anche la possibilità di esercitare la professione, rimane invece valida la misura interdittiva nei confronti della pubblica amministrazione. Una notizia che arriva prima dell'annunciato ricorso in Cassazione; i difensori, visti i recenti sviluppi, valuteranno se impugnare o meno la sentenza del Tribunale del Riesame. 

  • Heinz Peter Hager a fianco al suo avvocato Carlo Bertacchi (a sinistra) dopo l'interrogatorio di garanzia. Foto: SALTO
  • Cosa aveva deciso il Riesame

    A dicembre il Tribunale del Riesame di Trento aveva deciso di confermare gli arresti domiciliari per sei dei sette ricorrenti, tra i principali indagati nella maxi-inchiesta Romeo. Solo per Lorenzo Barzon la misura era stata sostituita con l'obbligo di dimora. Sebbene il collegio giudicante, presieduto da Luisa De Bernardi, abbia escluso l'aggravante del metodo mafioso per il reato associativo, essa è stata invece riconosciuta per i singoli reati fine.

    Nelle motivazioni depositate la scorsa settimana, il Riesame aveva in parte accolto la richiesta delle difese degli imputati ritenendo o inapplicabile l'aggravante del c.d. metodo mafioso al delitto di associazione per delinquere di tipo comune. Il Tribunale del Riesame ha precisato che le possibili qualificazioni giuridiche sono due: un'associazione per delinquere "semplice", che può commettere reati anche aggravati dal metodo mafioso, oppure un'associazione di tipo mafioso ai sensi dell'articolo 416-bis del codice penale. Non è ammessa una qualificazione intermedia: un gruppo criminale che adotta metodi mafiosi rientra, per la legge, nella categoria delle associazioni di tipo mafioso. 

    Secondo il Tribunale, infatti, il sodalizio criminale con a capo Renè Benko non sarebbe qualificabile come mafia. Per essere tale, argomentato i giudici Laura di Bernardi, Marta Schiavo e Massimo Rigon, è necessario verificare che il gruppo abbia acquisito una reputazione criminale autonoma, distinta da quella dei singoli membri, e tale da perdurare anche in caso di loro neutralizzazione. Inoltre, deve aver dimostrato una concreta capacità di intimidazione, che non richiede necessariamente atti di violenza o minaccia diretta, ma deve essere percepita come tale, generando così un clima di assoggettamento e omertà nel territorio in cui opera. Il consorzio criminale altoatesino, secondo i giudici, non risulta aver acquisito una “fama criminale” tale da poter essere ricondotto alla fattispecie delittuosa del 416 bis. 

  • L’aggravante mafiosa su singoli reati

     

    L’aggravante del metodo mafioso era stata però riconosciuta per i singoli reati fine, nei quali emerge chiaramente “l'impiego della forza intimidatrice” derivante dal legame associativo. Da quanto emerso dalle numerose intercettazioni, infatti, ogni singolo membro del gruppo criminale, nel formulare richieste illecite, avrebbe sempre fatto riferimento, in modo esplicito o più velato, all'esistenza del gruppo criminale allo scopo di far comprendere alla vittima i rischi di un'eventuale opposizione, inducendola a sottomettersi più facilmente, consapevole di trovarsi di fronte non a un individuo isolato, ma a “un'organizzazione capace anche di azioni ritorsive”.

    Riguardo al rischio di inquinamento delle prove e reiterazione del reato, secondo il Tribunale del riesame le misure cautelari adottate sarebbero state adeguate in quanto già furono contestate “condotte falsificatorie” con soppressione di atti nonché vi sarebbe una disponibilità di mezzi e contatti tale da garantire la possibilità – anche attraverso terze persone – di manomettere o distruggere documenti o alterare fonti di prova. I volumi d’affari, gli episodi contestati e le modalità operative rivelerebbero nel caso di Hager una “notevole professionalità nella gestione dell'attività illecita”, con un ruolo apicale all’interno del “sistema corruttivo” e l'uso di forme di intimidazione “tipicamente mafiose”. Ora però la decisione del Gip porta alla revoca delle misure cautelari.