A un passo da casa
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Mancano pochi minuti alle 19 quando Paul Tschigg, da quasi vent’anni in prima linea a fianco delle persone senza dimora, apre le porte di dormizil. M. è il primo a entrare. “Buonasera, come stai?”, gli chiede Tschigg. “Tutto a posto, grazie. Vado a scrollarmi di scrollo di dosso il freddo della giornata e dopo scendo per un tè e due chiacchiere”, risponde l’uomo, prima di prendere le scale e andare nella sua stanza.
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Una casa in centro per le persone senza dimora
“dormizil si basa su un principio semplice: accogliere persone senza dimora nel rispetto della loro dignità”. Paul Tschigg descrive così la visione che nel 2020 ha spinto un gruppo di cittadini a formare l'associazione housing first bozen ODV (oggi dormizil ODV) e ad affittare un'intera casa da aprire alle persone senza dimora nei mesi invernali. Un’idea di accoglienza che si discosta molto dalle soluzioni emergenziali messe in campo dalle istituzioni sudtirolesi nel capoluogo, basate sull’utilizzo di ex-capannoni industriali e centinaia di posti letto. “Per il quarto anno consecutivo – i primi due in via Renon e poi in via Vintler – da metà ottobre a metà aprile, dalle 19 alle 8 del giorno successivo, abbiamo a disposizione una stanza tripla, tre singole e nove camere doppie suddivise su tre piani, per un totale di 24 posti letto”, spiega il volontario bolzanino.
La scelta di un numero contenuto di ospiti consente a ciascuno di godere della propria privacy e – aggiunge Tschigg – “dà spazio a tutta l’interiorità e al carico di difficoltà a cui la strada espone ognuno di loro”. A differenza dei dormitori della città, inoltre, l’edificio sorge in pieno centro a Bolzano, a pochi passi dai portici e da piazza Walther. “Sin dall’inizio per noi è stato imprescindibile che la casa fosse ubicata dentro la cintura cittadina e non ai margini”, afferma Tschigg, convinto che in questo modo “la città abbia occasione di confrontarsi con il tema, per andare oltre i luoghi comuni e la bieca propaganda e avvicinarsi così alla complessità del fenomeno dell'homelessness”. La sensibilizzazione è uno degli aspetti su cui il team di dormizil investe molte energie: dai momenti di apertura alla cittadinanza – come per esempio lo scorso sabato in occasione dell’evento dormiXmas – alla partecipazione a eventi pubblici, passando soprattutto per i numerosi workshop che aprono le porte della casa a studenti e studentesse del territorio. “I giovani sono molto aperti, interessati e partecipano con grande empatia a questi incontri”, dice Tschigg. L’incontro con le classi dura circa un’ora e mezza e consiste in una visita guidata all’interno della casa (stanze escluse per ragioni di privacy), in cui i volontari descrivono il target di riferimento del progetto, la loro visione e l’esperienza di questi anni. Il workshop prevede anche la visione di una clip del film Obdachlos in Südtirol di Karl Prossliner, in cui F. – oggi ospite di dormizil – ripercorre la spirale negativa che lo ha portato in strada: il lavoro come autista libero professionista, la separazione, l’alcol, il ritiro della patente, le conseguenti difficoltà economiche e la perdita dell’abitazione. “Una testimonianza che colpisce i ragazzi, perché è l’esempio che una cosa del genere, in fondo, potrebbe capitare a chiunque”, sottolinea Paul Tschigg.
A differenza dei dormitori della città, dormizil sorge in pieno centro a Bolzano
Data la qualità e la cura dell'accoglienza, le richieste di ospitalità che pervengono a dormizil sono ogni anno sempre di più. Prima dell’apertura di questo inverno, il 17 ottobre, Tschigg e compagne hanno svolto una cinquantina di colloqui. “Purtroppo non c’è posto per tutti e siamo costretti a dire di no a molti”. La casa è anche specchio dell’umanità che vive suo malgrado in strada e al suo interno si incontrano situazioni di vita diverse. Tra gli ospiti di dormizil ci sono, tra gli altri, sudtirolesi accolti su richiesta dei servizi specialistici del territorio – Hands, Binario 7, CSM, Ser.D –, così come diversi lavoratori stranieri che altrimenti sarebbero costretti all’addiaccio. H., trent’anni circa, è uno di loro. Arriva a casa ogni giorno dopo le 20, quando smonta il turno. Lavora per una ditta che si occupa di distribuzione alimentare, in condizioni quantomeno opache. “Sto al reparto ‛fresco’, quindi potete immaginare le temperature”, dice. “Per contratto dovrei fare otto ore al giorno, ma di solito sono almeno dodici e non sempre quelle in più mi vengono riconosciute”. Per il momento, con un contratto a tempo determinato che gli viene rinnovato ogni due mesi, non ha molte alternative e fa buon viso a cattivo gioco. “Almeno ho uno stipendio sicuro e posso cominciare a rimettermi in piedi, poi cercherò qualcos’altro”.
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L’housing first a Bolzano
A rendere possibile dormizil sono finanziamenti privati, donazioni e, soprattutto, l’impegno di Monika Stuefer, collaboratrice part-time, e di 120 volontari provenienti da tutto il Sudtirolo, che – sottolinea Tschigg – “oltre a svolgere un lavoro prezioso, agiscono anche da moltiplicatori, perché toccano con mano la realtà e la restituiscono poi alla loro comunità”. Le istituzioni, invece, non hanno mai riconosciuto pubblicamente il valore del lavoro di dormizil. “Un paio di anni fa il Landeshauptmann Arno Kompatscher e l’ex assessora Waltraud Deeg hanno visitato la casa e l’assessore comunale Andriollo ci ha fatto i complimenti, ma solamente in forma privata”, dice Tschigg, che non si lascia certo scoraggiare e, insieme agli altri volontari, è pronto per una nuova sfida. I lavori di ristrutturazione del dormizil 1, in via Renon, infatti, sono attualmente in corso. L’edificio, messo a disposizione a titolo gratuito per i prossimi trent’anni dalla Haselsteiner Familien-Privatstiftung, ha una superficie di circa 900 mq ed è strutturato su sei piani e un seminterrato. Al suo interno dormizil 1 disporrà un alloggio di transizione con cinque posti letto di emergenza, un servizio docce e lavanderia aperto a chi vive in strada, uno spazio a disposizione della cittadinanza per eventi pubblici e, soprattutto, nove appartamenti per un progetto di housing first.
"I 120 volontari di dormizil agiscono anche da moltiplicatori, perché toccano con mano la realtà e la restituiscono alla loro comunità."
Sviluppato dallo psichiatra americano Sam Tsemberis negli anni ’90 a New York, l’housing first si fonda sul diritto all’abitare e parte dal presupposto che, senza una situazione abitativa stabile e confortevole, per una persona sia quasi impossibile risollevarsi da una condizione di grave marginalità, iniziare un processo di cura e attuare un percorso di reinserimento sociale. Le persone con anni di vita in strada o a serio rischio di perdere l’abitazione, quindi, hanno l’opportunità di accedere a un appartamento autonomo “senza passare dal dormitorio” e possono contare sul supporto di un’equipe multidisciplinare. La prima sperimentazione, Pathways to housing fornì un alloggio a 139 persone e i risultati furono molto positivi: in un articolo pubblicato sul Washington Post, Terrence McCoy riportò che l’85 percento dei beneficiari riuscì a trovare una stabilità e non fece ritorno in strada. Negli anni seguenti l’housing first varcò i confini degli Stati Uniti, giungendo prima in Canada e poi in Europa. In Italia questo modello venne introdotto nel 2012, quando a Bologna la cooperativa Piazza Grande inserì 28 persone in diversi appartamenti. Due anni più tardi nacque la Rete Housing First Italia, fondata dalla Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora (fio.PSD). Secondo i dati di fio.PSD, sono 74 i progetti di housing first attivi nel nostro Paese per un totale di 1.013 persone inserite in appartamento.
In Sudtirolo, a oggi non sono ancora stati avviati progetti di questo tipo, anche se se ne parla da tempo, spesso in maniera imprecisa. L’ultimo a farlo, in ordine di tempo, è stato il presidente della Provincia Kompatscher. Lo scorso 16 luglio, in occasione dell’approvazione della delibera riguardante le Linee guida per l’accoglienza nei Ricoveri Notturni Invernali, infatti, il Landeshauptmann ha dichiarato di “puntare sull’housing first per dare a coloro che hanno un reddito e un lavoro una sistemazione meno emergenziale”. Paul Tschigg e il team di dormizil, invece, proporranno un housing first “puro” e sperano che l’apertura di dormizil 1, il prossimo luglio, “possa segnare un nuovo inizio per affrontare finalmente la questione dell’homelessness in Sudtirolo in un’ottica lungimirante”.
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Successi e ricadute, senza mai perdere la speranza
In questi anni tante traiettorie di vita hanno animato le stanze di dormizil per poi proseguire il proprio percorso in piena autonomia. Alcune di queste Paul Tschigg e gli altri volontari le continuano ad accompagnare. “Seguiamo ancora sette persone che conosciamo da tempo e che ora vivono in un appartamento in affitto”, spiega il volontario, che precisa come “i costi della locazione e le spese accessorie sono completamente a loro carico, perché è giusto che siano responsabili in prima persona della gestione della loro abitazione”.
A fronte di tante esperienze positive ci sono anche percorsi che non si concludono nel migliore dei modi. Lo scorso maggio, per esempio, per L. l’ingresso in appartamento era a un passo. Il giorno della firma del contratto e della consegna delle chiavi, però, l’uomo ha avuto una ricaduta e non si è presentato all’appuntamento. “Avere di nuovo una casa propria, quindi in un certo senso ‛rientrare’ in società, non è un passo facile, soprattutto per chi ha vissuto tanti anni in strada”, commenta Paul Tschigg: da un lato può emergere la paura di non farcela e di andare incontro a una nuova delusione, dall’altra possono tornare a galla traumi e ricordi sepolti che appartenevano alla vita “di prima” e che possono aver contribuito allo scivolamento nella condizione di emarginazione. “Da parte nostra”, aggiunge il volontario, “va sempre tenuto aperto uno spiraglio per ricominciare tutto daccapo, se e quando la persona lo vuole”. È questo il caso di L., che da ottobre è di nuovo ospite della casa. Ci sono state circostanze, invece, in cui per preservare la vita di comunità il team di dormizil ha dovuto allontanare un ospite. “È capitato anche di recente e non è mai facile, perché si tratta quasi sempre di persone estremamente fragili, letteralmente frantumate dalla vita in strada”, dice Tschigg, che si chiede amareggiato anche “dove sono le istituzioni di fronte a situazioni di cui ci si dovrebbe prendere estrema cura? È possibile che la responsabilità sia lasciata ai volontari e non ci siano risorse e spazi tarati sul bisogno specifico di queste persone?”.
"‛Rientrare’ in società non è facile, soprattutto per chi ha vissuto tanti anni in strada."
La domanda di Paul Tschigg aleggia ancora nell’aria quando M. scende in sala. “Dopo la doccia un tè caldo è proprio quello che ci vuole prima di andare a letto”. Ha voglia di chiacchierare, M., e così ripercorre il tragitto che lo ha portato a Bolzano. “Sono arrivato qui due anni fa direttamente da Napoli con pochi soldi e una volontà incrollabile”, racconta. I risparmi, però, si esauriscono presto e, ritrovatosi per strada, M. si rivolge all’Accoglienza Notturna Temporanea di via Comini per un posto letto. “Novanta persone in una vecchia fabbrica, una situazione estrema”, ricorda. Fortunatamente la ricerca lavoro dà presto i suoi frutti e M. viene assunto da una ditta del capoluogo che produce sistemi elettronici. “Per un anno e mezzo le cose sono andate bene, poi l’azienda ha lasciato a casa duecento persone. Io ero tra loro”. Finiti i soldi, è di nuovo per strada, costretto a bussare alla porta dei servizi. Inizia a frequentare il centro diurno La Sosta-Der Halt. Gli operatori gli suggeriscono di fare richiesta a dormizil, che avrebbe aperto di lì a poco. “E così eccomi qui! Con il dormitorio non c’è paragone; qui si respira un’atmosfera che per certi versi è come quella di una vera casa”. M. finisce di bere il suo tè e si alza: “Per me si è fatto tardi”, dice, “meglio che vada a riposare, ché domani ci sono altri curriculum da inviare”. Il futuro di M. è ancora incerto, sospeso tra la speranza di un nuovo inizio e la paura di trovarsi di nuovo al punto di partenza. Poter contare su un luogo che per alcuni aspetti gli ricorda casa, però, lo fa sentire meno solo in questa fase complicata della sua vita.
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Nel prossimo episodio
Contro la povertà. I dispositivi repressivi e securitari messi in campo dalle istituzioni del territorio spingono le persone più fragili nell’invisibilità. Sgomberi, fogli di via, espulsioni, ostilità burocratica e retorica del "degrado" sono strumenti di un potere che – quasi sempre – schiaccia i più deboli.
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