Non solo accoglienza, ma integrazione e partecipazione
Savera in lingua urdu vuol dire aurora. Un nuovo inizio, la freschezza del mattino di buon auspicio. I migranti che hanno incontrato sulla loro strada la cooperativa omonima, con sede a piazza Gries a Bolzano e operativa dal 2009 in tutto l’Alto Adige, hanno ricominciato la loro vita lontani dal loro paese d’origine ma con una marcia in più. Savera, infatti, si occupa di progetti di integrazione, consulenza per cittadini stranieri, mediazione culturale e tutela dei diritti umani. Mamadou Gaye, vicepresidente della cooperativa, senegalese che dal 1990 vive a Bolzano, ha speso gli ultimi 20 anni al fianco dei “nuovi cittadini”: Savera, infatti, prosegue il cammino intrapreso con l’associazione “Porte Aperte”, proponendo progetti di mediazione linguistica e culturale nelle scuole di ogni ordine e grado, consulenze per aziende che hanno tra i propri dipendenti persone straniere, momenti di formazione per i soci. Il territorio, però, sta affrontando nuove sfide e gli oltre 800 richiedenti asilo ospitati a Bolzano e provincia sono al centro dell’attenzione di chi opera nel settore dell’integrazione.
“Qui a Bolzano, e in generale in Alto Adige - spiega Gaye - si è preferito sviluppare un modello basato solo sull’accoglienza. Si ragiona per strutture, che nel caso del capoluogo peraltro accolgono un numero elevato di persone, ma non si parla mai di inserimento e integrazione. Bisognerebbe invece pensare alla creazione di una rete sociale diffusa, coinvolgendo il territorio, favorendo la partecipazione dei profughi accolti e lavorando con piccoli gruppi. I flussi migratori non sono destinati a diminuire, ma anzi ad aumentare e continuare a lavorare secondo la logica dell’emergenza non è più sostenibile. Un processo basato sull’inserimento può sembrare complesso e anche dispendioso in termini di risorse ma sul lungo periodo è sicuramente il migliore”. Come si può intervenire concretamente? “Ci sono diverse modalità: dalla creazione di momenti di conoscenza con i cittadini, ai corsi di lingua fino a piccoli progetti di inserimento lavorativo. L’importante - aggiunge Gaye - è evitare di ricorrere a procedure standard: quando ci si approccia a gruppi di persone che parlano lingue diverse, hanno culture e radici differenti, ragionare pensando che siano tutti uguali può diventare controproducente. Si rischia di non comprende quali sono i bisogni, le aspettative, le peculiarità. Non possiamo pensare che esista un modello valido per tutti, e occorre calibrare l’azione sulla persona. Questo è realizzabile attuando una progettazione partecipata, dove la persona non è colei che riceve passivamente un aiuto ma è figura attiva del processo”.
Un altro aspetto da migliorare, secondo Gaye, è la formazione di chi gestisce l’accoglienza: “Questo settore va assegnato a operatori qualificati: non è possibile demandare tutto ai volontari e a pochi soggetti competenti”. E la Provincia, in tutto questo, che ruolo ha? “Bisogna capire dove si vuole andare. Il mio - precisa Gaye - non vuole essere un “j’accuse”, ma segnalo che Bolzano è l’unico territorio a non aderire al programma SPRAR (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, ndr) e ci sono alcuni settori che sono carenti: l’ambito della mediazione culturale va assolutamente migliorato e anche l’assistenza legale, soprattutto per quanto riguarda i colloqui dei richiedenti asilo con la Commissione territoriale, deve essere potenziata. Stesso discorso vale per l’integrazione con il sistema sanitario. Talvolta si pensa che l’unico problema sia linguistico, invece non è così. Infine - chiosa il vicepresidente di Savera - ci sono piccole cose riguardanti la vita quotidiana alle quali forse non si bada ma che sono ugualmente importanti: proprio ieri mi è capitato di vedere due ragazzi richiedenti asilo che giravano con addosso solo una felpa leggera. Mi chiedevo: c’è qualcuno che spiega loro anche questioni pratiche come ad esempio quale deve essere l’abbigliamento adeguato per le nostre temperature?”.