Noi, figli invecchiati dell'autonomia
All’inizio della serata Lucio Giudiceandrea formula una domanda che suona retorica: “Vi sentite figli di questa autonomia?” Il giro è presto fatto. Ogni ospite risponde di “sì”. Dice “sì” Brigitte Foppa, dice “sì” Elmar Pichler Rolle, dice “sì” Pius Leitner. E ovviamente ribadisce il suo “sì” anche Hans Karl Peterlini, che ai “figli di questa autonomia” dedicò dieci anni fa un libro, adesso tradotto in italiano da Umberto Gandini per i tipi di alphabeta, partendo proprio dalla percezione filiale di osservatore delle dinamiche autonomistiche.
Ma che tipo di madre è l’autonomia? La questione, sottesa all’intero dibattito, fa emergere sfumature significative. Intanto, il dato comune dal quale possono essere comprese è questo: l’autonomia è un meccanismo che non può fare a meno di presupporre, forse persino prescrivere, la divisione dei gruppi linguistici, circoscrivendone dunque l’interazione in un cerchio ristretto di possibilità.
Più autonomi dalla stessa autonomia
Tornando a parlare dei “figli”, dando loro nuovamente la parola, tra gli interventi serpeggia il desiderio di rendersi più autonomi da questa madre autonomistica che in modo un po’ occhiuto e severo ha sicuramente portato alla pacificazione del conflitto storico tra italiani e tedeschi, rendendo peraltro possibile la costruzione di un diffuso benessere, ma ha anche tenuto a freno energie e progetti. Progetti che, per potersi sviluppare appieno, avrebbero forse bisogno di un’altra cornice istituzionale, di qualcosa cioè che, pur non rinnegando le conquiste ottenute, ne rappresenti in un certo senso un “superamento”, o quanto meno una “prospettiva di sviluppo”.
Al proposito Pius Leitner ribadisce una formula apparentemente suggestiva. “Per superare prospetticamente l’autonomia – afferma – occorre puntare al Libero Stato del Sudtirolo”. Ma come sarebbe effettivamente possibile dar vita a un’entità (e dunque anche a un’identità) di questo tipo senza prima sovvertire le abitudini mentali generate proprio da un’autonomia che, lungi dall’essere solo un sofisticato congegno giuridico, rappresenta anche un orizzonte culturale entro il quale il tema dell’identità si declina costantemente (Leitner: “io sono e rimarrò sempre tedesco”) secondo il modello della divisione dei gruppi linguistici?
Per un’autonomia più “femminile” e attenta al “mondo della vita”
Pius Leitner ed Elmar Pichler Rolle, seppur in disaccordo riguardo alla proposta di radicalizzare l’autonomia fino a creare un’entità territoriale completamente staccata, condividono un tale retaggio culturale, dimostrandosi sostanzialmente incapaci di comprendere a fondo la questione decisiva. Brigitte Foppa, unica donna tra i presenti, sottolinea invece l’idea che una riforma dell’autonomia non possa prescindere dall’affrontare il tema della sua cultura dominante (da lei riportata alla matrice di “genere”: “autonomia quindi patriarcale, o comunque più matrigna che madre”). Rendere più femminile l’autonomia, ammorbidirne i tratti, è infine anche il pensiero di Hans Karl Peterlini, il quale legge le cose alla luce dell’opposizione tra fluidità del “mondo della vita” – il contesto sfrangiato di relazioni entro il quale siamo immersi quotidianamente – e rigidità del “sistema”. “Ma qui occorrerebbe davvero un nuovo slancio – ha concluso – per sospendere gli automatismi ricorsivi che davvero fanno apparire invecchiata la nostra autonomia”. E con lei anche molti dei suoi “figli”.
figli o eredi?
Chi é del '46 é praticamente nato con l'autonomia, perció non puó negare di essere figlio di questa. Ma l'essere e il sentrisi sone due cose diverse. Io sulla domanda di Giudiceandrea avrei risposto con un no.
Ho un ricordo molto preciso di un momento importante nella storia dell'autonomia, la decisione del pacchetto nel novembre del 1969 a Merano. L'ho appreso dal giornale in lingua tedesca sfogliato su una banchina della stazione ferroviaria di Napoli, in divisa militare.
Se volete, gia il fatto del giornale nella mia madre lingua é autonomia.
Ma il potere schiacciante che fino a oggi infiltra tutto il paese é tutto il contrario. La stessa immagine fornisce la politica. Quando i singoli articoli dello statuto si concentrano solo a rafforzare il potere di un partito e tutti gli impegni a Roma, a Brussel o a Vienna vanno in questa direzione, allora gia la parola "autonomia" per il singolo cittadino perde di significato. Basta un'esempio solo per spiegare la mia delusione: La gestione autonoma dell'energia. È un bella fetta, che l'SVP si vanta di aver portato a casa. E dove siamo andati a finire? Spesso il vantaggio dell'autonomia viene espresso in competenze e benessere. E li per qualcuno i conti potranno anche quadrare, ma questa valutazione per me é troppo materialistica. Autonomia per una minoranza significa tutt'altra cosa. Non é divisione etnica, monopolio nell'informazione, partito unico nella lotta contro gli altri, meccanismi di protezione forzata del proprio potere ed alla fine potere concentrato in una persona unica. Chi paga, comanda!
Questo atteggiamento per me ha piú da fare con dittatura, che con autonomia. Anche se nel grembo di questa frase ci sarebbe nascosta la vera autonomia. Chi paga con soldi pubblici, cioé della popolazione, dovrebbe far comandare a quella. La democrazia vissuta é la base dell'autonomia, come la libertá del singolo cittadino. Ma siccome di bugie e di giochetti in questi anni di autonomia ne abbiamo scoperti fin troppi, mi permetto di chiudere con un saggio del filosofo tedesco Karl Jaspers, morto nel 1969, senza tradurlo:
Wahrheit und Freiheit gehören zusammen
wie Lüge und Gewalt.
Nur Wahrhaftigkeit kann die freie Welt verbinden.
Ohne Wahrhaftigkeit ist sie verloren.
Freiheit und Lüge schließen sich aus.