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L’accoglienza è davvero così "pesante"?

Una riflessione del collettivo di volontari "Bozen accoglie" sull'importanza delle parole in merito al fenomeno migratorio.

Nei giorni scorsi abbiamo partecipato con interesse all’iniziativa “Esodo e confini”, che dal 23 al 25 maggio ha occupato una sala e il foyer del cinema Capitol con interventi, riflessioni, mostre e proiezioni sul tema tanto attuale delle migrazioni. Ci hanno colpito, in particolare, le parole del dott. Luca Critelli (direttore della ripartizione provinciale per le Politiche Sociali) il quale, chiamato a intervenire in una conversazione sul tema dei profughi, ha parlato del “peso dell’accoglienza” che la Provincia starebbe sopportando.

In nome del “peso” di accogliere poco meno di un migliaio di persone provenienti da paesi in cui l’Occidente finanzia ed esaspera guerre e conflitti interni, oppure da paesi di cui viene brutalmente sfruttata la mano d’opera a basso costo (quando non il lavoro minorile) per riempirsi la casa di vestiario e prodotti usa-e-getta, le istituzioni provinciali hanno organizzato un complicatissimo macchinario di ingresso ai centri di accoglienza, di controllo e buon funzionamento degli stessi (gestiti da terzi in appalto o in convenzione) e ha contemporaneamente decretato che il numero massimo per tale sistema di accoglienza è stato raggiunto, altrimenti - si capisce - il “peso” si fa eccessivo.

Ma siamo sicuri che l’accoglienza sia sempre e soltanto un “peso”? Siamo sicuri che queste persone che per un motivo o per l’altro si trovano oggi qui da noi, investendo in questo progetto migratorio la loro vita, quella dei loro cari e un sacco di soldi, rappresentino solo il problema e non la grande risorsa, la grande opportunità del presente? Chi di noi ha avuto il modo di entrare in contatto con queste persone, rapportandosi ad esse non con la presunzione di chi sopporta il “peso”, ma con l’umiltà di chi si trova di fronte un altro essere umano che ha avuto il coraggio di affrontare l’ignoto e ricominciare tutto daccapo per dare una svolta in positivo alla propria vita, non può non essere rimasto colpito dalla loro forza, dalle svariate abilità, dalla loro capacità di sopportazione e resilienza, infine dalla loro gentilezza.

Chi mostra ai profughi e ai migranti uno spirito di vera accoglienza viene immediatamente ricambiato, viene non solo a sua volta accolto all’interno della comunità (piccola o grande che sia), ma viene nutrito, protetto, istruito… tutto con estrema semplicità e naturalezza, perché questi sono i rapporti umani al di là dell’arroganza eurocentrica, dell’inferiorizzazione e della continua umiliazione di chi è stato evidentemente più sfortunato. Il “peso dell’accoglienza”, dell’accoglienza provinciale e del suo numero chiuso, non lo stiamo sopportando noi, lo stanno in realtà sopportando, da un anno a questa parte ormai, 240 persone, 240 sfortunati appunto, gli ultimi arrivati, coloro che sembrano essere in eccesso rispetto alle quote decretate, evidentemente ritenuti troppo “pesanti”. Allora queste persone, tutte regolarmente registrate tra la primavera e l’autunno del 2015 presso la questura di Bolzano come richiedenti protezione internazionale e pertanto tutte titolari del diritto all’accoglienza minima prevista per legge, si sono dovute arrangiare.

40 di loro, famiglie con bambini, sono state sbattute in ex hotel senza un minimo di consulenza legale né un euro in tasca, con la concessione di vitto, vestiario e generi di prima necessità gratuiti. I primi mesi della loro permanenza non vi è nemmeno stato l’inserimento scolastico dei minori.
Gli altri 200 sono semplicemente stati lasciati per strada. Letteralmente per strada, giorno e notte, al sole e alla tempesta, senza un euro in tasca, senza cibo né acqua (un pasto al dì offerto la sera dalla mensa Caritas), né vestiario, né assistenza, né consulenza se non quella degli operatori del centro di “consulenza profughi”, assalito nei giorni invernali da quelle persone che avevano tutte le necessità, ma avevano soprattutto freddo e fame. Si capisce che in questo modo la cosiddetta accoglienza si è fatta pesante: anziché trovarci di fronte a 200 persone con cui condividere esperienze e un po’ della nostra (eccessiva, credeteci) ricchezza, ci siamo trovati di fronte a 200 disperati, affamati, raffreddati, trattati da scarti umani, rifugiati come topi nei buchi più impensabili delle nostre infrastrutture, appesi a grappoli ai punti di ricezione di qualche WiFi libero ad attendere, attendere, attendere.

E siccome le nostre istituzioni vivono evidentemente con il timore del “peso eccessivo” della presenza di queste coraggiose persone degne di tutto il rispetto che sapremmo condividere con loro, ciò che in questi ultimi mesi è stato concesso ai 200 profughi “fuori quota” (così li hanno denominati) è stato un dormitorio collettivo arredato con brandine da campeggio, un secondo pasto caldo unicamente composto da carboidrati e tracce di verdura cotta, in barba a tutti gli altri diritti minimi di cui ogni richiedente asilo qui in Italia dovrebbe godere. Il “peso dell’accoglienza” lo pagano purtroppo loro, pezzi di vita buttati letteralmente per strada, a vuoto. E quando qualcuno di noi, davanti a un thè scaldato in una pentola nera di fumo sotto a un ponte della periferia est della nostra città, in un momento di condivisione del nulla, sinceramente si è espresso: “I’m sorry for this situation…”, ha ancora sperimentato il brivido di sentirsi rispondere, in altrettanta sincerità: “Don’t worry, it’s just for a while”. A dimostrazione della grandissima forza di volontà e di sopportazione di queste persone.

Allora il rispetto reciproco non ha fatto altro che crescere, assieme al dovere civico di impegnarsi per i loro diritti.
 

Bozen Accoglie
Accoglienza degna per tutte e tutti