Nelle tracce della storia
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L’architettura è fatta di pietra, cemento, ferro, legno, vetro… una somma di materiali statici e inanimati che noi però trasformiamo in materia viva. Il nostro operato consiste infatti nella composizione e interpretazione di quei materiali per farli diventare spazi, luoghi, edifici da poter utilizzare e abitare. Si tratta di un’azione che l’uomo ha sempre svolto nel corso della storia, per dare risposta alle più diverse esigenze. A volte però quelle strutture, nate per un preciso scopo, possono cambiare uso o non rispondere più alle necessità di un tempo, essere momentaneamente abbandonate e poi successivamente riprese e ristrutturate, subire cioè quelle trasformazioni e riadattamenti, programmate o accidentali, che diventano in alcuni casi fertili occasioni di rigenerazione
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Sull’architettura antica
Non ho preferenze per questo o quel monumento del passato, e quindi non posso rispondere alla domanda riguardante l’architettura antica. Se non fosse per timore di sembrare paradossale, direi che non credo nell’architettura «antica», ma soltanto in quella che giunge ad essere, nella sostanza, «attuale» in ogni momento, e quindi viva, al di fuori di qualsiasi contingenza.
Sull’architettura moderna
Lo stesso sentimento nutro rispetto all’architettura contemporanea. Il «moderno» questa sera sarà «vecchio», e domani «antico». Dicendo questo, mi rendo conto che esistono modi diversi, più complessi e circostanziati, di vedere e giu-dicare l’architettura, ma penso che tutti – anche i più raffinati e agguerriti criticamente – dovranno alla fine conve-nire in un giudizio che, prescindendo da qualsiasi elemento caduco, da ogni contingenza cronologica o morfologica di «antico» o «moderno», fondi la sua validità su quella coerenza costruttiva, su quel ritmo spaziale, su quella efficacia espressiva che, momenti diversi ma inscindibili, costituiscono il più alto e meno mutabile prestigio di un’architettura la quale, appunto, sia soltanto e sempre architettura.Giuseppe Capogrossi,
Un pittore giudica l’architettura, in «L’architettura. Cronaca e storia», n.7 giugno 1957 -
Con i nostri interventi, su ciò che ci è stato tramandato dal passato, ci inseriamo quindi in un flusso di azioni creative necessarie per rendere sempre utile e funzionale il patrimonio costruito, con la consapevolezza però di affrontare un delicato compito che consiste nella capacità di leggere e comprendere il valore di ciò che stiamo per toccare. Riconoscere il senso profondo delle preesistenze non vuol dire, però, rinunciare ad intervenire bensì farlo con rispetto ed attenzione, così come è successo nel corso della vita di molti edifici che hanno subito crolli, ricostruzioni, ampliamenti e adattamenti. Si tratta di azioni realizzate in alcuni casi con cura e misura, ma anche, in altri casi, con interventi più invasivi e significativi dove, però, il trascorre del tempo tende a mitigare la percezione delle differenze, portandoci a leggere complessivamente gli edifici comunque come un unicum, un «fatto urbano» compiuto. Il rapporto tra la preesistenza, che può essere costituita da strutture di diverse epoche, e ciò che noi oggi realizziamo è un tema che abbiamo trattato in numerose occasioni, dallo specifico numero dedicato ad «Abitare con la storia» (Turris Babel #106) ai molti progetti pubblicati nelle edizioni tematiche. In questo caso presentiamo interventi contemporanei realizzati su edifici storici di diversa natura ed epoca: dal riutilizzo degli spazi di un’Abbazia, alla trasformazione di un edificio agricolo, dalla riconfigurazione di un albergo storico al restauro di un’abitazione antica. Prescindendo dai risultati formali, ciò su cui vorremmo porre l’attenzione è l’approccio progettuale, il metodo teorico e tecnico di inserirsi in un flusso creativo mai interrotto. Mentre si ragionava su questi temi mi è capitato di trovare un testo di Giuseppe Capogrossi, un artista e non un architetto, che proprio interrogato sul senso del rapporto tra «antico» e «moderno» ha espresso una visione a mio parere così lucida e definitiva che non ha bisogno di altro commento. Esposto al maxxi di Roma, tra gli apparati della mostra «Architetture a regola d’arte – dagli archivi bbpr, Dardi, Monaco Luccichenti, Moretti» – il testo, contenuto in un numero della rivista «L’architettura. Cronaca e storia», offre una visione teorica e personale, frutto di un fecondo rapporto tra artista e architetto. Proprio dal sodalizio tra Capogrossi e gli architetti Vincenzo Monaco e Amedeo Luccichenti, in un rapporto di sovrapposizione e contaminazione tra opere artistiche e opere di architettura, emerge una capacità esemplare di interpretare l’azione creativa e il senso profondo di ciò che noi, anche oggi, consideriamo Architettura.
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TURRIS BABEL è la rivista di architettura della Fondazione Architettura Alto Adige, frutto della collaborazione appassionata e volontaria di giovani architetti. La Redazione si è posta come obiettivo, quello di risvegliare l’interesse per l’architettura non solo tra gli esperti in materia, ma anche tra la popolazione, di rilanciare su tutto il territorio ed a livello nazionale, il dibattito sull'architettura in Alto Adige, di promuovere la divulgazione di una buona progettazione, cosciente delle implicazioni socio-economiche ed ambientali che essa comporta.