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Juan Perón nella Merano delle spie

Caso Snowden: diplomazia e spionaggio, un fenomeno antico? Che cosa ci faceva Juan Domingo Perón a Merano nell’estate del 1939? E perché era tenuto sotto controllo dai servizi segreti militari?
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Foto: Salto.bz

I commentatori più smaliziati dicono che c’è poco da scandalizzarsi per le rivelazioni di Edward Snowden. Le ambasciate sono sempre state spiate e gli ambasciatori hanno sempre spiato. Senza fare troppe differenze tra nemici, amici e alleati. Può darsi. Certo che se c’è un luogo, in Alto Adige, in cui, in determinati periodi particolarmente favorevoli, l’attività di spionaggio ha avuto i suoi quindici minuti di gloria, quel luogo è Merano. Il fatto di ritrovarsi spesso “sul confine” ha certo alimentato il suo “lato clandestino”.

All’inizio del 1810, ad esempio, la nuova frontiera tra Italia e Baviera fu tracciata tra Gargazzone e Postal. Merano, scrive un cronista di fine ‘800, “si trovò in una situazione molto buona, poiché come città di confine divenne il mercato del più ampio commercio di contrabbando attraverso la val di Non”. Altro che città di cura.

Ma fu tra il settembre 1943 e i primi mesi del secondo dopoguerra che quello della città del Passirio fu il territorio ideale per chi volesse agire nell’ombra. “Porto di mare”, è stata definita la Merano di allora. Oppure “refugium peccatorum”. Durante gli ultimi anni di guerra in città c’è il quartier generale clandestino della lega “Andreas Hofer” (al Filipinum), vi operano diversi nuclei dei servizi di sicurezza del Terzo Reich, vi ha base, a castel Labers, il centro di smistamento delle sterline false prodotte nell’ambito dell’Operazione Bernhard. In riva al Passirio si stabilisce nientemeno che la Missione navale (sì, navale) giapponese, dopo aver dovuto abbandonare Roma, e nelle ultime settimane del conflitto pure l’ambasciata germanica diretta dal diplomatico Rudlof Rahn. Nell’immediato dopoguerra si segnala la presenza dei servizi segreti americani, inglesi, francesi, iugoslavi. E della Bricha, che organizza le migrazioni clandestine dagli ex lager alla Palestina.

Il 17 febbraio 1946 il neonato giornale Alto Adige si esprimeva in questi termini: “Merano dopo la liberazione ha assunto un nuovo volto: quello di centro internazionale del commercio clandestino di oro, gioielli, sterline, dollari, marchi, cocaina e insulina, zona di convegno degli avventurieri di mezza Europa, degli sbandati delle SS, della ex-Wehrmacht, dei traditori francesi al soldo di Petain, di bulgari, albanesi, russi, cechi e apolidi, che negli alberghi accoglienti della città e negli immediati dintorni hanno dato vita, nel dopoguerra, ad un giro colossale di affari più o meno loschi, trafficando e barattando partite ingentissime di merci pregiate, frutto di rapine e saccheggi in ogni parte di Europa”.

Un capitolo a parte è rappresentato dal controverso soggiorno meranese di Juan Domingo Perón, allora tenente colonnello e, pochi anni dopo, uomo forte dell’Argentina. Tre mesi, nell’estate 1939. Il periodo giusto per osservare come si mettevano le cose in Europa. Era a Merano, Perón, quando il 1° settembre Hitler invase la Polonia. E prendeva appunti. Perón, ufficialmente, era distaccato presso la divisione alpina Tridentina per un periodo di formazione. Ma scriveva regolari rapporti all’addetto militare a Roma, Virgilio Zucal (di evidenti origini nonese), in cui forniva le informazioni raccolte tra gli ufficiali di Merano. E faceva le sue previsioni. Relazioni regolarmente intercettate dal SIM, il servizio segreto militare italiano. Una nota del dicembre 1939: “L’attività di questo ufficiale in Italia appare non chiara. Risulterebbe che qualche cosa è emersa nei suoi confronti”. Che cosa sia emerso di preciso non si sa. Però quando l’argentino chiederà di poter risiedere per un periodo nella Capitale, l’ufficiale responsabile farà le seguenti valutazioni: “Questo tenente colonnello Perón vuol venire a fare il traffichino per quattro mesi a Roma. Dalle sue lettere appare molto bene il carattere ed il sistema dell’uomo. Propongo di mandarlo senz’altro alla Scuola di Alpinismo d’Aosta, dove potrà studiare benissimo quanto concerne le truppe alpine”.

Juan Domingo Perón ad Aosta ci andò davvero. Nel freddo di gennaio. Ma fu solo una delle tappe di un viaggio che lo condusse molto più lontano di quanto lui stesso avesse mai potuto pensare.