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Chung agli albori del Romanticismo

Il direttore d’orchestra Min Chung dirige la Haydn in un programma dedicato agli albori della corrente romantica europea.
Min Chung
Foto: Silvia Lelli

Dal 7 al 9 febbraio l’Orchestra Haydn di Trento e Bolzano sarà diretta dal suo principale direttore ospite, il coreano Min Chung, per tre concerti a Merano, Bolzano e Trento. Chung siede sulle spalle di un gigante e non del tutto figuratamente dal momento che suo padre è Chung Myung-whun, pianista ma soprattutto grande direttore d’orchestra dall’importantissima carriera internazionale. Tuttavia questo figlio d’arte ha già dimostrato ampiamente di saper correre sulle sue gambe: classe 1984, si forma in Francia giovanissimo, cominciando con contrabbasso e pianoforte per poi laurearsi a Seoul in letteratura tedesca e violino. A soli 23 anni debutta come direttore in Corea e nel giro di pochi anni conquista la Carnegie Hall e la Suntory Hall, due delle più importanti istituzioni a livello internazionale. Ora, dopo una brillante carriera Min Chung è direttore stabile della Gangneung Symphony Orchestra, direttore ospite principale dell’Orchestra Haydn e direttore associato della Tokyo Philharmonic Orchestra.

 

 

 

Il concerto a Bolzano ha in programma solo due brani, perché il secondo è a tutti gli effetti mastodontico. Si parte con l’Overture del “Freischütz” di Carl Maria von Weber, incipit sinfonico di un’opera – per l’esattezza un “Singspiel” che dunque alterna recitazione e canto – che ha un’importanza capitale nella storia della musica. Malgrado il compositore fosse infatti un contemporaneo di Beethoven, con una formazione sostanzialmente classica, la sua partitura viene considerata dagli storici della musica la prima opera compiutamente romantica, per il suo temperamento espressivo e non da ultimo per il ricorso a temi ed elementi mistici e soprannaturali legati alla tradizione tedesca. È sostanzialmente la prima volta insomma, che un compositore stufo di una stagione che aveva visto spadroneggiare l’opere italiana, decide di scrivere un’opera che sia in tutto e per tutto tedesca, riallacciandosi ad un genere e a una tradizione culturale germanica, e lo fa con un linguaggio musicale che inaugura un nuovo capitolo della storia della musica classica.

Il secondo brano in programma è la Sinfonia n. 9 in Do Maggiore di Franz Schubert, detta non a caso “La Grande”. Non sono passati molti anni dal Freischütz di Weber – quello è datato 1821, questa 1828 – ma i tempi stanno cambiando velocemente e Schubert si cimenta con la grande sinfonia, sfidando Beethoven, e scrivendo un’opera che anticipa le grandi sinfonie romantiche, ambiziosa e complessa. Purtroppo al contrario di Beethoven il povero Schubert non gode del meritato successo in vita. La sua sinfonia offerta alla Società degli amici della musica di Vienna venne provata dall’orchestra ma non fu poi eseguita perché troppo complessa per l’orchestra della Società. Solo nel 1839 Robert Schumann, forse il compositore romantico per eccellenza, ritrovò la partitura fra le carte di Schubert e ne riconobbe la grandezza, ma il compositore era morto da ormai undici anni.