Politica | Bolzano, Areale

Bolzano: le mani sulla città

Chi governa le grandi città, sono gli affaristi, non i sindaci.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
Bolzano
Foto: Suedtirol Foto/Othmar Seehauser

‘Le mani sulla città’ di Francesco Rosi, uno dei grandi registi del cinema italiano degli anni ‘60  è un film che denuncia in modo spietato la speculazione edilizia che piega il destino delle città agli interessi di pochi affaristi famelici. In una frase destinata a rimanere negli annali della filmografia di impegno civile, uno dei principali protagonisti - lo spregiudicato costruttore edile Edoardo Nottola - sentenzia: ’il denaro non è un'automobile, che la tieni ferma in un garage: è come un cavallo, deve mangiare tutti i giorni.’ La didascalia del film recita: i personaggi e i fatti qui narrati sono immaginari, ma è autentica invece la realtà sociale e ambientale che li produce. 

Quando si parla del ‘nuovo sacco’ di Bolzano, il primo è stato quello dell’epoca Tosolini, non c’è bisogno di narrare accadimenti immaginari, perché i fatti e i nomi dei protagonisti sono purtroppo più che reali. L’antefatto è la vendita della zona antistante alla stazione alla Signa di Renè Benko, un’area accusata di essere il centro del degrado urbano, trasformata nel più grande centro commerciale della provincia nel pieno cuore pulsante di Bolzano. La storia è nota. Per rendere possibile l’impresa è approvata una legge provinciale ad hoc.  In una città che ha tra i grandi problemi irrisolti il traffico, l’idea di edificare un megacentro commerciale sul principale asse viario urbano è folle. Ma la campagna mediatica orchestrata dal magnate austriaco e da Heinz Peter Hager, il suo sodale bolzanino, è tale da creare un alone di fumo che disorienta l’opinione pubblica. ‘”Lavoriamo per il bene della città” è lo slogan di Signa e si formano addirittura comitati di zelanti cittadini per applaudire l’investitore 'filantropo'.   

Perché la politica abbia sostenuto una simile operazione non è ancora oggi facile da capire. Andando a leggere i nomi dei consiglieri e degli assessori favorevoli al progetto si può intuire qualcosa. Ma l’immagine plastica dello sfascio è la foto che immortala sindaco Spagnolli e vicesindaco Ladinser che escono di scena mettendo fine alla loro carriera politica, mentre salutano la cittadinanza con le dita alzate in segno di vittoria. Non è chiaro cosa i due abbiano vinto, e forse non lo si saprà mai. Difficili da decifrare sembrano anche le ragioni che hanno mosso il commissario straordinario dell'epoca, Michele Penta, a indire per l’occasione un referendum consultivo unico al mondo della durata di sette giorni aperto anche ai non residenti e ai minorenni per conoscere l’orientamento dei votanti bombardati dalla pubblicità della Signa. La decisione è così singolare che avrebbe forse dovuto attirare l’attenzione della magistratura, oltre che della Corte dei conti, ma tutto viene passato come fosse fatto dovuto, e non abnorme. Votano a favore del progetto KAufhaus  in ventiduemila compresi i non residenti. Sono alla fine circa un quarto dei residenti aventi diritto, ma un Hager sornione sentenzia sulla stampa che è stato fatto il volere della maggioranza dei cittadini. Come si dice a Napoli: chi ha avuto ha avuto, e chi ha dato, ha dato. 

Quanti speravano che, messo a segno il colpo del Kaufhaus, gli speculatori avessero lo stomaco sazio, ha purtroppo dovuto ricredersi. La fame viene mangiando e Signa e i suoi sponsor locali hanno messo gli occhi sull’affare del secolo: il miliardo di investimenti per riqualificare l’areale ferroviario con un guadagno netto stimato nell’ordine di duecento/duecentocinquanta milioni di euro. Il progetto dell’Areale nasce venti anni fa, come sempre ammantato di una luce purpurea. Si trattava secondo i promotori di rigenerare un’area dismessa della città, creando nuove opportunità abitative e recuperando a unità zone periferiche minori. E il cambiamento urbanistico più importante dei prossimi cinquanta anni, destinato a modificare l’assetto del tessuto cittadino in modo duraturo e profondissimo. Un’enorme opportunità di affrontare i problemi di Bolzano, oppure un’occasione per redistribuire ancora quattrini ai soliti noti. 

Per quindici anni il progetto è andato avanti sottotraccia. Nell’ultima legislatura l’iniziativa invece accelera e i protagonisti scalpitano per arrivare primi ai nastri di partenza. Il sindaco Renzo Caramaschi si assume, con il solito tratto di modestia, la paternità della velocizzazione della grande opera. La realtà è però molto diversa perché dietro Caramaschi, si muovono i grandi manovratori. C’è chi arriva addirittura a sussurrare, perché a alta voce i più hanno timore di parlare, che il vero sindaco di Bolzano non sia ormai più Caramaschi, ma Hager. La ragnatela di interessi opachi che si muove dietro l’Areale non sfugge a tutti. Durante il percorso di elaborazione del progetto si dimette il vicesindaco SVP Baur, nel silenzio generale. La tesi di Baur è che una volta che si fa entrare uno squalo in un acquario di pesci rossi, non ci sono regole che tengano e l’esito finale della convivenza è scontato. Caramaschi non dà molto peso al clamoroso passo indietro del suo vice e nemmeno all’interno del partito di raccolta comunale, si insinuano dubbi. Così il progetto va avanti con l’idea di affidarne l’attuazione a un unico sviluppatore. Più volte i politici locali dichiarano che sarà la concorrenza a selezionare la migliore offerta. Alla prova del market test si presentano diverse manifestazioni di interesse, ma sono, da quanto è dato sapere, tutti investitori e solo uno è un soggetto con esperienza di sviluppatore, e guarda il caso è Signa. 

L’idea di affidare a un unico soggetto privato la realizzazione di un progetto ventennale di dimensioni economiche faraoniche, è motivata dal sindaco dalla solita litania dell’efficienza e del risparmio. Il ragionamento più che da politico, è da contabile. Pensare di controllare un lavoro in base a capitolati definiti a priori dalla mano pubblica come si propone il borgomastro significa secondo molti capire poco di gestione di grandi opere. La stessa letteratura insegna che, una volta che uno sviluppatore prende in mano un progetto su un arco di tempo così lungo, acquisisce un potere di interdizione e negoziazione enorme. Lo squalo si muove in base all’istinto predatorio e per i pesci rossi non c’è più scampo. C’è da sperare in queste condizioni che la scossa che il sindaco con toni trionfalistici afferma di avere dato alla città nel corso degli ultimi cinque anni non sia di quelle letali. 

La domanda che ci si deve porre però è se non si possa seguire una strada diversa da quella che sembra ormai irrimediabilmente tracciata e se il progetto nella sua forma attuale non possa essere ripensato. Mentre i tecnici definiscono le condizioni della gara nel segreto delle loro stanze (e sperabilmente non in quelle di terzi), forse sarebbe opportuno che qualcuno dicesse che i nuovi progetti di riqualificazione urbana in tutta Europa non sono più affidati chiavi in mano a affaristi privati e gli investimenti privati devono inglobare anche condizioni preliminari di impatto sociale a favore della comunità su cui la comunità stessa dovrebbe avere la possibilità di esprimersi. Queste condizioni non sono una generica restituzione di uno spazio inutilizzato alla città di cui parlano gli affabulatori che aprono le porte alla speculazione. Si tratta di definire paletti molto stretti per obbligare chi investe a affrontare i problemi centrali dello sviluppo di una città. A Bolzano questi problemi sono tanti e vanno dagli alloggi a prezzo accessibile per i giovani e le fasce deboli, agli spazi per fare incontrare la cittadinanza e i gruppi linguistici, ai servizi sociali e sanitari. In città affittare un’abitazione per un giovane o chi ha reddito medio basso e non rientra nelle graduatorie Ipes, è praticamente impossibile. I cittadini hanno pochissimi luoghi in cui costruire progetti comuni e basterebbe spostarsi nella vicina Merano per vedere la potenza culturale e sociale sviluppabile attraverso esperienze come l’Ost-West Club. C’è bisogno di alloggi protetti per anziani, spazi per l’aggregazione dei disabili, luoghi per favorire l’inserimento lavorativo delle persone deboli. Ci sono nel progetto dell’Areale vincoli che obbligano lo sviluppatore a rinunciare a parte del profitto per dare risposte di questo tipo alla comunità?  Lo sviluppatore si impegnerà a costruire spazi di cittadinanza e luoghi destinati alla collettività? Può la comunità locale esprimersi su un disegno chiaro di costruzione del nuovo areale? 

E ancora: diversi progetti di riqualificazione urbana implicano la possibilità di una partecipazione anche per i piccoli risparmiatori per favorire una redistribuzione di guadagno alle diverse fasce della collettività. Bolzano, la città in testa alle graduatorie della qualità della vita, ha un divario di reddito tra la popolazione impressionante. Non è possibile pensare a un progetto di sviluppo che preveda anche delle forme di remunerazione per i cittadini che vogliono investire i loro denari in un’attività a favore della città? Se si parla di duecento e più milioni di potenziale profitto, non sarebbe doveroso chiedere agli sviluppatori una distribuzione del guadagno tale da portare benefici economici anche a chi ne è regolarmente escluso? O è sufficiente riempire un terreno inutilizzato di alloggi da vendersi a caro prezzo (con eccezione delle case Ipes al buio della zona Siberia) per parlare di un progetto che restituisce valore a tutta la collettività?  E ancora è davvero una strategia lungimirante affidare per venti anni lo sviluppo di un progetto miliardario a un soggetto che potrebbe incorrere in problemi economici o in disgrazie giudiziarie? Il recente fallimento del gruppo Karnstadt, la più grande catena di magazzini della Germania di proprietà di Benko, non dovrebbe insinuare il dubbio che la pianificazione troppo rigida e dipendente da un unico soggetto espone l’implementazione di una grande opera a rischi incalcolabili?  Non sarebbe più prudente procedere per lotti più piccoli coinvolgendo più finanziatori e consentendo un migliore governo da parte del soggetto pubblico? 

Renzo Caramaschi ha ragione nel dire che la partita dell’Areale è decisiva per il futuro della città. Ha torto nel pensare di riuscire a governare un progetto una volta che la sua implementazione passerà anche formalmente sotto il controllo operativo della grande speculazione. Nella rievocazione a fumetti della vita del grande poeta russo Vladimir Majakowskij, l’artista spagnola Laura Perez Vernetti dedica un intero capitolo alla figura di Sergej Esenin. Le prime due vignette suonano come monito che andrebbe sempre ricordato per chi si oppone alla sopraffazione del più forte sul più debole: “finora il canagliume si è poco diradato. Molto è il lavoro, occorre fare in tempo.”