Politica | Bolzano

“Il PD ha scelto lo status quo”

L'ex presidente del quartiere Don Bosco Alex Castellano passa dal Partito Democratico al Team K, col quale si candiderà alle elezioni comunali: "C'è un diverso approccio alla cosa pubblica".
Alex Castellano
Foto: SALTO
  • SALTO: Castellano, come nasce questo suo passaggio dal Partito Democratico al Team K?

    Alex Castellano: Lo ritengo l’esito naturale di un'evoluzione personale e di un'evoluzione della situazione politica della città. Non è stata una scelta a cuor leggero da parte mia, nel PD ho una storia – per quanto molto breve e giovanile – che mi ha dato tanto. Ma ho riconosciuto uno sviluppo che non mi faceva più stare bene. Il Team K fa un'attività molto improntata sui temi (e molto meno su questioni di puro principio) per dare una scossa all'azione amministrativa, una scossa indirizzata alla costruzione e non alla distruzione dell'operato altrui. Un impegno non legato a logiche puramente elettorali, che non guarda solo alle scadenze, ma dà un contributo alla crescita collettiva. Io stesso sono stato contattato da loro ancora in tempi non sospetti per offrire un punto di vista su determinati temi che andavano a toccare il quartiere Don Bosco.

     

    Una scelta non a cuor leggere, ma ho riconosciuto uno sviluppo che non mi faceva più stare bene. 

     

    Lei si ritrova nella candidatura autonoma del Team K al di fuori dal centrosinistra e nella lettura secondo cui il PD, con Juri Andriollo, avrebbe scelto l’immobilismo?

    Si può dire che il Partito Democratico e la coalizione di centrosinistra uscente hanno fatto una scelta certamente di difesa del proprio operato, ma una scelta per lo status quo – più che legittima. Ma per cosa si sta insieme? Non è esclusa una collaborazione a posteriori, capendo però cosa si vuole fare. Stare fuori da una coalizione è una scommessa, rivolta a chi non si riconosce del tutto nell'operato dell'amministrazione uscente, in chi ha guidato questa città. È un’offerta complementare, non contro ma per qualcosa. E il lavoro di Matthias Cologna e Thomas Brancaglion è sotto gli occhi di tutti.

    Per esempio?

    Penso a temi a specifici progetti come Park Vittoria, per fare in modo che fosse un'opera utile e non un ulteriore aggravio alla collettività. Per me è un discorso di approccio. L’approccio è di ascolto, di non dare per scontato che le cose debbano essere fatte in un determinato modo e non possano essere discusse. Ci sono delle difficoltà in questa città, sempre di più oltretutto, e che queste vanno prese in considerazione quando si mettono in piedi determinate politiche. Sulla casa, sulla viabilità, possono senz'altro essere affrontati con maxi-progetti e investimenti che richiedono moltissimo tempo, ma questo non dev’essere un alibi per non fare nulla oggi. La gestione passa anche dal cercare di esercitare un determinato “soft power”: governare non è un diritto divino, serve una certa dose di partecipazione purché non sia bloccante.

  • (da sx) Alex Castellano e il candidato sindaco del Team K, Matthias Cologna: l'ex presidente del quartiere Don Bosco sarà candidato nella lista del Team. Foto: SALTO
  • Il Team K non è un partito più di lingua tedesca, espressione di Gries-San Quirino e del centro storico?

    È un partito che nasce da persone magari non strettamente legate al territorio dei quartieri italiani. E di “estrazione” il Team K non è un partito che possa pensare di fare “cappotto” nei quartieri italiani. Ma l'importante è come si pone nei confronti della collettività: io non mi sono mai sentito “diverso” e il mondo di lingua tedesca è stato parte della mia esperienza universitaria ed è ora parte della mia esperienza lavorativa. Queste etichette sono ormai sostanzialmente superate dalla necessità di agire per il bene comune e il progresso della città e della provincia. Sono discorsi più da giornali… 

    Anche secondo lei la SVP ha bloccato la città attraverso l’assessorato all’urbanistica che il centrosinistra non ha voluto rivendicare?

    Sembra sia imprescindibile immaginare questo territorio senza una guida, diciamo, “un copilota” SVP. Ma siamo arrivati ad un punto in cui il partito di raccolta raccoglie, sì, però non è più così preponderante. Forse il mondo sta cambiando e bisogna considerare non più imprescindibile un solo partito per il governo di questa città. Questa imprescindibilità ha danneggiato la stessa SVP: non è un diritto loro essere al governo sempre e comunque, lo si guadagna sul campo con il lavoro svolto e la proposta politica. Credo in ogni caso non si possa attribuire tutta la colpa a un partito solo: si governa insieme, io stesso ho collaborato molto bene negli anni con Luis Walcher. Se si è in una coalizione e si governa insieme, ci si augura di poter discutere le cose, di non doverle accettare a scatola chiusa per anni e anni senza poter mai dare alzare il dito… L’essere ostaggi può essere una comoda scusa. 

    Quali sono i temi che porterà nel Team K?

    La mia sarà una candidatura di servizio. Il tema di ordine generale è ravvivare la città, riattivarla anche nelle ore serali con iniziative mettendo meno paletti ai privati, anziché rinchiudersi tutti in casa dopo una certa ora. È un tema di comunità, di socialità e anche di sicurezza; nei mesi più freddi è difficile incontrare in giro qualcuno, sentirsi soli e insicuri è una sensazione che non possiamo accettare in nessun caso, soprattutto se parliamo di differenze di genere. Ci sono state politiche, come su Piazza Erbe, che si sono rivelate controproducenti. Anche a Casanova serve uno spazio polifunzionale per i giovani, gestito possibilmente coi giovani stessi.

     

    Si potrebbe iniziare a pensare di chiudere Piazza Don Bosco a fasce orarie.

     

    Un altro tema che mi sta molto al cuore è piazza Don Bosco, un’area simbolo d'una città che spesso ha operato a compartimenti stagni, senza fare un'operazione complessiva. Quella è una piazza divisa a pezzi: si potrebbe iniziare a chiudere la strada che la attraversa in determinare fasce orarie, e cercare di restituirla a una vitalità diversa. Purtroppo anche il Museo delle Semirurali viene visto come un corpo estraneo che racconta la loro storia senza che vi sia stato un coinvolgimento duraturo. Potrebbe essere una sorta di museo di comunità, in cui si racconta non tanto delle case da un punto di vista architettonico, rimpiangendole magari, ma delle persone e della vita che c’erano. Anche qui è una questione di approccio: si è perso un po' di smalto nel pensare alla cosa pubblica concentrandosi più su aspetti di natura finanziaria, che però sono uno strumento, non solo il fine.