Cultura | L'Oscar a Paolo Sorrentino

La grande discussione

A proposito de “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, premiato con l'Oscar come miglior film straniero, tutti vogliono dire la loro. Segno di una grandezza che si origina dallo statuto stesso dell'opera d'arte in un'epoca per sua natura ostile all'armonia e alla composizione dei contrasti.

“Io l'Ampia gradevolezza, la Vasta eleganza, l'Estesa avvenenza, o come accidenti si chiama, non l'ho visto, quindi non posso commentarlo, dico solo che il fatto che un'opera creativa susciti tutto 'sto dibattito/attenzione/odio/amore/sfottò/commenti/critica/risentimento/passione eccetera... che manco la nazionale di calcio, mi piace tantissimo!”. Parole di una nota scrittrice, che fotografano quanto accaduto in settimana, al margine della vittoria dell'Oscar da parte del film “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino.

La questione è degna di essere approfondita. Certo, un tale dibattito non avrebbe avuto luogo se l'esposizione mediatica creata dal successo americano dell'opera non avesse riacceso i riflettori su un film non da molti visto nelle sale cinematografiche. E sicuramente il passaggio televisivo – martedì scorso, su Canale 5 – ha contribuito a conferire un accento nazional-popolare. Resta comunque vero che “La grande bellezza” sembra congegnato apposta per produrre interpretazioni discordanti, un po' come la calviniana città di Zemrude, non a caso assunta dal filosofo Luciano Nanni ad emblema del paradigma che presiede alla polisemia degli oggetti artistici: ognuno tende a vederci qualcosa di diverso, e in definitiva hanno tutti ragione (“Hanno tutti ragione”, per inciso, è anche il titolo di un romanzo scritto da Paolo Sorrentino).

Per evitare tuttavia che la “ragione di tutti” diventi una “ragione di nessuno”, per evitare soprattutto che un così marcato eccesso di ragionevolezza finisca col farci sragionare, occorre fissare un quadro di riferimento plausibile. “La grande bellezza” è soprattutto il tentativo, compiuto dal suo autore, di ridare all'arte, e in particolare a quella cinematografica, un ruolo al quale noi non eravamo più abituati (anche perché, temo, si tratta di una tendenza irreversibile). Hegel diceva che il senso della filosofia consiste nel comprendere il proprio tempo nel concetto. Un artista lo comprende invece con immagini, suoni e parole. E se la percezione del tempo si disperde in un pulviscolo di sensazioni discordanti, persino contraddittorie, è chiaro che quelle immagini, quei suoni e quelle parole non possano generare un'impressione unitaria. Un'opera d'arte che è anche una consapevole riflessione sullo statuto stesso dell'arte in un'epoca ostile all'arte (o almeno alla bellezza intesa come armonia, la variante istintivamente più accreditata presso i suoi occasionali ricercatori), dunque, forse è la formula con la quale potremmo accostarci almeno con rispetto e gratitudine, se l'ammirazione non a tutti riesce, all'ambizioso lavoro del regista.

La fontana dell'Acqua Paola, sul Gianicolo, a Roma, detta comunemente "Il fontanone", dove si apre la prima scena del film "La grande bellezza"


 


 

 

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Gianluca Trotta Sab, 03/08/2014 - 19:40

Ottimo commento. Io la penso più o meno così: ovviamente il film può piacere o non piacere, come è normale che sia. Quello che però non si può fare (e che invece in questo impeto di critiche da social-network è stato fatto) è liquidarla con poche parole di spregio (in un altro commento avevo richiamato Fantozzi che dice che la Corazzata Potemkin "è una cacata pazzesca"), come se non fosse appunto un'opera, come scrivi tu, degna di rispetto per lo sforzo artistico che vi traspare. Appena uscì al cinema, lessi delle critiche molto dure (alcuni parlavano di tentativo ambizioso ma sostanzialmente fallito): ecco, quelle erano critiche almeno argomentate, che potevano cogliere o meno il punto, convincere o no (a me, non mi hanno mai convinto, continuo a reputare il film un capolavoro). È così perché il medium stesso (la superficialità di Facebook, la necessari stringatezza di Twitter) porta alla liquidazione sommaria? Bene, ma allora le critiche non valgono nulla, sono un po' le critiche di una nazione di commissari tecnici, che all'occazione si sono trasformati in milioni di critici cinematografici. Mi chiedo: come puoi stare davanti a uno schermo che, per quanti pollici abbia, è comunque decisamente più piccolo di quello cinematografico; con un suono che non può competere con il surround delle sale; con in mano uno smarphone con cui cinguetti e magari con in cucina il bollitore dell'acqua con cui ti stai preparando una tisana: e pretendere che a tua voce critica sia minimamente credibile? Poi, su cosa si appuntano, le critiche? A me sembra che ci siano sostanzialmente due problemi: la mancanza di una trama "forte" (che basterebbe la citazione iniziale dal Viaggio al termine della notte di Céline per non aspettarsi altro che quello) e la supposta critica sociale che ci starebbe nel film, e che non sarebbe troppo forte (come se Sorrentino avesse voluto fare un film contro il Berlusconismo, chissà poi perché). Ecco, entrambi i punti sono inconsistenti: taccio del primo, perché porterebbe a sbarazzarsi di tutti i capolavori letterari e filmici del Novecento, dall'Ulisse di Joyce in poi; per il secondo punto, non mi sembra che il film voglia portare in nessun modo una critica sociologica di qualche tipo, o almeno non è questo l'importante.

Sab, 03/08/2014 - 19:40 Collegamento permanente