In memoria di un concerto
Succede a volte, che durante un concerto la mente medita nel silenzio del cuore. Penso sia la definizione più giusta che io possa dare al concerto di domenica sera, che nel cortile del Castello Brunnenburg a Tirolo, ha fatto incontrare un violino e un violoncello, anzi di più: una persona e una persona.
In due dunque, con la loro vita seduta davanti ai nostri sguardi e uno strumento per ciascuno consacrato alla loro bravura. Il suono che producevano finiva dritto nell’introspezione del pubblico presente. Presente e molto attento! Immagino, forse anche per un accento di magia di un luogo dato ai pochi. Sicura invece, per la bellezza delle musiche che ci stavano donando.
Mi avvalgo della sensibilità che mi accompagna, nella misura concessa ovviamente, per scrivere in queste poche righe, che la qualità dei due maestri Marcello Fera e Francesco Dillon, era e continuerà ad essere, impressionante.
Da impressione appunto, gradevolissimo incontro di certi suoni nel corpo che succedono raramente. Sono espressioni queste, nelle quali mi muovo io, immagino possano sembrare eccessive a chi sa parlare di musica. E però, succede a volte anche questo, che chi sa parlare di musica non va alla ricerca della musica, o meglio dire, non cerca davvero la novità della musica.
Ora, la sottoscritta ha avuto il privilegio di essere imbarcata, è il caso di dirlo, in una delle composizioni del genovese Marcello Fera, presentata ai nostri orecchi per la prima volta.
E quindi, non toccherebbe a me occupare questo spazio per raccontare un concerto straordinario. Ciononostante colgo la gentilezza di chi qui mi ospita, per dire a chi mi sta leggendo, che ogni volta c’è troppo silenzio intorno ad eventi simili, e che la qualità delle musiche e la bravura dei musicisti di questo festival CastelCello, non merita il silenzio di chi saprebbe dire e raccontare meglio di me.
Ma è vero anche, che le cose rare e preziose tendono ad essere riposte in un silenzio abile poi a distinguerle. Quello che naviga in profondità e che dimentichiamo spesso, perché facciamo troppo rumore, anche noi che frequentiamo i versi e che scriviamo poesia rumorosa per essere di oggi. Di oggi a tutti i costi, come se non lo fossimo in verità del corpo e della nostra vita.
E visto che non ho la licenza di poter scrivere oltre, le mie orecchie e così il resto di me ringraziano, nella consapevolezza che la memoria di questa bellezza è già immersa nel tempo.