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Pajetta, Tito e il Degasperi-Gruber

Per il PCI, ancora nel 1948, l'Accordo di Parigi aveva favorito l'imperialismo tedesco.

Nel delineare, sia pur brevemente, dell'articolo pubblicato qualche giorno fa su salto (Le ragioni di una sberla), i motivi per cui il Patto Degasperi-Gruber abbia goduto, all'indomani della firma, di scarsa popolarità, ho ricordato come, sul versante politico italiano, esso fu soggetto di critiche proprio per il fatto di aver dato dimensione internazionale ad una questione che, secondo molti, sarebbe dovuta restare confinata sul piano interno. È un'accusa che è stata riportata, sino a poco tempo fa, soprattutto dagli esponenti della destra, ma quel che è forse mono noto è che l'Accordo fu violentemente attaccato anche dai una parte considerevole della sinistra: quella comunista in particolare.

È significativo, e ne ho già scritto, il fatto che, all'indomani della firma dell'Accordo, tra i componenti della delegazione diplomatica che, a Parigi, misero sotto accusa Degasperi per aver siglato l'intesa, ci fosse, ed era tra i più severi nel giudizio, quell'Eugenio Reale, ambasciatore a Praga, che all'epoca era uno degli esponenti di maggior spicco del PCI e uno degli uomini nei quali lo stesso Stalin riponeva la massima fiducia. Un giudizio negativo, quello sull'Accordo di Parigi che non si limita ai giorni del settembre 1946, ma che, come ci conferma un curioso episodio di vita parlamentare nel quale mi sono imbattuto di recente, si prolunga ben avanti nel tempo.

Siamo nel giugno del 1948 e alla Camera è in corso una discussione sulla politica estera. Prende la parola, tra gli altri, un altro "big" del Partito Comunista: Giancarlo Pajetta. Temperamento focoso, naturalmente portato alla polemica più dura, ma fedelissimo alla linea di Mosca e di Togliatti, Pajetta, ad un certo punto, attacca frontalmente il Ministro degli esteri Carlo Sforza.

 

"PAJETTA: Veda, onorevole La Malfa, il suo Carlo Sforza, che lei voleva anche Presidente, o dice di aver voluto come Presidente, è certamente un diplomatico esperto; ricorda certamente due norme che di abitudine si raccomandano i diplomatici: la prima, di riuscire graditi alla nazione presso la quale si è accreditati; la seconda di non dimenticare mai che gli interessi da servire restano quelli del paese che si rappresenta. Credo che ricordi l'una cosa ma non l'altra, il conte Sforza, giacché fa di tutto per riuscire gradito ad un certo numero di nazioni straniere, ma ormai ha dimenticato del tutto che bisogna essere Il Ministro degli esteri non per ricevere complimenti e scambiarsi brindisi, ma per rappresentare gli interessi del nostro Paese.

Ebbene, il suo Ministro degli esteri arriva a questo punto di inutile, sciocco servilismo: è arrivato, lui, con tutte le questioni che abbiamo con la Jugoslavia, con le rivendicazioni che possiamo e dobbiamo porre, a far sentire il suo parere, non so quanto autorevole, sulle legittime rivendicazioni delle Jugoslavia non nei confronti dell'Italia, ma nei confronti dell'Austria. Ora, io mi domando, questo Ministro degli esteri cosa c'entrasse mai in queste questioni... [...].

 

E' evidente come a Pajetta poco piace il fatto che la diplomazia italiana sostenga le tesi austriache piuttosto che quelle jugoslave sul delicato tema dei confini fra i due stati. I suoi strali polemici, mentre ribatte alle interruzioni di un avversario, vogliono abbattersi però sul Presidente del Consiglio.

 

PAJETTA: L'onorevole Bettiol conosce la geografia ma non la storia; si preoccupa che ci allontanino un po' di più dall'Austria, si preoccupa che l'Austria, poveretta, non possa ancora partecipare uno di quei concerti europei in cui siamo stati spesso suonati. Suppongo che vi sia una giustificazione: che si sia voluta dare una prova di amicizia non per l'Austria ma per il Presidente del Consiglio e che in questo modo si sia fatta una di quelle piaggerie diplomatiche all'interno, che certamente non convengono...

DEGASPERI: è una delle cose più stupide che si possano dire.

PAJETTA: noi non abbiamo dimenticato gli accordi Gruber Degasperi.

Onorevole Degasperi, vedo che lei trascende perché considera questo argomento, considera la questione dell'Austria non una questione logica o politica dove si mantengono i nervi a posto, ma una questione sentimentale. Noi la scusiamo di questo; ma le ripetiamo che non abbiamo dimenticato neppure gli accordi Gruber - Degasperi. È tutta una linea politica, è la linea politica che vi porterà a farvi complici della ripresa tedesca, dell'armamento della Germania occidentale; che vi porterà a farvi complici della ripresa di quella Germania e di quell'Austria che possono rappresentare ancora un pericolo...

 

Pajetta, dunque, attacca Degasperi sotto due profili diversi. Il primo rientra nel novero di una violentissima polemica che ha visto i comunisti, in specie durante la durissima campagna elettorale per le politiche dell'aprile 1948, utilizzare contro l'avversario principale l'accusa di essere un irriducibile austriacante. È la risposta, invero piuttosto fiacca, all'accusa rivolta a Togliatti di essere un burattino manovrato da Mosca.

Il secondo argomento, invece, ha un peso diverso. Il richiamo al Patto di Parigi, è usato per accusare l'Italia di voler favorire la rinascita del nazionalismo pantedesco. Quello del timore per una rinascita dell'imperialismo germanico è uno degli argomenti chiave, in quegli anni, nella politica staliniana ed è significativo che i comunisti italiani si spingano sino a collocare in questa prospettiva anche una vicenda del tutto diversa come quella altoatesina.

C'è infine un particolare curioso. L'intervento di Pajetta alla Camera di cui abbiamo dato conto avviene, come detto, il 5 giugno del 1948. Mancano tre settimane ad una data fatidica nella storia del comunismo internazionale, quella che segna la scomunica da parte di Stalin e di tutti i partiti comunisti europei dell'eresia jugoslava di Tito.

C'è da chiedersi se, tre settimane dopo, il deputato comunista avrebbe difeso ancora con tanta passione le ragioni jugoslave.