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Il lobbismo della mela a Bruxelles

Dopo lo scandalo Qatar, l'attività di lobbying nelle istituzioni europee è sotto la lente d'ingrandimento. Dal Sudtirolo VOG e VIP investono oltre 100mila euro ogni anno.
Apfelkisten
Foto: Pixabay

Il caso di presunta corruzione internazionale da parte del Qatar che coinvolge alcuni parlamentari europei ha riacceso i riflettori sul lobbismo al Parlamento europeo. Un’attività formalmente legale e regolamentata: le organizzazioni che intendono influenzare dall’esterno il processo legislativo dell’Unione Europea sono infatti tenute a iscriversi a una banca dati, il Registro per la trasparenza, dalla quale è possibile monitorare l’attività delle lobby, dalla spesa annua al numero di dipendenti. Il Registro annovera 12.450 organizzazioni, di cui 3.493 ONG, 2.632 associazioni di categoria, 972 sindacati o associazioni professionali. Nelle istituzioni di Bruxelles vi è poi un codice di condotta, sebbene contenga norme piuttosto vaghe. Si chiede di evitare “di ottenere informazioni o decisioni in maniera disonesta”, di “arrecare pregiudizio alle istituzioni dell’Unione” o di indurre i legislatori europei a “contravvenire alle disposizioni e alle norme di comportamento ad essi applicabili”. Per questo, spiega il Post, gli esperti di trasparenza giudicano da tempo il Parlamento europeo troppo vulnerabile alle lobby: grazie a un pass speciale, i lobbisti possono frequentare le sale conferenze, gli uffici o persino i bar degli europarlamentari.

 

Il (non) caso unibz

 

Basandosi sui dati forniti dal Registro per la trasparenza, il portale lobbyfacts.eu, curato dalle organizzazioni indipendenti Corporate Europe Observatory e LobbyControl permette a “giornalisti, attivisti e ricercatori di cercare, ordinare, filtrare e analizzare i dati del Registro ufficiale per la trasparenza dell’UE, monitorando nel tempo i lobbisti e la loro influenza a livello europeo”. Un’interrogazione del Team K, presentata a metà dicembre, metteva in luce un dato strano, ovvero che la Libera Università di Bolzano sarebbe addirittura al primo posto tra gli investitori italiani in attività di lobbing, con un investimento annuo di due milioni di euro, “una cifra che appare talmente inverosimile da far sorgere il dubbio sia dovuta a un errore materiale nel data entry”. E così pare sia accaduto, visto che nel frattempo il dato (evidentemente errato) è stato rimosso dal portale.

 

Dalla Handelskammer al Bauernbund

 

Ma quali sono le organizzazioni sudtirolesi presenti nel Registro per la trasparenza? Sono in primo luogo società agricole cooperative, operanti nella frutticoltura ovvero nella produzione intensiva di mele. Tra i primi cento posti in Italia troviamo infatti la VI.P (ovvero Mela Val Venosta) con una stima dei costi annui relativi alle attività contemplate dal registro compresa tra i 100mila e i 200mila euro e 2 lobbisti attivi a Bruxelles; identica spesa e stesso numero di lobbisti per la VOG, il Consorzio delle Cooperative Ortofrutticole dell'Alto Adige. Segue la Camera di Commercio di Bolzano (con costi tra i 25mila e i 50mila euro, 2 lobbisti e una persona accreditata che può accedere ai locali del Parlamento europeo), il Südtiroler Bauernbund con una spesa annua stimata tra i 10mila e i 25mila euro, il Südtiroler Beratungsring für Obst- und Weinbau (sotto i 10mila euro).

 

 

Non è ovviamente un caso che a farla da padrona sia il settore ortofrutticolo. Come ricorda il Post, le lobby si fanno sentire soprattutto durante passaggi legislativi significativi, come l’approvazione della pluriennale Politica agricola europea (PAC), che muove miliardi di euro dal bilancio dell’UE, o nella regolamentazione delle norme sui pesticidi. E, a tal proposito, la voce dell’agricoltura sudtirolese in Europa non può certo mancare.