Società | L'intervista

Bere (ir)responsabilmente

Bettina Meraner del “Servizio Dipendenze” di via del Ronco a Bolzano sulla strage di Lutago, la cultura del bere in Alto Adige, e l’“intoccabilità” dell’alcol.
Alcolismo
Foto: Pixabay

salto.bz: dottoressa Meraner, la strage di Lutago riporta a galla il tema della “cultura del bere” in Alto Adige, ritiene sia una questione ancora troppo sottovalutata?

Bettina Meraner: Per quel che riguarda i fatti di Lutago i fattori in ballo sono diversi, oltre al tasso alcolemico molto alto, ci sono il presunto eccesso di velocità e le condizioni della strada. Nel caso specifico è stato effettivamente sottovalutato il problema dall’investitore perché mettersi alla guida con quel tasso di alcol nel sangue è semplicemente vietato dalla legge. E aggiungo anche che le circostanze sono state sottovalutate non solo dal guidatore ma anche da chi era con lui perché presumibilmente egli si trovava in compagnia di altre persone nel locale in cui aveva trascorso la serata. In più dato che, come sembra, si trattava di un luogo pubblico, va chiamato in causa anche chi ha dato da bere al 27enne. Esiste un divieto per i gestori dei locali di somministrare alcol a persone che si trovano già in uno stato di alterazione. C’è una responsabilità condivisa, insomma. Chi beve non considera a sufficienza gli effetti provocati dall’alcol né il fatto che le proprie capacità rallentino o, come nell’episodio di Lutago, sopravvaluta la capacità di guidare. Plausibilmente ci sono altre persone coinvolte in situazioni come questa che a loro volta sottovalutano il rischio o non fanno nulla per evitare che una persona si metta alla guida in quelle condizioni. 

I divieti “antisbronza” sono pochi o poco rispettati?

Le misure esistenti bastano, ma sono poco rispettate e soprattutto c’è poco controllo. E se non si controlla a sufficienza la gente non rispetta le regole perché è come se queste non ci fossero. Mi rendo conto che soprattutto nel periodo festivo le forze dell’ordine, che già dispongono di un numero limitato di risorse umane, saranno state probabilmente occupate in altre questioni. Del resto è impossibile pensare che possano essere ovunque per effettuare i controlli necessari.

E in merito al grado di consapevolezza collettiva sugli effetti dell’alcol qual è la sua opinione?

Sicuramente c’è una fascia di popolazione attenta e informata sull’argomento, e un’altra a cui i messaggi di prevenzione proprio non arrivano, che non si sente coinvolta dalla questione. Esiste una cultura del festeggiare, a maggior ragione durante le feste comandate, un periodo fortemente connotato dal consumo di bevande alcoliche. E su questo si può lavorare, perché è possibile divertirsi anche ingerendo meno alcol o con bevande alternative, analcoliche. Notiamo poi che sempre nel periodo delle feste le pubblicità sulle bevande alcoliche in tv aumentano anche.

Sicuramente c’è una fascia di popolazione attenta e informata sull’argomento, e un’altra a cui i messaggi di prevenzione proprio non arrivano, non si sente coinvolta dalla questione

Pubblicità che abbinano all’alcol immaginari vincenti.

Esatto, sono perlopiù immagini positive, di felicità, di leggerezza.

Al bere viene conferito un potente ruolo sociale, diventa una specie rito collettivo che per i giovani non equivale affatto al trasgredire quanto piuttosto al conformarsi al gruppo, per non essere emarginati. È così? 

Sì, ma il discorso non può prescindere dagli adulti. I maschi non giovanissimi hanno i loro riti in cui l’alcol gioca sicuramente un ruolo fondamentale e poi ci sono le donne che stanno “recuperando”, per loro non esiste più quel tabù dell’ubriacatura. Anche loro hanno specifici rituali, gli incontri con le amiche con il bicchiere di vino, l’aperitivo. Dunque in termini di prevenzione non ci si può focalizzare solo sui giovani perché essi prendono esempio dagli adulti, pur volendo contrapporsi a loro. I meccanismi culturali sono tali per cui l’alcol è lo “strumento” che ci fa dimenticare la fatica della giornata, che ci riporta a uno stato di leggerezza ed euforia. Finché vige questa idea e questo tipo di comportamento anche i giovani seguono il modello per cui per rilassarsi non c’è modo più veloce che farsi un aperitivo, mentre dedicarsi allo sport o la lettura, per esempio, diventa troppo faticoso, impegnativo.

 

 

C’è fra i giovani una reale percezione dei danni da alcol?

Partiamo dal presupposto che caratteristica generale dei ragazzi è la ricerca volontaria del rischio proprio perché essi pensano di poterlo superare. Peraltro fino ai 25 anni il cervello non è ancora completamente sviluppato, dunque anche la considerazione e la previsione del rischio sono collegate a funzioni cerebrali che a una determinata età non sono ancora del tutto sviluppate. Non ci si può aspettare che un giovane possa “bere responsabilmente” se non ha la predisposizione neuro-cognitiva per prendersi queste responsabilità da solo. C’è bisogno anche degli adulti per regolare questo comportamento.

Caratteristica generale dei ragazzi è la ricerca volontaria del rischio proprio perché essi pensano di poterlo superare

Secondo lei gli adulti non prendono in adeguata considerazione gli abusi alcolici dei figli?

Non lo fanno, no, oppure valutano il bere dei giovani come una cosa normale, un rito di passaggio che fa parte del diventare adulti.

È il dialogo che manca?

Forse il dialogo c’è ma a volte è superficiale. Non indaga i motivi per cui i giovani hanno bisogno di alcol per divertirsi. 

Quali sono questi motivi?

C’è, come dicevamo, il rituale di gruppo cui uno non può sottrarsi per non sentirsi escluso, ma l’alcol facilita anche il contatto con altri, quando si beve si è più disinibiti, si fa meno fatica a parlare con persone sconosciute in occasione di incontri sociali o feste. I problemi o le preoccupazioni sotto effetto dell’alcol danno tregua. Se non ci si sofferma su quale effetto si cerca di raggiungere con il bere, se non si comprende come mai l’alcol è così invitante per certe persone allora faremo pochi progressi.

L’Alto Adige vive di turismo. Difficile trovare una pubblicità riguardo questo territorio dove non appaia un bicchiere di vino, non si trova evento sportivo dove non ci sia la birra. Attaccare l’alcol vuol dire attaccare i produttori e tutto quel sistema di pubblicità legato al turismo locale

Una sostanza che per via della sua famigliarità si fa ancora fatica a chiamare “droga”? 

È così, ma anche la nicotina è una sostanza psicoattiva, anche gli effetti della cannabis per esempio sono molto sottovalutati. C’è quasi una sorta di concorrenza tra chi beve alcol e chi fa uso di cannabis che arriva a dire “io sono al sicuro perché la canapa è meno dannosa, al punto da essere usata come farmaco”, si fanno spazio tutta una serie di miti sulle due sostanze che vanno sfatati, soprattutto occorre fare chiarezza con i giovani, prendersi il tempo per farlo, tempo che spesso manca. Sull’alcol c’è poi un ulteriore ragionamento da fare.

Quale?

L’Alto Adige vive di turismo. Difficile trovare una pubblicità riguardo questo territorio dove non appaia un bicchiere di vino, non si trova evento sportivo dove non ci sia la birra. Attaccare l’alcol vuol dire attaccare i produttori e tutto quel sistema di pubblicità legato al turismo locale.

Fuor di retorica, oltre alle campagne di sensibilizzazione cos’altro si può fare? 

Nelle realtà dove si è cercato di intervenire sul problema dell’abuso di alcol, per esempio nei paesi nordici dove forte è la cultura del bere che ha causato anche gravi danni, le misure che hanno portato a ridurre il consumo hanno avuto a che fare con l’aumento delle tasse sulle bevande alcoliche, rendendole quindi meno accessibili. Questa soluzione deve essere parte della prevenzione, responsabilizzare solo il consumatore non basta. Togliamo poi le bevande alcoliche e le pubblicità sull’alcol dai luoghi di aggregazione frequentati dai giovani, per esempio quelli legati alle attività sportive. Alcol e sport sono una combinazione paradossale, due elementi che non dovrebbero poter convivere.