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Politica | Avvenne domani

(Ri)diamo i numeri

Variazioni aritmetiche in chiave preelettorale. Secondo atto.

Quattro.

Tante sono le preferenze che ogni elettore, come in passato, potrà indicare sulla scheda, il 22 ottobre prossimo, accanto al simbolo del partito o del movimento prescelti. Quella dei voti di preferenza, in una consultazione come quell’altoatesina che si svolge, per preciso dettato statutario, secondo il rito antico del proporzionale puro, è una storia tanto particolare quanto truculenta. In realtà è come se, durante la campagna elettorale, si svolgessero in parallelo due guerre ben distinte. La prima, paragonabile se vogliamo ad un conflitto tradizionale tra due o più stati, è quella tra i partiti i cui simboli compaiono sulla scheda. La seconda è quella che si combatte a suon di preferenze tra i candidati di una stessa lista per conquistare la precedenza nell’assegnazione del seggio o dei seggi che a quella forza politica vengono assegnati. In questo caso il paragone è con una guerra civile e si sa, sin dai tempi del primo triumvirato, che le guerre civili sono più feroci di qualsiasi altro conflitto.

Le quattro preferenze rappresentano dunque il limite massimo concesso all’elettore per segnalare, oltre alla scelta di campo, le sue personali simpatie per questo o per quel candidato. Il tentativo di guadagnarsele costituisce l’obiettivo ultimo che la gran parte delle centinaia di candidati che scenderanno in campo a breve per le provinciali perseguiranno nella loro piccola o grande tenzone elettorale. In un tempo che appare ormai remoto, quando le campagne si combattevano sulla carta e con la carta, erano in uso dei rettangolini di cartoncino, chiamati “santini” per la somiglianza con quelli distribuiti dai catechisti e negli oratori. Su un verso compariva il simbolo del partito. Sull’altro lato c’erano quattro fotografie, in genere di non eccelsa fattura, corredate dai nomi e dai numeri di lista di altrettanti candidati. Nel comporre queste quaterne si raggiungevano vertici rimasti insuperati di strategia politica. Era una vera e propria scienza coltivata con particolare competenza nel variegato mondo correntizio della Democrazia Cristiana. In alto a sinistra c’era sempre un “big” del partito cui si associavano altri tre candidati di minor peso ma che, in genere, erano rappresentativi di un qualche ambito geografico, sociale, culturale, ricreativo. Il compito di questi che, con gergo ciclistico, potremmo accostare a quei gregari incaricati di tirare la volata o di portare la borraccia al capitano, era quello di convogliare su di lui i voti di un quartiere, di un paese, dell’associazione dei pescatori come di una corale polifonica. Più quaterne il capoccia riusciva a mettere insieme più speranze aveva di realizzare un bottino di preferenze tale da garantirsi l’elezione ed anche, cosa non del tutto secondaria, di consolidare il suo potere politico nel partito è fuori dal partito.

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In realtà è come se, durante la campagna elettorale, si svolgessero in parallelo due guerre ben distinte

I “santini”, con sicuro rammarico delle tipografie che guadagnavano parecchi soldini stampandone delle vagonate, sono ormai oggetti da museo della politica novecentesca. La battaglia delle preferenze si combatte principalmente sui social media, con i gazebo allestiti tra i banchi di mercato è soprattutto con un’inesausta capacità di attivare contatti personali, di raccogliere quei gruppi di elettori. Oggi come allora è una lotta sorda e feroce per prevalere sul vicino di lista e all’armistizio si arriverà solo la mattina del 23 ottobre quando si saprà chi ha vinto e chi ha perso.

Quattro (bis)

Quattro sono anche gli anni che un cittadino che stabilisce la sua residenza in Alto Adige deve attendere per poter esercitare il suo diritto di voto per le amministrative e cioè le elezioni provinciali e comunali. Così stabilisce infatti lo Statuto al comma quattro dell’articolo 52:

Per l’esercizio del diritto elettorale attivo in Provincia di Bolzano è richiesto il requisito della residenza nel territorio regionale per un periodo ininterrotto di quattro anni.

Di tutte le norme che vanno comporre il mosaico dell’autonomia altoatesina questa è sicuramente una delle più problematiche e quella che, a modesto parere di chi scrive, ha finito col perdere nel corso del tempo le ragioni che ne avevano suggerito l’inclusione nel famoso “Pacchetto”. Per capire la cosa bisogna tornare con la memoria all’epoca nella quale fu lanciato l’allarme per la cosiddetta “Todesmarsch”, ovverossia l’incontrollata immigrazione italiana che rischiava di rendere i sudtirolesi minoranza nella loro stessa terra. Uno degli aspetti di questa votazione demografica era costituito dalla presenza in molti comuni grandi e piccoli della provincia di una schiera di dipendenti pubblici, tutti di madrelingua italiana, che occupavano posizioni di varia natura. Parliamo di militari, forze dell’ordine, doganieri, ferrovieri. Erano persone che si stabilivano in Alto Adige con le loro famiglie ma che spesso non rimanevano in loco per più di qualche anno. Il loro numero, specie se rapportato a quello degli abitanti di qualche comune di piccole dimensioni, era comunque tale da poter modificare più che sostanzialmente la composizione del corpo elettorale. Venne così elaborata la norma di cui abbiamo dato conto più sopra e con la quale, per tutelare le minoranze linguistiche, viene compresso uno dei diritti fondamentali costituzionalmente garantiti al cittadino: quello di elettorato attivo.

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Venne così elaborata la norma di cui abbiamo dato conto più sopra e con la quale, per tutelare le minoranze linguistiche, viene compresso uno dei diritti fondamentali costituzionalmente garantiti al cittadino: quello di elettorato attivo.

Se il sacrificio poteva avere una sua ragione storica e politica mezzo secolo fa, appare chiaro che oggi la situazione è totalmente cambiata. Quelle istituzioni che attiravano questa immigrazione temporanea o non esistono più, o si sono drasticamente ridotte di dimensioni o ricadono infine sotto la normativa che impone la proporzionale etnica nel pubblico impiego. Il pericolo che concedere il diritto di voto anche a chi ha fissato da poco la propria residenza in provincia possa modificare il quadro politico di riferimento appartiene dunque al passato e il privare queste persone del diritto di votare laddove pagano le tasse e dove partecipano alla vita sociale e politica risulta sempre più come una penalizzazione ingiusta e ingiustificata.

Più due.

Quando, il 23 ottobre prossimo, saranno noti i risultati numerici delle elezioni provinciali, con la somma di voti conquistati da ciascun partito o movimento, verrà il momento cruciale. A quelle cifre verrà applicato un calcolo matematico che consentirà di effettuare la ripartizione dei 35 seggi in palio e di stabilire la linea di confine tra vincitori e vinti. Così prescrive in proposito la legge elettorale:

Per l’assegnazione dei seggi a ciascuna lista, si divide il totale dei voti validi riportati da tutte le liste per il numero dei consiglieri assegnati (35), aumentato di due (quindi 37), ottenendo così il quoziente elettorale; nell’effettuare la divisione si arrotonda l’eventuale parte frazionaria all’unità superiore. Si attribuiscono quindi a ciascuna lista elettorale tanti seggi quante volte il quoziente elettorale risulti contenuto nel numero di voti ottenuto da ciascuna lista. Se il numero dei seggi da attribuire alle varie liste superi il numero di 35, dovranno essere ripetute le operazioni con un nuovo quoziente elettorale ottenuto diminuendo di un’unità il divisore. Ove dopo il primo riparto risultassero seggi non attribuiti, l’ufficio elettorale centrale compone la graduatoria delle cifre dei voti residui di tutte le liste e sceglie, tra le cifre dei voti residui di tutte le liste, le più alte, in numero uguale ai seggi rimasti da attribuire (seggi residui), e attribuisce un ulteriore seggio a ciascuna delle liste alle quali appartengono tali cifre dei voti residui. A parità di cifre dei voti residui il seggio residuo è attribuito alla lista che ha la maggiore cifra elettorale e, a parità di quest’ultima, per sorteggio. A queste operazioni partecipano anche le liste che non abbiano raggiunto il quoziente elettorale intero.

Consiglio, Landtag

Alle ultime provinciali del 2018, ad esempio, andarono smarriti in questo modo oltre 14.000 voti e non sono poca cosa.

Così, di primo acchito, può sembrare un sistema complesso ma in realtà il buon vecchio metodo D’Hondt, dal nome del matematico belga che lo elaborò nel lontano 1878, è di facile utilizzo. C’è un unico aspetto che stride abbastanza con il principio di assicurare rappresentanza politica i voti di tutti i cittadini. L’impossibilità di realizzare collegamenti di lista, sicuramente gradita ai partiti maggiori, finisce per imporre di gettare nel cestino una valanga di voti che vanno a liste che non riescono a raggiungere il quoziente pieno e che però non riescono neppure a conquistare un seggio con la lotteria dei resti. Alle ultime provinciali del 2018, ad esempio, andarono smarriti in questo modo oltre 14.000 voti e non sono poca cosa.

Il numero no!

Nel chiudere questa numerica passerella di considerazioni preelettorali non può e non deve mancare un piccolo ma importante promemoria. Abbiamo scritto più sopra delle preferenze da indicare sulla scheda elettorale. Sono quattro e l’elettore può scrivere negli appositi spazi il nome e il cognome o anche soltanto il cognome dei candidati da lui prescelti. Quello che non può più fare, già a partire dalle provinciali del 2018, è quello di segnare solo il numero con il quale i candidati compaiono sulla lista. Attenzione quindi: il rischio è quello di pasticciare la scheda e di vedersela annullata.